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La caviglia di Tevez. Il processo è servito


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  di G. Fiorito   Nel clima arroventato delle polemiche seguite alla sesta giornata di campionato riprende a Napoli il processo di calciopoli. Come ricorderete, il 20 settembre si registrò un rinvio della terza udienza dell’appello a causa di uno sciopero degli avvocati penalisti. Sono attese le dichiarazioni spontanee degli imputati intenzionati a far sentire la loro voce e soprattutto le novità fatte trapelare da Luciano Moggi che coinvolgerebbero i vertici della FIGC dell’epoca, l’ex presidente Carraro e il suo vice, poi subentratogli dopo il commissariamento, l’attuale presidente Abete.   Come ricorderete, la posizione di Carraro, in un primo momento pesantemente coinvolto nelle accuse di calciopoli, fu via via alleggerita fino a quando “colui che cade sempre in piedi”, come amava definirlo la stampa, non riuscì a sgusciare completamente fuori dal vespaio di responsabilità, fino a ritrovarsi eletto nell’ultima tornata elettorale dello scorso febbraio, senatore della repubblica. Nonostante gli ultimi vagiti del processo di primo grado di Napoli ci avessero illuminato sulle sue direttive quando era presidente della Federazione, che consistevano soprattutto nell’intimare ai designatori (Bergamo) di comandare agli arbitri (Rodomonti) di non favorire la Juventus, specialmente se giocava contro l’Inter (Link).   L’appello avrebbe dovuto alzare subito l’interesse sul processo, poiché gli ex arbitri De Santis e Bertini, tra gli ultimi quattro rimasti dentro la cupola, avevano annunciato l’intenzione di rinunciare alla prescrizione, che a causa delle lungaggini dei procedimenti giudiziari finisce a volte tragi-comicamente per avvantaggiare le accuse piuttosto che le difese, privando i cittadini della legittimità di un giudizio equo e lasciando che la memoria dei fatti rimanga distorta per sempre. Il sistema, noto come insabbiamento, è ancora oggi il rischio peggiore al quale calciopoli, che è stato essenzialmente un fenomeno mediatico, basato su falsità e occultamenti di ogni sorta, rimane esposto con il beneplacito dell’informazione italiana, della quale rappresenta uno dei gradini più bassi mai toccati.   A eccezione di Libero, nessun organo di informazione ha mai sottolineato per esempio che Luciano Moggi è stato condannato in primo grado a 5 anni e 4 mesi, praticamente la pena massima prevista all’inizio del processo, nonostante il reato contestato sia stato ridotto a un pericolo di tentata frode e non a una frode sportiva concretizzata. Gli opinionisti di parte che hanno sostituito nei palinsesti televisivi i giornalisti veri non fanno che sottolineare come calciopoli debba essere superata e dimenticata, senza minimamente soffermarsi a considerare che, se mai ci fu davvero, il sistema Moggi non fu né l’unico, né tantomeno il meglio organizzato. La scoperta degli intrallazzi operati in Telecom da Moratti, Facchetti, Paolillo con la collaborazione di Nucini, un arbitro in attività, che dopo aver accusato Moggi di aver cercato di corromperlo, non ha confermato in aula le accuse ciscostanziandole ogni volta in maniera diversa, non ha sortito titoloni in rosa né rigurgiti etici. Protetti dal silenziatore dei media i “pentiti” dell’accusa sono sempre fuggiti nel momento della verità e sotto giuramento si sono guardati bene dal confermare le accuse. Persino Baldini, che in coppia con Zeman ha proiettato finalmente la società giallorossa verso un bel campionato solo dopo averla lasciata alla guida di un altro allenatore e di un’altra dirigenza.   Sono passati quasi due anni dalla sentenza di primo grado, che ha visto cadere le accuse riguardo ai condizionamenti operati dalla cupola  attraverso impossibili sorteggi taroccati e inverosimili programmi televisivi tacciati della qualifica di “bar dello sport” dai loro stessi conduttori (Biscardi). Alla lunga Moggi e Giraudo sono rimasti soli dentro la loro cupola fatiscente, a cercare di salvare la Fiorentina dalla serie B, mentre sia la sentenza sportiva che quella della giustizia ordinaria hanno stabilito che il campionato 2004/2005 non è stato alterato e che la società Juventus non è stata responsabile di ciò che accadde, se mai qualcosa accadde.   Tornare a parlare di calciopoli adesso non è facile. Le solite piccole squallide figure, sottoprodotto di una cultura televisiva di serie B, che ha creato un impero che Auricchio non riusciva a ricondurre al presidente del Milan, alla quale tutti i media si sono adeguati negli ultimi vent’anni, hanno ripreso a gracchiare. A nessuno interessa se il Napoli o il Milan beneficiano di un errore arbitrale. Con il risultato che c’è sempre qualcuno che pensa che calciopoli sia un problema di calcioscommesse e che Moggi debba essere condannato perché era antipatico.   Il 18 settembre scorso Google ha dedicato uno dei suoi celebri doodle (Link) al pendolo di Foucault, nel 194esimo anniversario della sua nascita. L’occasione mi ha riportato alla mente la settimana che ho avuto modo di trascorrere nel novembre 2007 a Parigi e specialmente la visita al Pantheon, spingendomi a ricercare nel web le immagini di quel monumento. Mi è capitato allora di leggere alcuni commenti dei visitatori che più recentemente si sono recati in visita al tempio laico per eccellenza della cultura occidentale, i quali lamentavano di non aver potuto vedere il pendolo a causa di un restauro. Ciò che più mi ha ferito è stato il dover costatare che quella sensazione che io ho provato, ancora più che nel Pantheon romano e nella chiesa di Santacroce a Firenze, dinanzi alle tombe di tanti grandi che lì riposano non era condivisa, poiché non aveva destato in loro nessun sentimento di benessere, né di pacata, orgogliosa serenità per la bellezza che certe mura trasudano. Una bellezza che non dipende dalle colonne finemente tornite né dalle volute dei capitelli o dalla raffinatezza degli stucchi e degli affreschi. Una bellezza che deriva dalla coscienza del pensiero dei grandi.  Gli italiani questa bellezza hanno disfatto nei talk-show e hanno tradito con l’assenza di garantismo, il giustizialismo e il rifiuto di comprendere con la propria testa e giocare lealmente una partita, sia essa sul campo o nell’agone politico. La caviglia di Tevez è una metafora di questa realtà vergognosa.   http://www.giulemanidallajuve.com/newsite/articoli_dettaglio.asp?id=3203