C'era una volta una dolce ragazza dai molti capelli color nocciola che passava le sue giornate nella biblioteca del palazzo a romp...ehm... a leggere opere letterarie e a scrivere di suo pugno espressioni matematiche di dubbia riuscita. Nel bel mezzo del cammino di sua vita, la fanciulla conobbe un ragazzone moro, occhi di smeraldo, ed in poco tempo decisero che avrebbero passato insieme tutto il resto della vita. Al ragazzone piaceva disegnare case, mobili, giardini. Realizzava a mano i prototipi delle sue invenzioni e esplicitava giornalmente i suoi mille talenti. Nel loro castello non vi erano servitori, cameriere, maggiordomi. La fanciulla si districava meglio che poteva fra camere da riassettare, mobilia da scegliere, piatti da lavare e broccoli di rape, che sono il cibo preferito dello sposo. Nel loro castello non c'era nemmeno un giardiniere che potesse aiutarli a far sembrare il loro piccolo angolo di mondo qualcosa di diverso dal deserto del Sud Dakota. In realtà nel giardino non c'erano cactus dall'equivoca sembianza fallica, nè palle spinose che rotolano. Forse qualche carcassa di mucca dopo una cena a base di fiorentina. La desolazione naturale emanata dal giardino convinse i novelli sposi a prendere in mano la situazione e comprare nell'ordine 3 piante di gelsomino, un albicocco, una trentina di bulbi di tulipano ed iris, 3 piante di ribes, 4 rose. Avendo lo sposo preso due giorni di ferie dal lavoro, i due piccioncini cominciarono a spalare con vanga e piccone per realizzare diverse buche dove porre a dimora gli arbusti, e portarono alla luce numerose cariole di sassi (da qui l'appellativo di Sassonia per la loro terra). Roba che se erano pepite sarebbero diventati milionari. Sotto il sole cocente al mezzodì, ogni cosa trovava finalmente la propria collocazione. Ma il lavoro manuale procedeva sotto l'occhio attento del nemico. Egli li spiava dal mattino alla sera, appostato a debita distanza per non dare nell'occhio con il suo abito nero e gli occhi indagatori. Talvolta, quando la situazione sembrava tranquilla, chiamava a raccolta i suoi compagni di merende a bazzicare nel giardino degli sposi, che, ignari, al mattino trovavano le tracce del loro passaggio. Sopratutto fu dopo una nevicata, che aveva imbiancato ogni angolo del cortile, che si svelò la presenza del nemico, le cui orme si leggevano solitarie nella neve e portavano tutte in una direzione. Puntavano verso un bonsai. Un minuscolo, delizioso alberello di ulivo proveniente dalle terre del sud e coltivato con tanto amore. Era foderato di muschio morbido e sembrava la miniatura di un albero di un universo fatato e distante nell'era delle fiabe. Il nemico rovesciò tutta la terra dal vaso, rovistò nel muschio fino a denudare le radici del piccolo albero. Ciò accadde diverse volte nel corso dei giorni. Il nemico cercava i vermetti, da bravo merlo insettivoro. Certo, con 500 metri quadri di giardino proprio lì pensava potessero annidarsi. Beh non si sa mai. Anche spostando l'albero da una parte all'altra, il merlo lo ritrovava sempre e scarrufando nel muschio sporcava balconi, sottoscala ed ingressi. Fu allora che il ragazzone decise di armarsi di acume e spirito di competizione per fermare l'avanzata dell'esercito dei merli e si trasformò in cacciatore.
Stato attuale della sfida: Merlo - Cacciatore 2-0
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Sono sempre stata affascinata dal Giappone. Ho sofferto per le avventure di Mademoiselle Anne e per Kyoko della Maison Ikkoku, serie le cui puntate che avrò rivisto almeno quattro volte. Da piccola a Carnevale una volta mi sono vestita da giapponesina, nascondendo i miei improbabili ricci sotto una crocca di capelli finti, ma così finti da sembrare un casco di banane. Poi la mania nipponica si è tramutata in curiosità morbosa verso il mondo delle geishe. Mi affascinavano i tessuti preziosi dei loro kimono, il trucco, la delicatezza e il loro essere anacronistiche rispetto alla modernità. In un mondo high tech di palazzi antisismici e lavoratori alienati made in Japan, ci sono ancora delle donne che passano metà della loro giornata a truccarsi e sistemarsi i capelli per rendersi inaccessibili. Voi mi direte che lo fa anche Paris Hilton, però nel caso delle geishe il trucco richiama qualcosa di molto misterioso e terribilmente attraente. Ma, come ogni dramma che si rispetti, la realtà patinata di una vita di ciprie e rossetti laccati nasconde sempre aspetti dolorosi: primo fra tutti il fatto che una geisha, per quanto potesse essere importante nella vita del suo protettore, rimaneva a margine di una vita di coppia vera e propria che era riservata alla moglie e non a lei. In secondo luogo, l'impossibilità di essere madri, perchè un pancione sotto il kimono sarebbe diventato motivo di imbarazzo e non di gioia. Per chi fosse appassionato all'aspetto socio-decorativo dell'essere geishe, si organizzano corsi express per la modica somma di 25 euro. Leggete qui per maggiori informazioni. |
La ben nota commedia di Shakespeare mi serve da input per il post immancabile sul Festival di S.Remo. Un po' perchè su ogni blog che aspira ad essere fashion, glamour, trendy e anglicismi vari ci deve essere, e poi perchè per una settimana intera il TG1 come seconda notizia ci parlava di Del Noce in visibilio per il suo pupillo logorroico Bonolis. Una volta all'anno insomma lo psiconano non ha dominato la scena pubblica e il buon Veltroni ha aspettato il festival per andarsene a casina sotto silenzio e passare il testimone al prossimo trombato del PD (sono ottimista oggi, n'est-ce pas?). Dunque, sulla vittoria di Marco Carta si sono scritti fiumi di parole (uhm...questa espressione mi ricorda qualcosa...). Ma l'inutilità delle polemica pre, durante e post si è manifestata concretamente nel secondo posto di Povia. Gli hanno detto che è un bigotto oltranzista, che si schiera con l'ecclesia contro la presunta naturalità dei rapporti omosessuali. Gli hanno fracassato le balle alla prima sera facendo parlare tutti quelli dell'Arcigay dopo la sua performance. Annunciate manifestazioni. Poi però il popolo sovrano lo fa arrivare secondo. E non mi dite che il target dei votanti è composto da 12enni...tutto può essere, ma alla fine proteste o non proteste, Povia la sua publicità l'ha avuta, e a costo zero. In linea di principio, nonostante sia sospettato di essere un "furbetto" e di farsi strada con la faccia da schiaffi che si ritrova, Povia ha ragione nel dire che ognuno è libero di esprimere una sua idea. D'altra parte, coloro che protestano contro Povia leggono ed approvano l'idea della libertà di parola con copiosi commenti ogni giorno sui blog di Grillo, Travaglio, etc etc, anche se il concetto nei suddetti blog è applicato ad un campo spesso differente della libertà di espressione (intercettazioni). Molto rumore per nulla, appunto.
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Post n°45 pubblicato il 23 Febbraio 2009 da bluemoon80
Sono stufa del vecchiume che leggo dentro di me da un po' di tempo. Sarà che scrivere questa tesi di dottorato mi ha devastato psicologicamente, ma sento proprio il bisogno di una boccata d'aria fresca. Professionalmente ma anche interiormente. Mi accorgo che il mio malumore si è ripercosso in modo più o meno marcato su tutti coloro che mi sono più vicini. Ho ignorato per settimane amici e conoscenti, facendo buon viso nelle occasioni formali, anche se dentro di me c'era una bestia che ruggiva e non vedeva l'ora di uscire allo scoperto. Ho spesso utilizzato il mio essere indaffarata come alibi per evitare incontri, appuntamenti. Sentivo che se avessi potuto lasciarmi andare, avrei polverizzato con la mia lingua tagliente chiunque si fosse frapposto fra me e l'autodistruzione. Si, perchè una volta arrivata a saturazione l'unica prospettiva era l'annichilimento...niente luce, niente speranza, niente di niente. Delle volte mi isolavo, senza nessuno, nella mia testa in overflow da paranoie. La mia casa è stata un rifugio pur di non confrontarmi con l'esterno. Ma questo lo sapevo solo io, perchè al di fuori tutto sembrava normale, anche se un minimo cenno al mio malessere percettibile avrebbe potuto precipitarmi in lacrime. Perciò mi farò coraggio e finirò le ultime 3 pagine della tesi, che stamperò venerdì. Andrò a Roma per uno stage al Ministero dell'Ambiente. E, sopratutto, smetterò di confrontarmi continuamente con gli altri e di reputarmi una persona da poco, un'anima nera. |
Sono morta ma non morta. Sono viva, ma non vivo. La mia schiena muta e le braccia distese sono abbandonate al torpore. I miei capelli crescono, si tingono di neve. Ma non sento i tremori delle palpebre. Non ho ferite manifeste. Solo questa mia testa capricciosa che non risponde alla coscienza. Eppure io urlo, ma non mi sente questo spirito sopito. Poi ci sarà un sussulto, un segnale elettrico più persistente degli altri. E nessuno saprà dove ora sono. Mio padre non saprà se davvero volevo morire, o vivere. Nessuno sa.
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PER RIFLETTERE
La conquista nella quale ho impegnato tutto me stesso - la più ardua - è stata quella della libertà di assentire.
Durante gli anni in cui dipesi dagli altri, la mia sottomissione perdeva il suo contenuto amaro, e persino indegno, se mi adattavo a considerarlo un esercizio utile.
Ciò che avevo, ero stato io a sceglierlo, costringendomi soltanto a possederlo totalmente e ad assaporarlo quanto più possibile.
I lavori più aridi li eseguivo agevolmente, solo che mi sforzassi a prenderci gusto.
Se un soggetto mi ripugnava, ne facevo argomento di studio...lo facevo mio accettando di accettarlo.
Da "Le memorie di Adriano" - M.Yourcenar
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