LA VOCE DI KAYFA

LEGGE SEVERINO: PLATONE NON SI PRESTA A INTERPRETAZIONI


 Il mese d'agosto appena conclusosi sarà ricordato come tra i più caldi della storia repubblicana per merito della rabbiosa reazione del PDL alla conferma da parte della Cassazione della condanna a quattro anni di galera, più l'interdizione dai pubblici uffici per un periodo da ricalcolarsi, del suo leader-padre/padrone Silvio Berlusconi. Per evitare la decadenza del cavaliere da senatore come previsto dalla legge Severino - varata dal governo Monti con l'entusiastico sostegno del PDL - gli uomini del cavaliere, coadiuvati da un nutrito drappello di insigni giuristi e costituzionalisti, si sono improvvisamente accorti che quella legge che tanto santificarono potrebbe essere anticostituzionale perché “pretende”di applicarsi anche a reati commessi prima della sua emanazione, com'è il caso del reato per frode fiscale per il quale Berlusconi è stato condannato, e non solo a quelli commessi all'indomani della sua promulgazione. Fa niente se nel frattempo l'applicazione di quella stessa legge ha determinato la decadenza del mandato di circa una quaranta tra politici locali e nazionali macchiatisi di reati con condanne superiori a due anni in data antecedente il varo della norma. Possibile che ci si affidi alla solerzia solo quando riguiarda Berlusconi mentre per gli altri vige la totale indifferenza? Questo atteggiamento discriminante non risulta autolesionista da parte di chi dovrebbe adoperarsi per rispettare e far rispettare la Costituzione la quale chiaramente sancisce l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge? In nome di una probabile incostituzionalità della legge Severino e essendo Berlusconi il referente politico di milioni di italiani, (per cui impedirgli di fare politica significherebbe minare la democrazia in quanto estrometterlo dalla vita politica del paese priverebbe una grossa fetta di elettorato del proprio leader indiscusso), gli uomini e le donne del cavaliere, dal momento in cui è stata emessa la sentenza della Cassazione, si stanno battendo come dannati perché a Berlusconi venga riconosciuta l'agibilità politica, una norma non prevista in nessun ordinamento giudiziario. Per dimostrare che l'attuazione retroattiva della legge Severino è insensata c'è stato perfino chi ha scomodato Platone. È il caso del consigliere di Cassazione Enzo Jannelli che sul Corriere dell'8 agosto, spiegando perché sarebbe anomalo applicare la retroattività cita un brano del Fedone del divino filosofo: “Liberàti dalla follia del corpo, conosceremo(...)tutto ciò che è puro”. Senza entrare nel merito della discussione sulla presunta incostituzionalità della legge, mi limito a osservare che appare quanto meno semplicistico citare uno stralcio di pochi righi di un'intera opera per giustificare il caos che sta derivando dalla discussione sulle modalità di applicazione della legge. Platone ci ha lasciato un'opera omnia monumentale. Tra i tanti libri del filosofo ce ne uno che Jannelli e quanti come lui si appellano alla sua divina saggezza per giustificare i propri dubbi sulla legge Severino dovrebbero leggere o rileggere. Si tratta de LEGGI, un lunghissimo dialogo sulla nascita e struttura dello stato in cui è scritto testualmente “il legislatore non può fare così nell'abito della legge, vale a dire stabilire due norme intorno ad un unico caso, ma deve sempre mostrare un solo criterio intorno ad un unico fatto” (leggi IV – 719d). In base a questa citazione è evidente che non ha senso discutere sull'impossibilità della retroattività della legge Severino, e dunque metterne in dubbio la costituzionalità, dato che, fino a quando non s'è trattato di Berlusconi, la stessa legge ha segnato la decadenza dalla loro funzione istituzionale di una quarantina di politici che avevano commesso reati prima che la legge entrasse in vigore. Sempre ne LEGGI Platone scrive “se i vecchi mancano di pudore è inevitabile che anche i giovani siano più sfacciati: un'educazione eccellente per i giovani così come per noi non è costituita dall'impartire ammonizioni, ma nel comportarsi espressamente, nel corso della vita, secondo gli ammonimenti che vengono impartiti ad un altro”. Si dimenticano Jannelli e quanti come lui si appellano a Platone per cercare di dimostrare che non è insensato mettere in discussione la natura costituzionale della legge, che pubblicamente, malgrado ricoprisse alti incarichi istituzionali, il cavaliere non si premurava di tenere comportamenti sfacciati raccontando barzellette, esaltando le proprie doti amatorie, invitando le ragazza a sposare uomini ricchi, definendo coglioni coloro che votavano a sinistra, che quando scoppiò lo scandalo Noemi Letizia la moglie decise di divorziare dichiarando di “non poter vivere con un uomo che frequenta minorenni”? Se dal Fedone Jannelli ha estrapolato pochi righi per sostenere la propria posizione a sostegno del cavaliere, LEGGI è un'intera opera in cui si parla dell'etica e della morale che devono contraddistinguere coloro che governeranno uno stato e ne emaneranno le leggi. A meno che all'improvviso anche Platone non si presti a interpretazioni, per quanto siano chiarissime le sue parole, quando si tratta di applicarne il pensiero alle vicende di Berlusconi. “La verità guida tutti i beni tanto per gli dèi, quanto per gli uomini: e possa subito in principio prenderne parte chi vuole diventare beato e felice, in modo che trascorra la maggior parte del tempo insieme ad essa. Questi, infatti, è una persona sincera: infido invece chi ama mentire volontariamente, stolto chi lo fa contro la sua volontà”! (Leggi V- 730c). (le citazioni sono tratte da LEGGI, edizioni Newton; traduttore Enrico Pegone)