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IL BIDONE D'ORO..


Da gioiello emergente del calcio mondiale, a uomo simbolo di due grandi disfatte, in bianconero e soprattutto in verdeoro. L’unica buona notizia per Felipe Melo è che la stagione 2009/2010 è finita, e con essa, si spera, il suo annus horribilis. Era arrivato a Torino, dopo un’ottima stagione a Firenze, per 25 milioni di euro, punta di diamante, insieme a Diego, di una campagna di mercato che avrebbe dovuto permettere alla Juve di annullare il gap nei confronti dell’Inter. E invece il rendimento di Melo è presto precipitato, tra nervosismo, prestazioni disastrose e scintille continue con i tifosi, che lo hanno trasformato nell’emblema del disastro juventino. Nella sua prima stagione bianconera, Melo ha guidato solo le classifiche dei cartellini presi, 13 gialli e due rossi, facendo emergere il lato peggiore di quella ruvidità che lo aveva fatto diventare uno degli idoli della curva viola. Nella Selecao Felipe Melo era invece il simbolo della svolta voluta da Carlos Dunga, deciso a creare una squadra operaia, muscolare, a sua immagine e somiglianza da giocatore. Il suo Mondiale era iniziato due sufficienze stiracchiate, contro Corea del Sud e Costa D’Avorio, poi contro il Portogallo la sua partita era durata soltanto 44 minuti. Dunga lo ha recuperato e mandato in campo per la sfida con l’Olanda, quella in cui il disastro si è compiuto e l’assist per l’1-0 di Robinho si è rivelato una luce nel bui pesto; conta poco che la Fifa abbia cancellato dalle statistiche la sua autorete, assegnando il gol a Snejider. Felipe Melo ha mandato fuori causa Julio Cesar regalando di fatto l’1-1 all’Olanda, lasciando poi in dieci i suoi compagni con l’assurdo fallo su Robben. Il suo Mondiale è finito nel modo peggiore, tra le critiche dei tifosi comuni e le accuse dei tifosi vip come Ronaldo. L’unica consolazione, forse, è che adesso che il fondo è stato toccato si può solo risalire.