LA VOCE DI KAYFA

LA MORTE TESTIMONIA L'ESISTENZA DELL'ANIMA


Penso che non accade solo a me, quando sono costretto a dover rendere l’estremo saluto a una persona cara da poco defunta, di osservarne con attenzione i lenti mutamenti del corpo causati dal rigor mortis e dalla decomposizione. È in quei momenti che, senza ricorrere alla filosofia o alla teologia, si acuisce la mia certezza nell’esistenze e nell’immortalità dell’anima. È  in quegli attimi in cui è difficile accettare l’idea che una parte importante della nostra vita non c’è più che, paradossalmente, mi convinco che la nostra esistenza non può limitarsi al solo passaggio terreno ma che essa continua in una sfera  diversa, sottile, ultraterrena. Fissare quel corpo privo di vita, prima giacere inanimato sul letto e poi la sua traslazione nella bara quasi fosse spazzatura da gettare nel cassonetto, mi impedisce di accettare l’idea che con la morte finisce tutto. Così come accade con i rifiuti organici - la cui essenzialità è assimilata dal nostro corpo attraverso l’alimentazione per rimodellare la struttura fisica logorata dal trascorrere del tempo e dall’esercizio, mentre i residui si gettano nella spazzatura perché inutilizzabili - con tutto il dovuto rispetto, penso che lo stesso accade al nostro corpo quando esaliamo l’ultimo respiro. Nell’attimo in cui spiriamo esso diventa un involucro inanimato in quanto privato di qualcosa che va al di là della nostra comprensione umana  che lo riempiva e animava. Pensare che quella struttura putrescente sia la stessa che in vita è stata capace di fare tante cose  belle garegalandoci emozioni diventa impossibile visto che il sopraggiungere della putrefazione tacitamente afferma che, nell’attimo i cui avviene il trapasso, al corpo viene mancare qualcosa di particolare che lo individualizzava rendendolo vivo. Con l’esalazione dell’ultimo respiro elementi chimico/organici diversi tra di loro che, fino a un attimo prima, cooperavano tra sé per garantire il giusto funzionamento di quell’enorme struttura molecolare di carne, muscoli, nervi e ossa, si  sfaldano andandosene ognuno per proprio conto, dimostrando in maniera incontrovertibile che al momento del trapasso viene a mancare il collante intelligente che impone loro di lavorare assime per il bene del corpo. Man mano che passano le ore, fissando quelle membra morte irrigidirsi, cambiare colore e iniziare a emanare il cattivo odore della decoposizione sembra davvero impossibile che quello stesso ammasso di carne morta sia la stessa persona che amavamo. È solo allora, osservando i resti inanimati del nostro caro, che iniziamo a renderci conto che esiste davvero qualcosa di superiore e di distinto in grado di  vivificare e personalizzare la materia morta non appena ne viene a contatto. L’esistenza di questo qualcosa,  –vita, anima, spirito, intelligenza e quant’altro, chiamatelo come vi pare  – è affermata proprio da quel corpo in decoposizione che sta lì, davanti a noi, disteso in un letto in attesa di essere rinchiuso per sempre in una cassa. Diversamente non si spiegherebbe perché, col sopraggiungere della morte, ciò che un attimo prima era in grado di fare grande cose ora riposa lì come un sacco vuoto, anzi una marionetta senza il burattinaio che ne regga i fili per darle vita!Di certo in molti si chiederanno, se non si dissolve con esso, al momento del trapasso, dove va l’anima una volta che ha abbandonato il corpo? Me lo chiedo anch’io…