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Bonucci a La Stampa: "Pensiamo a vincere ogni partita"


© foto di ALBERTO LINGRIALeonardo Bonucci è uno dei volti nuovi in casa Juventus che sta conquistando pian piano i tifosi. Arrivato in estate dal Genoa via Bari, è considerato uno dei prospetti mondiali di miglior talento. In una interessante intervista rilasciata a La Stampa Bonucci si racconta a tutto tondo. "Fino a 19-20 anni non ero nessuno: non me l'aspettavo, ma l'ho sempre sognato. Sono uno di quelli che fin da piccolo voleva fare il calciatore: pallone 18 ore su 24, da quando avevo 5 anni. Capitava che mi buttavo nelle partitelle di mio fratello, Riccardo, che ha quattro anni più di me. Una volta mi sono rotto il mignolo: ero il più piccolo e mi avevano messo in porta.  Tutti tifavano Inter: ero la pecora bianconera della casa. Dietro ho iniziato a 17 anni, prima giocavo davanti alla difesa: mi piaceva impostare il gioco, fare il lancio, la bella giocata. Poi, alla Viterbese, Carlo Perrone mi disse: “Se vuoi diventare qualcuno devi giocare difensore centrale”. Ero titubante, ma aveva ragione. Dai sette-otto anni ero sempre il più alto. E un anno ho perso quattro, cinque mesi per il morbo di Osgoog-Schlatter (sindrome ossea per la crescita, ndr): mi svegliavo la notte per il male alle ginocchia". Una carriera che stava per essere tranciata dopo le prime esperienze negative (fallimento a Treviso e Pisa): "Ancora sto aspettando gli stipendi. Andai a Bari e pensai: “Se retrocedo anche stavolta, meglio smettere di giocare. Proprio a Treviso mi sono tatuato per aspera ad astra quando me ne stavo in tribuna a ogni partita". I tatuaggi sono una vera e propria passione visto che sul suo corpo ne sono presenti altri: "Le iniziali dei miei genitori, Claudio e Dorita, e di mio fratello. Dietro al collo, “Per gioco o per destino. Unforgettable”. Una frase che mi sono fatto con Martina, la mia fidanzata: la mia ascesa è cominciata con la convivenza con lei. Le mando un sms prima di ogni partita per farle capire che ci sono anche se sono da un'altra parte del mondo". Ritornado al calcio indica i suoi modelli in Nesta ("per eleganza") e Cannavaro ("per determinazione"), mentre l'avversario più forte affrontato fino a ora è Milito. Un giocatore si rivede in tv? "Ogni tanto sì, soprattutto quando sono andato male. Vado a vedere dove ho sbagliato e m'incavolo con me stesso, anche se a bocce ferme è più facile sapere cosa fare". Ecco ora affrontare la sua avventura a Torino: "A Udine abbiamo dimostrato che con l'applicazione e la cattiveria possiamo affrontare chiunque. Mi piaceva ai tempi della Primavera saltare un avversario con una finta: con Ventura la tendenza è aumentate perché non buttavamo mai via una palla. Del Neri non mi ha detto nulla, però, un po' per la stanchezza, un po' per la volontà di cambiare e invertire la rotta dell'istinto, ho sparato due palloni in tribuna.  A Bari eravamo abituati ad aspettare l'uomo dentro l'area: Del Neri vuole che il centrale dalla parte della palla accorci, mentre la porta se la dividono l'altro centrale, il terzino e l'esterno. Pensiamo a vincere ogni partita poi tiriamo le somme: sennò creiamo solo illusioni. Spero di essere un punto fermo della Juve e migliore di quello che sono oggi".