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MOGGI su Libero: "Chi zittisce Lotito non si ricorda di certe esecuzioni sommarie..."


Fonte: di Luciano Moggi per "Libero"
© foto di Micri ComunicationNon ho motivi di comunanza di idee né di difformità preconcette con Claudio Lotito, ma la crociata e il “favete linguis” ammannita dalla Gazzetta al presidente della Lazio («zitto tu») è al di fuori dell’ordinario ed in più l’articolista così dotto e letterario riesuma vecchi concetti, adattandoli alle sue tesi, anzi postulati, perché quelli degli altri vanno dimostrati, quelli della rosea no. Tipico di un giornale che pretende sempre di impartire lezioni, ha cercato di far imbastire processi, anticipato sentenze e collaborato anche alle investigazioni con un suo giornalista, situazione vietata dalle norme di categoria. Dalle bacchettate a Lotito e dal pezzo a lui dedicato spulcio alcune perle, una delle quali riferita a un pensiero illustre, ma su ben altri campi (Giovanni Falcone): «La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, ma del khomeinismo; le voci che passano di bocca in bocca diventano dogmi». Eccola, la verità, tirata fuori come un autogol; le vociche diventanodogmi sono quelle che crearono Calciopoli, con l’aggravante che la rosea ci mise molto di suo per trasformare le chiacchiere da bar in verità. Stavolta però l’articolista si preoccupa al contrario, «a sparare fango senza prove - avverte - si rompe il giocattolo». Se la rosea avesse avuto queste preoccupazioni nel 2006 sarebbe stata scritta un’altra storia, non pilotata; ma nessuno controllò se le accuse avevano fondamento, le voci furono erette a dogmi e il rogo appiccato. Non c’erano prove di illeciti, sentenziò il processo sportivo, ma bastò il sentimento popolare, costruito sulle chiacchiere da bar.Ambiente esplosivo - L’ambiente è ora agitato ben più che nel 2006, non c’è n’è uno che si senta sereno, si preoccupa anche il Lecce. Una situazione infuocata, ma per non intaccare il suo postulato l’articolista sentenzia che «a prescindere dall’esito dei processi su Calciocaos, oggi l’aria è inconfutabilmente migliore». Il Calciocaos è “ovviamente” Calciopoli. La rosea, che continuava e continua tuttora ad infierire, creò anche Moggiopoli e qualche direttore che si è avvicendato se ne gloriò, dovendosi poi arrendere all’evi - denza, emersa dalle intercettazioni “ritrovate”. Ma non era neanche il “così facevan tutti” commentato con boriosa reprimenda dalla Gazzetta nel momento in cui qualche commentatore ritenne di configurare in quel modo il comportamento di tanti dirigenti e di tanti club nel 2006 e qualche anno antecedente. E ciò per il semplice fatto che rispetto ai comportamenti messi a setaccio del sottoscritto, lontani anni luce da quello che facevano altri, tra i quali il presidente pro tempore di queglianni dell’Inter, Giacinto Facchetti, che non parlava solo con i designatori (consentito); parlava con gli arbitri e addirittura a Bertini, arbitro di Cagliari-Inter del 12 maggio 2005, semifinale di Coppa Italia, chiese di modificare il 4 (vittorie)-4 (pareggi)-4 (sconfitte) che poi erano i risultati conseguiti con Bertini arbitro, in 5-4-4 (che voleva dire “fammi vincere”); che entrava nello spogliatoio degli arbitri tra il primo e il secondo tempo (era vietato), e chiedeva al designatore di inserire nelle griglie arbitri preclusi per potersi garantire il fischietto preferito. Queste non sono voci, sono fatti usciti dalle intercettazioni che erano state ritenute «non rilevanti».Paura dei tribunali - L’articolista insiste infine su altri punti con sue personali interpretazioni, sostenendo che «con tanto equilibrio al vertice, ogni errore viene enfatizzato, acquista più visibilità». È il contrario. Se ogni errore viene enfatizzato è perché cenesonoassai di più, e se c’è equilibrio al vertice è perché il campionato èmediocre, non ci sono più le squadre forti, non c’è più una Juve che schierò nella finale dei mondiali 2006 dieci propri giocatori tra l’Italia e la Francia (lo ha ricordato anche un campione come Gentile nei giorni scorsi). Ma Garlando queste cose le sa anche se non le scrive, non può infatti sfuggirgli che sono le grandi squadre che fanno grandi i campionati, e non viceversa. Un incubo tormenta la Gazzetta, quello dei tribunali ordinari, ed infatti sul punto la bacchettata a Lotito è durissima. «Il presidente della Lazio, che allude alla giustizia ordinaria - dice l’articolista - non deve dimenticare che con un’azienda ordinaria difficilmente avrebbe spalmato tanti debiti». Tradotto, in situazione ordinaria Lotito non sarebbe esistito (nel calcio). Non proprio elegante.