Ripartire (quasi) da zero non è facile. Ma nei due brevi incontri di ieri con Inter (soprattutto) e Milan sono comparse lacune un pò troppo simili a quelle del recente passato...di Thomas Bertacchini
Serie A, coppa Italia, Supercoppa Italiana, campionato Primavera: ovunque è presente il marchio TIM.Nell’Italia calcistica tutto, o quasi, è diventato "proprietà" esclusiva dell’Inter.Dalla stagione 2006-07 (le ultime quattro, per intenderci) ad oggi: quattro scudetti, una coppa Italia, una Supercoppa Italiana (su tre, la quarta si disputerà tra pochi giorni), un campionato Primavera.Storia di una dittatura sportiva. Dalla stessa stagione 2006-07, inoltre, si è deciso di intitolare alla memoria di Giacinto Facchetti (ex presidente nerazzurro) la manifestazione riservata ai giovani.Anche nel trofeo (estivo) TIM, quello che si gioca in una sola sera dopo aver trascorso la giornata sotto l’ombrellone, la musica non cambia: 6 vittorie dei nerazzurri in 10 edizioni disputate. "Una volta" si ironizzava su questo: lasciate le briciole, le illusioni e i sogni agli altri, lo scudetto era cosa da "grandi". Da Juventus e Milan, per intenderci.Queste sono "prove", si diceva. Di un film che poi, nel corso dell’anno, non "si sarebbe più visto". Brevi incontri da 45 minuti l’uno, tre tempi di un triangolare dove ci si guarda dritto negli occhi per tre quarti d’ora con una contendente, mentre "l’altra" è seduta a bordo campo o ti sta comunque osservando da un monitor a pochi metri di distanza.Sono le serate delle "giustificazioni": i giocatori hanno ancora i muscoli imballati, le gambe molli e stanche, non riescono a coprire bene gli spazi di loro competenza in campo, i brevilinei arrivano prima sul pallone rispetto a chi ha una struttura muscolare più pesante, chi è stato appena acquistato da un’altra società non può essersi ancora ambientato e conoscere bene i compagni. Scendono dalla tribune i vari Nwankwo, Biraghi, Natalino, Oduamadi, per poi tornarci - dopo qualche giorno - quando si inizia a "fare sul serio". Oppure per prendere una valigia e girare per l’Italia (a volte l’estero) con la missione di "crescere e farsi le ossa". Altrove. Perché in una società importante, da noi, non c’è tempo da perdere: bisogna vincere. Subito.Dove non arriva il fisico è la tecnica che dovrebbe compensare le lacune di questo periodo: Sneijder, Ronaldinho, Diego... Sono stati soprattutto loro, quelli a cui la classe certo non manca, i protagonisti del trofeo disputato ieri. Oltre a chi, come Amelia, sfrutta queste occasioni per mettersi in mostra: a suon di parate eccezionali sta cercando di guadagnarsi il posto da titolare nel nuovo Milan di Allegri.Come si è detto (e scritto) in tutte le salse in questi giorni, Diego e Del Piero restano gli unici giocatori, nella rosa bianconera, a possedere quella qualità necessaria per alzare il livello di potenzialità e competitività della squadra. Uno è in partenza (se già non è stato tutto definito); l’altro ha ormai raggiunto le trentacinque primavere (a novembre saranno trentasei), e quella che sta per iniziare sarà quasi certamente la sua ultima stagione a Torino.Dove si cerca ancora di portare il tanto atteso bomber Dzeko: lui sì che sarebbe un grandissimo acquisto. Ma di questo passo - e per quanto (intra)visto ieri sera - potrebbe rischiare di rimanere isolato, davanti al portiere avversario, senza rifornimenti ed un gioco degno di tal nome alle sue spalle. Sarebbe come acquistare una macchina di lusso e non avere più i soldi per metterci la benzina: finisci col tenerla nel garage, per andarla a vedere ogni tanto. Senza poterla utilizzare.C’è la grinta, ci sono ancora errori (alcuni giustificabili), ma continua a non vedersi la qualità. Rimangono pochi giorni per rimediare a questo difetto, che non si elimina continuando a comprare laterali (che pure mancano, tanto a centrocampo quanto in difesa), ma inserendo calciatori - là in mezzo - che abbiano quelle caratteristiche. Sissoko, Felipe Melo e Marchisio: c’è posto ancora per uno, ipotizzando una rosa dove si prevede almeno un sostituto per ruolo in ogni reparto (o settore). Ma potrebbe anche non bastare. Era proprio necessario dare via (di nuovo) Ekdal?Chi la scorsa estate è rimasto scottato dalle promesse di una stagione vincente, si è spalmato la crema solare: niente più illusioni, ora si procede a fari spenti. Chi si è letteralmente bruciato, adesso fatica a contenere la rabbia e la paura di assistere, nuovamente, ad un campionato da vivere a distanza di anni luce rispetto all’Inter. E, forse, non solo a lei.I 27 punti di distacco dai nerazzurri, i 25 dalla Roma e i 15 dal Milan della scorsa stagione sono figli di un’annata storta, dove le lacune di idee societarie senza basi solide sono venute fuori (in via definitiva) tutte, nessuna esclusa.Ma sono (anche) i limiti di gioco attuali della Juventus che contribuiscono a non rendere tranquilli i suoi sostenitori.Corini e Perrotta nelle prime due stagioni del ritorno del Chievo in serie A, Baronio e lo stesso Perrotta (Corini passò al Palermo) nel 2003-04: non si trattava di giocatori del livello di uno Xavi o uno Iniesta del Barcellona attuale, ma con quei calciatori posizionati nella zona centrale del campo Del Neri riuscì a dare un’identità ben precisa (e dei risultati) ad una squadra che non aveva, a sostegno, una società dalle possibilità finanziarie pari a quelle della Vecchia Signora.Frequentemente ci si domanda, al cospetto di realtà minori, come è mai possibile che - differenze tecniche alla mano - la Juventus non riesca più ad avere un gioco accettabile (fosse anche solo "un" gioco) da diversi anni a questa parte. Spesso ("troppo") è capitato di essere sconfitti da loro su quel piano prima ancora che nel risultato finale.Si è coscienti che ripartire è (e sarà) difficile. Ora Del Neri ha in mano la Juventus, e la speranza è che riesca a ripetere anche a Torino quanto fatto a Verona, almeno per quello che è di sua competenza. E’ ancora presto per stilare giudizi definitivi: sia perché il calciomercato estivo ancora non è completato, sia perché - in questo periodo - la condizione fisica non ottimale di alcuni giocatori non facilita il recepimento, sul campo, dei dettami del nuovo allenatore.Quello che spaventa, però, è la sensazione che la scelta di alcuni uomini cui far interpretare alcuni di questi ruoli possa essere sbagliata. E la paura è quella di assistere, nuovamente, ad un film già visto.C’è ancora del tempo, per rimediare. Lo si usi a dovere.