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Tevez a Gazzetta: "Tornerò al Boca, ma per ora la mia testa è qui, alla Juve.


Conte è un fenomeno. A Fuerte Apache ho imparato a non mollare mai"    © foto di Matteo Gribaudi/Image Sport
Carlitos Tevez ha parlato a Gazzetta dello Sport, una chiacchierata partendo dalle origini, dalla famosa Fuerte Apache, mostrata anche nelle magliette celebrative: "Lì diventi adulto subito, non puoi restare a lungo bambino. La vita è durissima, vai a letto col rumore degli spari che sale dalle strade, vedi morire amici, e mangiare tutti i giorni non è scontato. Da Fuerte Apache, insomma, o non ne esci proprio oppure ne emergi come uomo vero. Ma almeno ai miei tempi c’era una specie di codice...Voglio dire che oggi la droga ha peggiorato le cose, ha cancellato ogni forma di rispetto in generale. La droga è ovunque, purtroppo a portata di mano di chiunque....A Fuerte Apache lì ho imparato a non mollare mai"Un ricordo che passa anche dal primo gol: "Avevo sei o sette anni, torneo delle periferie per bambini: il mio palazzo, il Nudo 1, arrivò in finale e io segnai il gol-partita. C’era un sacco di gente a vederci, tutta la mia famiglia, gli amici... Ricordo la gioia e l’orgoglio che ci univa in quei momenti. ​Sempre fatto l'attaccante, nemmeno ci provavano a mettermi lontano dalla porta avversaria".Tevez ha ribadito che il suo calcio nasce dalla palla, cosa imparata sui campi du Fuerte Apache, passando poi a descrivere come il Boca sia importantissimo per lui: "È la mia vita, la squadra che ho sempre amato. Non dimenticherò mai il giorno dell’esordio in prima squadra, non avevo ancora 18 anni, contro il Talleres de Cordoba. Ci sono restato poco al Boca, per problemi economici fui ceduto al Corinthians, maho vinto ogni cosa e vissuto emozioni incredibili. Ricordo la gioia più grande, l’Intercontinentale 2003 strappata al Milan. E ancora soffro per il cartellino rosso preso nella semifinale di Libertadores 2004 contro il River Plate: avevo appena segnato l’1-1 e l’arbitro mi buttò fuori per troppa esultanza. Superammo poi il River ai rigori, ma io saltai la finale persa con l’Once Caldas. Meno male che prima di lasciare Buenos Aires portammo a casa la Copa Sudamericana, almeno me ne andai con un successo importante. Tornerò, questo è sicuro, ma per ora la mia testa è qui, alla Juve. Sto davvero bene a Torino, e torinese sarà il mio prossimo figlio, Lito junior. A proposito, voglio ringraziare tutti per l’affetto che ho sentito durante il ricovero di mia moglie a fine anno. Lei ora è con me, e io sono felice.Su Conte:"È un fenomeno, unico, mai visto un tecnico così. È pure un po’ “loco”. È la vera forza della Juve, non ti molla un attimo, anche quando rientri negli spogliatoi ti chiede di spingere a mille chilometri orari".Sulle competizioni da giocare e vincere:"Penso a entrambe le competizioni. Le voglio. Ho vinto campionati in Argentina , Brasile e Inghilterra: l’Italia sarebbe il quarto Paese. Sogno di scrivere una pagina di grande storia per questo club. L’Europa League è l’unica competizione internazionale che mi manca a livello di club. Altro che coppa di riserva... Il campionato non è finitonel ritorno avremo gare durissime in trasferta: Napoli, Roma, Lazio, Milan e Udinese per esempio. C’è ancora da sudare. Le avversarie: "Sono rimasto impressionato dalla crescita di Callejón...La serie A resta il campionato più duro del mondo. È l’università del calcio, la tattica qui è al massimo livello e si soffre su ogni campo. Solo la Juve ogni tanto dilaga. L’Italia mi sta completando. Se fai gol qui, segni ovunque».Il tecnico della sua carriera: "Carlos Bianchi, che mi ha fatto esordire nel grande calcio. E a Marcelo Bielsa, con il quale ho vissuto i miei anni migliori in Nazionale. Bielsa era appunto il c.t. dell’Olimpica ad Atene. Che grande squadra quella: vincemmo tutte le partite, senza la minima difficoltà, fu quasi una passeggiata".