LA VOCE DI KAYFA

I MIEI QUADERNI: 17.12.2000


Ripetutamente ne L'ILIADE Omero definisce il Sonno e la Morte fratello e sorella l'uno dell'altra. Addirittura, in un passo riguardante Patroclo, li paragona a dei gemelli. Ciò lascia intendere che per l'autore greco tra il sonno e la morte non ci sarebbe alcuna differenza. Se davvero così fosse, dunque, allo stesso modo che ci si risveglia dal sonno ci si dovrebbe risvegliare anche dalla morte. Tale supposizione apre le porte al concetto della resurrezione. Ma quale resurrezione? Quella fisica, del corpo? Oppure quella spirituale dell'individuo il quale, dopo aver vissuto per lungo tempo nell'oscurità dell'ignoranza, attraverso lo studio di temi spirituali cui segue una profonda riflessione su stesso e la vità fin lì condotta, si "risveglia" in coscienza, divenendo capace di disitnguere il vero dal falso?In una precedente considerazione, (riproposta attualmente come post), analizzando la cecità di Omero, ho espresso la personale convinzione che l'handicap del poeta greco non si riferisse  a un'eventuale sua menomazione visiva, bensì all'esagerata esaltazione del materialismo che ne caratterizza le opere. Alimentando, in più di un passo, il dubbio che gli uomini non sono altro che pedine di cui si servono gli dei per appagare le proprie passioni. E pertanto il cammino dell'umanità sarebbe vincolato alla volontà capricciosa degli dei.Porre equivalenza tra il sonno e la morte, così come fa Omero, pone le condizioni per un dibattito senza limiti né di spazio né di tempo. Tuttavia credo di non errare affermando che da sempre l'uomo è affascinato dal mistero che ammanta il sonno e la morte. Tanti filosofi e scienziati, nel corso dei secoli, si sono dibattuti mentalemnete ed empiricamente per cercare di risolvere questi impoenetrabili arcani, lasciandoci innumerevoli volumi di riflessioni e studi a riguardo.  Personalmente ritengo plausibile l'equivalenza posta da Omero, se si ragiona in chiave simbolica. In tal senso l'uomo che "dorme", ossia quanti vivono totalmente immersi nella materia, non curandosi dell'aspetto spirituale della vita, sarebbero realmente rapportabili ai "morti" in quanto, come quest'ultimi, vivrebbero sporfondati nelle tenebre dell'ignoranza, lontani dalla luce. Costoro rimangono in questa condizione di "morte interiore" fino a quando la luce della Verità non incomincia a rischiararne le coscienze grazie a un processo catartico alimentato o da sane letture; o da eventi traumatici che impongono forzatamente una profonda riflessione sul senso della vita, in particolare del proprio agire verso se stessi e gli altri; o da un "eventuale" intervento divino... Ecco dunque che "l'addormentato" o il "morto" sono "costretti" a ridestarsi, scoprendo la Verità!Letta in questa chiave, l'affermazione omerica racchiude un profondo senso iniziatico; contraddicendo quanto affermai precedentemente riguardo la cecità di Omero, ovvero che le sue opere erano impregnate di gretto materialismo. L'analogia tra il sonno e la morte posta dal poeta greco, dimostrerebbe che i veri "ciechi" siamo noi uomini comuni che, se pur muniti di vista oculare, siamo poveri o totalmente privi di sguardo spirituale, quello che ci consentirebbe di vedere aldilà delle apparenze! Inutile sarebbe recarsi da un oculista per misurarsi la vista e farsi prescrivere delle lenti per meglio vedere. In questo caso le uniche lenti in grado di consentirci di vedere oltre la spessa cortina materiale sarebbero la lettura e la frequentazione di ambienti "sani", in cui si affrontino discussioni "alte", capaci di alimentare la riflessione nell'uomo, accrescendone il senso spirituale o, quanto meno, quello intellettuale. E se davvero fosse l'esistenza di un legame imprescindibile tra la qualità del pensiero e quella dell'anima, così facendo saremmo davvero sulla Via giusta!