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Alessandro Vocalelli: "La sconfitta del calcio"


Il direttore del Corriere dello Sport commenta con il suo editoriale le decisioni del Consiglio Federale.Fonte: di Alessandro Vocalelli per "Corriere dello Sport"
© foto di Alberto FornasariUn’occasione persa: la più grande, ma soprattutto la più grave. Il dribbling sull’assegnazione o sulla revoca dello scudetto del 2006 rappresenta una pesante sconfitta per il mondo del calcio, che ha dimostrato di non sapersi guardare dentro in un momento storico così delicato.Il presidente federale Abete ha messo un cappello politico a tutta la vicenda, ricordando che in passato sono stati i sette club più potenti a scegliere la strada del doppio designatore. Eccolo, il peccato originale. Così come ha sottolineato che lo scudetto del 2006 era finito sulle maglie dell’Inter, dopo che gli organi competenti avevano potuto analizzare solo una parte delle intercettazioni telefoniche. Ma il passaggio più significativo nel discorso di Abete è in quell'auspicio disatteso: sperava che l'Inter rinunciasse alla prescrizione. O, come abbiamo sostenuto sin dal primo istante, rinunciasse direttamente a quel titolo. Uno scudetto che tutto il movimento, più ancora dell'Inter, avrebbe dovuto lasciare vacante: il segno, indelebile, del più grande scandalo che ha scosso il calcio.Tutto ciò non è successo e resta, di questa vicenda, un senso di vuoto, impotenza. Ecco perché la decisione sullo scudetto del 2006, quella di scivolare sugli specchi deformanti di una giustizia ingiusta, rappresenta un attentato alla credibilità di un intero sistema. Il calcio italiano, in uno dei giorni cruciali della sua storia, non ce l'ha fatta a dare un’accelerazione a se stesso, nel tentativo di recuperare spessore e fiducia.A prendere le distanze sono stati in pochissimi. Tra questi il presidente della Lega di B, Andrea Abodi, che si è astenuto ritenendo che la Figc avesse la facoltà di decidere in base all’articolo 13.2 dello statuto federale, che attribuisce alla Figc il diritto di designare chi ha vinto il campionato. Un po’ di luce, che però non è bastata a farsi largo in quell’eccesso di cautela, una palude di dubbi, emerso da parte della stragrande maggioranza. Sulla stessa lunghezza d’onda di Abodi si è ritrovato il presidente della Lazio, Claudio Lotito, che non ha condiviso l’aspetto procedurale della votazione, mettendo in discussione - giustamente - anche la titolarità del procuratore federale in merito al richiamo della prescrizione.Il fronte, insomma, non è stato compatto. Ed è naturale, giustificata, ora la mossa della Juve, pronta a ricorrere alle vie legali per chiedere giustizia su quello scudetto assegnato frettolosamente all’Inter: si parla di risarcimenti. Morali ed economici. Già, perché gli effetti di quello scudetto 2006 non sono stati solo di carattere sportivo, ma anche di carattere amministrativo. In quell’estate ci sono stati, ormai è innegabile, club colpiti nella passione e nelle casse. E altri club, invece, che hanno tratto profitto e benefici da quel verdetto.C’è chi è uscito rafforzato da Calciopoli. E chi, al contrario, ha pagato un prezzo altissimo. In questo gruppo di società uscite danneggiate va inserita anche la Fiorentina, che - per difendersi da una pressione esterna insopportabile - è però finita sul banco degli imputati, condannata a rinunciare alla conquista della qualificazione in Champions League ( soldi e prestigio) e a partire nella stagione successiva con un pesante handicap. La famiglia Della Valle aveva invocato, nelle scorse settimane, un senso di responsabilità e un totale coinvolgimento sul caso dello scudetto del 2006. Si era battuta affinché i presidenti si potessero ritrovare intorno a un tavolo a riflettere, ad analizzare, a scavare su un problema che non doveva e non poteva essere ignorato. Logico che una profonda rivisitazione dovesse partire, passare, dalla disponibilità generale a mettere da parte, per un momento, gli interessi personali. Per ragionare in termini di sistema, di squadra, di movimento. Un richiamo che almeno finora è caduto fragorosamente nel vuoto.Uno scenario sgradevole, avvilente, che rischia di alimentare tensioni e veleni in vista dell’inizio della nuova stagione. La decisione ingessata di ieri è lo specchio di un sistema impacciato e in sofferenza, incapace di farsi domande scomode e di dare un’immagine matura di se stesso. Era questa l’urgenza: provare a riparare in modo concreto a una giustizia che il tempo ha con-fermato sommaria e incompleta. E viene da chiedersi, sempre di più, perché nel 2006 fu adottata una selezione così netta delle intercettazioni. Con alcuni club passati al setaccio, sotto la lente di ingrandimento, e altri completamente ignorati. E' l'altra risposta che resta in sospeso.Certo è che l’etica non può e non deve andare mai in prescrizione. E’ sufficiente pensare che non c’è prescrizione nel Codice di Procedura Penale, di fronte a reati più gravi. E l’esempio ci arriva da processi storici che sono stati riaperti dopo decenni. Ma il calcio viaggia su altre frequenze, anche a costo di tradire un suo mandato. La prescrizione, che solo recentemente è stata portata a otto anni, è un muro invalicabile. Anche quando c'è di mezzo l'attentato più grave al sistema sportivo, che si fonda su tre princìpi indissolubili: lealtà, probità, trasparenza.