De Falco: «Che errori grossolani in quell’indagine! Le telefonate sulle schede straniere si possono ascoltare, perché non fu fatto? E perché alcune sparirono? Manca una parte di verità»ROMA, 3 dicembre - Aveva stupito senza effetti speciali l’ingegner Giuseppe De Falco, nell’ultima udienza del processo Calciopoli. E’ il perito di parte dell’imputato Mariano Fabiani e ha messo al servizio dell’avvocato Morescanti la sua esperienza di perito per numerose procure d’Italia proprio su materie come quelle delle sim svizzere messe al centro del dibattimento napoletano dal lavoro dei carabinieri di Roma e passato ai pm Narducci e Beatrice (poi Capuano). Aveva stupito per come, dall’alto dei suoi 25 anni passati ad affiancare chi sgomina bande e affiancare la polizia giudiziaria, aveva smontato il ragionamento del tenente colonnello Auricchio, che ha associato ogni scheda sim a uno degli imputati basandosi sulle zone geografiche delle celle a cui le schede si collegavano. In sostanza un sillogismo “sim svizzera=persona” (poi imputato). Ma De Falco ha pure detto chiaro e tondo che quella rete alternativa creata da Moggi era tutt’altro che misteriosa: che, volendo, ci si poteva entrare, mettere orecchio e magari raccontare una storia diversa di Calciopoli. De Falco - che insegna “sistemi automatici” in un istituto superiore di Salerno - collabora con numerose procure, anche con quella di Potenza dove agiva il giudice Woodcock, quello delle indagini su Vittorio Emanuele e il caso dei videopoker. «Calciopoli, indagando diversamente, poteva dare altri risultati, questo è sicuro».Ingegner De Falco quattro anni fa l’incarico dei legali di Fabiani, che idea si fece sull’inchiesta Calciopoli.«Una premessa: io svolgo, come perito delle Procure di Salerno, Torre Annunziata, Sala Consilina, Nocera, Lagonegro, Potenza e talvolta anche Napoli il lavoro di affiancamento peritale della polizia giudiziaria in indagini simili a quelle condotte dal tenente colonnello Auricchio per conto di Narducci. Ho 25 anni di esperienza alle spalle e ho notato subito il fatto che qui, una volta scelta la strada dell’indizio delle sim svizzere, non ci si è rivolti ad un esperto del settore: hanno fatto un sillogismo tra persona sotto indagine e sim e lo hanno fatto diventare una prova. Non avrei fatto così, io».Lei ha criticato le certezze con cui si attribuiva a Fabiani un numero di 60 contatti a Primavalle, popoloso quartiere dove viveva il suo assistito.«Parto dall’assurdo assunto: persona=scheda. Sono sicuri che Fabiani fosse lì in quel momento, in quel luogo, in quel posto? E sono sicuri che la cella che richiamano potesse essere attivata proprio da casa Fabiani? Non possono dirlo, non hanno fatto questo lavoro. Non si possono fare le cose così. E mi sarei aspettato anche di leggere introduttivamente una sorta di teoria sul raggio di azione delle celle, uno studio sulla particolarità di quella vicina a casa Fabiani: era una cella particolare, posta su un campanile che poteva agganciare e supportare celle molto lontane. Ripeto: non mi convince niente di questo lavoro».Si spieghi meglio: lei come avrebbe fatto?«Le sim potevano essere un indizio, un’indagine vera su quell’indizio manca totalmente. Hanno preso quell’indizio iniziale per una prova formata. Perché non chiedere gli spostamenti in tempo reale delle sim sotto indagine? Si può fare con un programma che usano i servizi segreti. E poi, non hanno studiato il palazzo dove abitava Fabiani, quando era presente in loco. Mah...».Da Primavalle a Messina: lavorava lì, Fabiani.«Ci sono telefonate a Messina sparse un po’ ovunque: sarebbe stato logico avere concentrazioni allo stadio o nel suo albergo o in sede. Niente: nessun indagine a riguardo e nessun dato significativo. Eppoi non parliamo di persona, ma di zona attiva: poteva essere un amico o chiunque ad attivare quella sim, visto che non è stato fatto alcun lavoro investigativo sugli spostamenti e la presenza di Fabiani, così come degli altri. Io do per scontata la buona fede della polizia giudiziaria, ma l’onere della prova, ovvero di dimostrare che Fabiani era lì dove si attiva la cella ce l’hanno loro, non le difese. Eppoi si poteva proprio fare di più, se proprio si credeva al teorema».Ovvero?«Quanti arbitri ci sono cui viene attribuita una scheda? Tanti. E molti i contatti da Coverciano. A quel punto si poteva fare una bella retata lì, al limite le sim le avrebbero trovate nei water. Magari, invece, era una bella conventicola di comari o camerieri amici degli arbitri. Insomma: non sono stati utilizzati tutti i mezzi di riscontro di prova a disposizione quando si fa un’inchiesta sui gsm. Di certo è stato utilizzato un metodo grossolano e non sono galileiane le conclusioni. Visto che hanno fatto il gioco delle probabilità, ci dicano qual era, stocasticamente, la loro percentuale di probabilità. Io dico che c’era meno del 3% di chance che Fabiani potesse agganciare quella cella a Primavalle, sempre che ci fosse lui lì».In audizione ha anticipato alcuni temi.«Mi riservo di presentare alla difesa Fabiani, per l’arringa, altri tre elementi che configureranno un altro colpo di scena. Tra l’altro i dati su ore e minuti dei contatti sono mescolati tra vari operatori: non coincidono perfettamente, di solito. E anche Moggi avrebbe di che approfondire sul tema delle sim, per quel che ho visto nell’informativa 554 del 28 marzo 2007».Il suo lavoro è stato effettuato quattro anni fa, perché non l’avete divulgato prima?«Processualmente è molto più efficace farlo ora che si forma la prova, anziché di fronte al Gip. In questi quattro anni, però, seguendo il lavoro delle difese se ne sono viste di incredibili».Cosa l’ha colpita, in particolare?«Guardi, premetto che io sono tifoso interista e avrei voluto stringere la mano a Giacinto Facchetti, un idolo per me, ma dovranno spiegare per bene il perché quelle telefonate di Facchetti siano state tolte dal materiale d’accusa. Io il lavoro di Auricchio proprio non l’ho capito. Avevano a che fare con un materiale eccitante, ma l’equivalenza tra indizio e prova è evidente per quanto emerge in udienza. Hanno fatto tutto da soli. Poi la spinta dell’opinione pubblica ha avuto la meglio».A Napoli ha detto che le sim svizzere era tutt’altro che segrete.«Certo. Nella stessa stanza delle intercettazioni dove hanno ascoltato e registrato la Calciopoli conosciuta, avrebbero potuto anche ascoltare la Calciopoli su scheda svizzera. Potevano sapere tutto, svelare tutto: in aula abbiamo invece una versione parziale. Fabiani non ci sarebbe proprio entrato, per esempio. Le voci “svizzere” si potevano sentire, se c’erano. Avremmo potuto seguire in tempo reale gli spostamenti. E con un’indagine condotta da esperti avremmo avuto anche a disposizione i dati dell’imei, l’identificativo del telefonino che utilizza la sim. Sapere se quella sim è stata attivata da un telefono intestato a qualcuno degli indagati o meno. Insomma, sarebbero serviti più buonsenso e meno sillogismi, che a mio avviso in aula non posso reggere».http://www.tuttosport.com/calcio/serie_a/j...+buco...%C2%BB+
Calciopoli, il perito: « Sim svizzere. Col buco...»
De Falco: «Che errori grossolani in quell’indagine! Le telefonate sulle schede straniere si possono ascoltare, perché non fu fatto? E perché alcune sparirono? Manca una parte di verità»ROMA, 3 dicembre - Aveva stupito senza effetti speciali l’ingegner Giuseppe De Falco, nell’ultima udienza del processo Calciopoli. E’ il perito di parte dell’imputato Mariano Fabiani e ha messo al servizio dell’avvocato Morescanti la sua esperienza di perito per numerose procure d’Italia proprio su materie come quelle delle sim svizzere messe al centro del dibattimento napoletano dal lavoro dei carabinieri di Roma e passato ai pm Narducci e Beatrice (poi Capuano). Aveva stupito per come, dall’alto dei suoi 25 anni passati ad affiancare chi sgomina bande e affiancare la polizia giudiziaria, aveva smontato il ragionamento del tenente colonnello Auricchio, che ha associato ogni scheda sim a uno degli imputati basandosi sulle zone geografiche delle celle a cui le schede si collegavano. In sostanza un sillogismo “sim svizzera=persona” (poi imputato). Ma De Falco ha pure detto chiaro e tondo che quella rete alternativa creata da Moggi era tutt’altro che misteriosa: che, volendo, ci si poteva entrare, mettere orecchio e magari raccontare una storia diversa di Calciopoli. De Falco - che insegna “sistemi automatici” in un istituto superiore di Salerno - collabora con numerose procure, anche con quella di Potenza dove agiva il giudice Woodcock, quello delle indagini su Vittorio Emanuele e il caso dei videopoker. «Calciopoli, indagando diversamente, poteva dare altri risultati, questo è sicuro».Ingegner De Falco quattro anni fa l’incarico dei legali di Fabiani, che idea si fece sull’inchiesta Calciopoli.«Una premessa: io svolgo, come perito delle Procure di Salerno, Torre Annunziata, Sala Consilina, Nocera, Lagonegro, Potenza e talvolta anche Napoli il lavoro di affiancamento peritale della polizia giudiziaria in indagini simili a quelle condotte dal tenente colonnello Auricchio per conto di Narducci. Ho 25 anni di esperienza alle spalle e ho notato subito il fatto che qui, una volta scelta la strada dell’indizio delle sim svizzere, non ci si è rivolti ad un esperto del settore: hanno fatto un sillogismo tra persona sotto indagine e sim e lo hanno fatto diventare una prova. Non avrei fatto così, io».Lei ha criticato le certezze con cui si attribuiva a Fabiani un numero di 60 contatti a Primavalle, popoloso quartiere dove viveva il suo assistito.«Parto dall’assurdo assunto: persona=scheda. Sono sicuri che Fabiani fosse lì in quel momento, in quel luogo, in quel posto? E sono sicuri che la cella che richiamano potesse essere attivata proprio da casa Fabiani? Non possono dirlo, non hanno fatto questo lavoro. Non si possono fare le cose così. E mi sarei aspettato anche di leggere introduttivamente una sorta di teoria sul raggio di azione delle celle, uno studio sulla particolarità di quella vicina a casa Fabiani: era una cella particolare, posta su un campanile che poteva agganciare e supportare celle molto lontane. Ripeto: non mi convince niente di questo lavoro».Si spieghi meglio: lei come avrebbe fatto?«Le sim potevano essere un indizio, un’indagine vera su quell’indizio manca totalmente. Hanno preso quell’indizio iniziale per una prova formata. Perché non chiedere gli spostamenti in tempo reale delle sim sotto indagine? Si può fare con un programma che usano i servizi segreti. E poi, non hanno studiato il palazzo dove abitava Fabiani, quando era presente in loco. Mah...».Da Primavalle a Messina: lavorava lì, Fabiani.«Ci sono telefonate a Messina sparse un po’ ovunque: sarebbe stato logico avere concentrazioni allo stadio o nel suo albergo o in sede. Niente: nessun indagine a riguardo e nessun dato significativo. Eppoi non parliamo di persona, ma di zona attiva: poteva essere un amico o chiunque ad attivare quella sim, visto che non è stato fatto alcun lavoro investigativo sugli spostamenti e la presenza di Fabiani, così come degli altri. Io do per scontata la buona fede della polizia giudiziaria, ma l’onere della prova, ovvero di dimostrare che Fabiani era lì dove si attiva la cella ce l’hanno loro, non le difese. Eppoi si poteva proprio fare di più, se proprio si credeva al teorema».Ovvero?«Quanti arbitri ci sono cui viene attribuita una scheda? Tanti. E molti i contatti da Coverciano. A quel punto si poteva fare una bella retata lì, al limite le sim le avrebbero trovate nei water. Magari, invece, era una bella conventicola di comari o camerieri amici degli arbitri. Insomma: non sono stati utilizzati tutti i mezzi di riscontro di prova a disposizione quando si fa un’inchiesta sui gsm. Di certo è stato utilizzato un metodo grossolano e non sono galileiane le conclusioni. Visto che hanno fatto il gioco delle probabilità, ci dicano qual era, stocasticamente, la loro percentuale di probabilità. Io dico che c’era meno del 3% di chance che Fabiani potesse agganciare quella cella a Primavalle, sempre che ci fosse lui lì».In audizione ha anticipato alcuni temi.«Mi riservo di presentare alla difesa Fabiani, per l’arringa, altri tre elementi che configureranno un altro colpo di scena. Tra l’altro i dati su ore e minuti dei contatti sono mescolati tra vari operatori: non coincidono perfettamente, di solito. E anche Moggi avrebbe di che approfondire sul tema delle sim, per quel che ho visto nell’informativa 554 del 28 marzo 2007».Il suo lavoro è stato effettuato quattro anni fa, perché non l’avete divulgato prima?«Processualmente è molto più efficace farlo ora che si forma la prova, anziché di fronte al Gip. In questi quattro anni, però, seguendo il lavoro delle difese se ne sono viste di incredibili».Cosa l’ha colpita, in particolare?«Guardi, premetto che io sono tifoso interista e avrei voluto stringere la mano a Giacinto Facchetti, un idolo per me, ma dovranno spiegare per bene il perché quelle telefonate di Facchetti siano state tolte dal materiale d’accusa. Io il lavoro di Auricchio proprio non l’ho capito. Avevano a che fare con un materiale eccitante, ma l’equivalenza tra indizio e prova è evidente per quanto emerge in udienza. Hanno fatto tutto da soli. Poi la spinta dell’opinione pubblica ha avuto la meglio».A Napoli ha detto che le sim svizzere era tutt’altro che segrete.«Certo. Nella stessa stanza delle intercettazioni dove hanno ascoltato e registrato la Calciopoli conosciuta, avrebbero potuto anche ascoltare la Calciopoli su scheda svizzera. Potevano sapere tutto, svelare tutto: in aula abbiamo invece una versione parziale. Fabiani non ci sarebbe proprio entrato, per esempio. Le voci “svizzere” si potevano sentire, se c’erano. Avremmo potuto seguire in tempo reale gli spostamenti. E con un’indagine condotta da esperti avremmo avuto anche a disposizione i dati dell’imei, l’identificativo del telefonino che utilizza la sim. Sapere se quella sim è stata attivata da un telefono intestato a qualcuno degli indagati o meno. Insomma, sarebbero serviti più buonsenso e meno sillogismi, che a mio avviso in aula non posso reggere».http://www.tuttosport.com/calcio/serie_a/j...+buco...%C2%BB+