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Terroristi mediatici


Il caso Carobbio e la gogna mediatica scatenata contro Antonio Conte: un film già visto, ma stavolta avrà un finale diverso
© foto di Matteo Gribaudi/Image SportLa strategia è ormai chiara, anche perché è sempre la stessa: iniziare con un venticello, magari con una frase o un nome buttato apparentemente a caso all'interno di un qualche servizio su uno scandalo in atto o pronto ad esplodere. Insinuare quindi il sospetto fra la gente, il dubbio su un determinato evento o su di una persona. Poi scatenare una tempesta, magari alzando i toni alla vigilia di una partita clou, gettare discredito, fare titoli a tutta pagina con colui o coloro che si vogliono colpire, aprire i TG con notizie bufale, magari su dichiarazioni vecchie di mesi e ampiamente smentite dai fatti e dalla testimonianza di altre cento persone, ma che lo stesso possano eccitare le fantasie morbose di qualche sfegatato anti-juventino. Una vera e propria strategia denigratoria, una sorta di attacco terroristico e vile attraverso i media, un film già visto, nel 2006.Anche gli esecutori materiali di questi attacchi, qualcuno li ha perfino definiti avvoltoi, sono sempre quelli del 2006: stessi giornali, stesse tv, stessi "giornalisti" pronti a dare sfogo alla loro faziosità o a soddisfare gli ordini che gli arrivano dall'alto, dal padrone di turno da compiacere. Sono sempre i soliti, insomma: senza ritegno, senza alcun rispetto non solo verso i lettori o per la professione, ma anche per sé stessi. Pronti a tutto, anche alle invenzioni, pur di gettare fango sulla Juventus. Sono gli stessi che anni fa titolavano a nove colonne che i sorteggi arbitrali erano truccati, che Paparesta era stato minacciato e imprigionato in uno spogliatoio, che altre squadre oneste non chiamavano mai gli arbitri o i designatori, che Moggi aveva corrotto mezzo mondo, che il campionato 2004-2005 era stato falsato e che se c'era un nuovo Messia sulla terra, quello si trovava certamente a Milano. Tutte palle, tutte sciocchezze ampiamente smontate dai processi di questi mesi e da quanto emerso in essi, con tanto di sentenza del tribunale che ha sentenziato l'assoluzione piena della Juventus nonché la validità e la correttezza di svolgimento del torneo di Serie A incriminato e per il quale alla società di corso Galfer è stato quindi ingiustamente scippato uno scudetto vinto con merito sul campo. Poi ci sono gli altri, gli opportunisti dell'ultima ora, quelli che quando il padrone è indagato per corruzione, concorso esterno in associazione mafiosa o altre presunte nefandezze simili, gridano allo scandalo, si prodigano nei loro servizi a richiamare il diritto costituzionale alla privacy e alla possibilità per un accusato di difendersi nei tribunali, a condannare la fuga di notizie orchestrate ad arte a loro modo di vedere dai soliti magistrati comunisti, tirando magari in ballo la persecuzione politica, la magia nera o quant'altro. Cosa per carità giustissima, perché non è corretto attaccare la dignità della gente così, per partito preso, sbattendo il malcapitato di turno come mostro in prima pagina magari per situazioni poi non confermate dai fatti, ma che diventa sbagliato quando le corrette motivazioni di cui sopra vengono invocate esclusivamente quando fa comodo, ad alternanza a seconda di chi è il perseguitato.In questo clima di caccia alle streghe (juventine) a cambiare semmai è chi sta questa volta dall'altra parte della barricata, a subire, per ora, l'offensiva: non più gente disposta al martirio, non più gente tutta smile&pazienza, ma gente agguerrita, preparata e certo non distratta. Questa volta gli ultrà da redazione troveranno pane per i loro denti, insomma, e se qualcuno di loro ha un fegato grosso così a causa del ritorno della vera Juventus, trovi un altro modo per farselo scoppiare, ma stia alla larga dal club bianconero e dai suoi tesserati. La società però si dia una mossa, non è più tempo di sorrisi e di silenzi, quelli lasciamoli all'era Cobolli. Ora è il momento di tirare fuori le armi e fare la guerra: mediatica, giudiziaria e "politica". Ma basta porgere l'altra guancia a certe forme di terrorismo.