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Moggi a RadioTempi: "La Juve non mi ha difeso. Non hanno trovato niente contro di me"


L'ex dg bianconero commenta la sentenza d'appello del processo Gea del 25 marzo a RadioTempi: "Calciopoli è tutta una montatura. Su oltre 100 mila intercettazioni, solo 40 sono state prese in considerazione e in queste nessuna prova valida".
«Di 170 mila telefonate ne sono state prese 40 e nessuna di queste costituisce reato, perché io non ho mai detto a un arbitro: fammi vincere una partita. Cosa che invece fece Facchetti nella semifinale di Coppa Italia con il Cagliari. Io inoltre entravo negli spogliatoi quando si doveva, o dopo o prima della partita per salutare. Facchetti entrava anche a metà partita e lo testimoniano le intercettazioni. Queste cose le abbiamo scoperte noi. Sarebbe stato opportuno da parte della Federazione calcio trovare prima ciò che c’era da trovare a 360 gradi e poi giudicare. E così, poi, sarebbe stato giudicato tutto il calcio. Le mie intercettazioni non riguardano mai telefonate con arbitri».Parla così a RadioTempi Luciano Moggi, ex direttore generale della Juventus, commentando la sentenza d'appello del processo Gea del 25 marzo durante la trasmissione "Gli spari sopra". «Credo che l’impianto accusatorio sia caduto completamente - continua - anche perché l’associazione a delinquere è stata respinta, la prima volta in primo grado, la seconda dall’appello. E anche l’altra accusa di avere il mercato in mano è stata respinta, l’unica cosa che rimane in sospeso è il non aver dato lo stipendio a Blasi che me lo aveva chiesto. Ma avevo rifiutato perchè il giocatore era stato accusato per doping».«Calciopoli è nata dalla Gea, tutto l’impianto accusatorio è nato dalla Gea. Essere accusato di associazione a delinquere e subire una "condanna" - come la chiama la gazzetta, ma ci vogliono i tre gradi di giudizio per essere condannati - di un anno perché si è tutelato l’interesse della propria società non dando lo stipendio a un giocatore che lo voleva, significa che l’intento accusatorio non esiste più e si vuole trovare qualcosa a cui attaccarsi».Moggi passa poi ad accusare la Gazzetta dello Sport: «Un giornale ha organizzato questa cosa. C’è stato un giornalista che ha fatto parte di quelli che facevano gli investigatori. Quando il collonnello Auricchio è stato interrogato in tribunale ha detto che Maurizio Galdi della Gazzetta dello Sport era un loro collaboratore, che, io lo so perfettamente, andava a cercare anche degli eventuali personaggi che potessero dire qualcosa di male nei miei confronti».Luciano Moggi si lamenta poi della totale mancanza di prove che dimostrino la sua colpevolezza: «Non hanno potuto dire niente se non chiacchere. È un racconto di bugie. Il problema si fonda sul niente, il problema principale è che non siamo stati difesi dalla società. Dopo la morte dell’avvocato e del dottor Agnelli, è successo qualcosa che ha sconvolto l’andamento di questa famiglia, c’è stato un voler ritornare alla Juventus a tutti i costi e magari non difendere coloro che avevano portato la Juventus a certi livelli».«Escludendo Andrea Agnelli - continua Moggi - accuso la famiglia. Lapo Elkann non c’entra niente in questa storia, il problema era la divisione delle proprietà dopo la morte dell’avvocato. Il problema è che avevamo fatto così bene che avrebbero avuto difficoltà nei confronti degli sportivi. L’avvocato della Juventus, mandato dalla nuova proprietà, ha detto al presidente del tribunale che eravamo colpevoli. C'era un problema interno».