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Lanzafame: «Juve, ho un cuore da tifoso»


 L'intervista all'attaccante esterno bianconero: ««Avevo i poster di Del Piero e Zidane. Quando indosso questa maglia penso alla storia, alle vittorie e ai campioni. E’una responsabilità, ma non mi fa paura, mi stimola a dare il massimo dopo 14 anni passati nelle giovanili bianconere. E pensare che da bambino potevo finire nel Toro»
TORINO, 15 agosto - Il giovane attaccante esterno della Juve Davide Lanzafame è pronto per vivere una stagione da protagonista, dopo quella che lo ha lanciato l'anno scorso: 7 gol con la maglia del Parma. Davide Lanzafame co­me ha convinto Del Neri a volerla alla Juventus?  «Con una buona seconda par­te di stagione a Parma. Io non potevo andare in una terza squadra: Juve e Palermo si so­no accordate». Al bianconero ci è abituato, visto che passato 14 anni nelle giovanili bianconere. «Per me è un ritorno a casa ol­tre che una grandissima occa­sione. Da non perdere». Partiamo proprio da lì: co­me ha iniziato? «Devo tutto a mio fratello! La mia è una storia un po’ partico­lare: ho iniziato nel Barcano­va, una piccola società di Tori­no dove mio padre era dirigen­te. Mio fratello Giovanni, di dieci anni più grande, volle a tutti i costi che facessi un pro­vino al Torino, ma non lo pas­sai. Così tornai al Barcanova, per la felicità di mio papà che non pensava al professioni­smo. Mio fratello mi spinse in­vece a tentare con la Juve. E andò bene». Il suo primo allenatore? «Franco Perri: con lui feci il provino». Il poster in camera? «Del Piero, Zidane e Weah, era­no i miei idoli: mi piacevano gli attaccanti potenti come il mila­nista e i fantasisti che sapeva­no dare spettacolo». Con le giovanili della Ju­ventus ha vinto e segnato molto.  «Abbiamo conquistato un Ber­retti, un campionato Primave­ra, una coppa Italia, una Su­percoppa italiana, un Viareg­gio, dove sono stato capocacan­noniere ». In questi anni di lontananza ha continuato ad avere la Juventus nel cuore? «Bisogna scindere l’aspetto la­vorativo da quello del tifoso: massima professionità come giocatore, ma la squadra del cuore ti rimane dentro, a mag­gior ragione se ci giochi 14 an­ni. E’ come una seconda pelle». A undici anni faceva il rac­cattapalle al Delle Alpi con Del Piero in campo, adesso ci gioca insieme: cosa signi­fica avercela fatta? «Enorme orgoglio e grossa sod­disfazione personale: mi pren­do il 70-80% del merito, il resto va alla mia famiglia perché mi è stata d’esempio». La Juventus è un punto di partenza: per arrivare do­ve?  «Per arrivare il più lontano possibile... sulla luna. Non co­nosco il futuro, ma voglio met­terci tutta la forza per farcela e restare qui». E questa Juventus dove può arrivare? «Deve guardare giorno dopo giorno, metterci massimo im­pegno in allenamento, ascolta­re gli insegnamenti di Del Ne­ri ed essere umile. Senza tutto ciò non andremo lontani». Un giocatore a cui si è ispi­rato?  «Enrico Chiesa, per me era fantastico». Il gol più bello? «In un derby Primavera vinto 2-1, bello a livello tecnico, im­portante per il risultato. Ci so­no affezionato». La prima doppietta in serie A invece l’ha segnata l’anno scorso contro la Juventus. «Però non ho neanche esultato per rispetto per la società in cui sono cresciuto». Tre anni di esperienza lon­tano da Torino cosa le han­no dato? «Tantissimo, a livello calcistico e personale, sento che è il mo­mento giusto per essere appro­dato alla Juve, un anno fa non lo sarebbe stato». Del Neri che cosa chiede di diverso dagli altri tecnici? «Il massimo impegno nel di­fendere e nell’attaccare, la squadra deve garantire in tut­ti i ruoli il top per 90 minuti». E’ davvero un dittatore co­me si dice? «No, a me è piaciuto fin dall’i­nizio il suo comportamento. Quando è il momento di scher­zare, si ride insieme. Del resto, facciamo un mestiere spetta­colare, farlo con il muso non avrebbe senso. Ma quando bi­sogna mettersi sotto, non con­cedere sconti». Seconda punta o esterno of­fensivo: qual è il ruolo che sente più suo?  «Negli ultimi anni mi sto spe­cializzando nel ruolo di ester­no, corsa e qualità». Sarà lei l’erede di Nedved? «Ha fatto cose grandissime, è un esempio e un’eredità pesan­te. Però se giochi nella Juve non devi aver paura dei gioca­tori passati prima di te, se uno dà il massimo, il lavoro paga». A Palermo il momento più difficile: solo 9 presenze e 0 gol. Mai pensato di abban­donare tutto e fare il mobi­liere come i suoi genitori? «Se a 22 anni abbandoni alla prima difficoltà non hai la per­sonalità per fare il calciatore. La forza sta nella capacità di rialzarsi. Mi capiteranno altri momenti no, se fossimo sem­pre al top saremmo supereroi, nel calcio come nella vita. Inve­ce siamo normalissimi». Una curiosità: chi le ha fat­to questo taglio di capelli al­la moikano? (ride)  «Il mio barbiere, poi ci ha pensato Storari a Dublino, pri­ma del debutto europeo, ad ac­centuare il taglio sui lati». La nuova Italia si è svec­chiata: pronto per la Nazio­nale? «E’ prematuro parlarne, prima devo dimostrare quanto valgo con la squadra di club. Il mio pensiero è soltanto per la Juve, in futuro spero ci sia l’azzurro anche per me». Del Neri ha detto prima di Juve-Shamrock: squadra che vince non si cambia. Si sente titolare? «No, sono uno dei 25-26 della rosa che ogni giorno mettono in difficoltà il mister, solo così si forma un grande gruppo». I difensori “più scomodi”? «Chiellini e Lucio: meno male che adesso uno gioca con me». Juventus vuol dire? «Storia, vittorie, la squadra più importante e titolata in italia, la squadra dove sono cresciuto, quindi ha un sapore particola­re. Penso sempre a tutto que­sto quando vesto la maglia».