LA VOCE DI KAYFA

FIRENZE MARATHON, GIOIE E DOLORI


Come qualsiasi runner che ami scrivere, anch’io ho l’abitudine, all’indomani di una gara che mi ha particolarmente emozionato, tradurre su carta le emozioni  e le sensazioni provate mentre correvo. Avendo partecipato domenica scorsa alla 31° edizione della Firenze Marathon, mia seconda maratona in assoluto dopo quella di Napoli a febbraio, non potevo esimermi dallo stilare un breve resoconto di quello che m’è passato per la mente prima, durante e dopo la gara. Purtroppo, essendo stata funestata questa 31° edizione dalla morte a un chilometro dall’arrivo di Luigi Ocone, e  avendo accompagnato io stesso in infermeria un amico preda di un malore subito dopo l’arrivo, vedendo con i miei occhi l’impressionante numero di runners in barella, più o meno tutti della stessa età del mio amico e del povero Luigi, entrare e uscire dall’ospedale da campo allestito nei pressi del traguardo a Piazzale Santa Croce nemmeno fossimo in guerra - forse lo eravamo con la morte senza rendercene conto - non posso non iniziare questo mio breve resoconto con una riflessione che penso coglie non solo me: perché un essere umano decide di sottoporsi a uno sforzo contro natura qual è la maratona consapevole dei rischi che corre? Perché molti, malgrado sappiano di cimentarsi in una competizione durissima, comunque cercano di andare al di là dei propri limiti fisiologici, magari qualcuno aiutandosi con sostanze non convenzionali? Fortunatamente quest’ultimo caso non riguarda né me, né il mio amico, né sicuramente il povero Luigi. Eppure si sa di quanta schifezza giri nell’ambiente dei runners; di quanti ne fanno uso senza alcuno scrupolo allo scopo di superare se stessi e, soprattutto, gli altri per sentirsi “grandi”. Ma grandi rispetto a chi e a che? Chi ha esperienza da vendere sostiene che già chiudere una maratona non è cosa da tutti dato che correre per 42 km, precisamente 42km e 195mt, è uno sforzo che va al di là dei limiti naturali essendo il fisico umano tarato per correre non più di 30 km. Superata questa soglia il metabolismo e altri parametri iniziano a sballare. Per rientrare successivamente nella normalità occorrono non meno di dieci giorni dalla gara. Mentre per recuperare del tutto la stanchezza occorrerebbero almeno 42 giorni di riposo, uno a chilometro. Per cui bisognerebbe correre massimo due maratone all’anno, una ogni 5/6 mesi. Dato che molti runners amano collezionare maratone, tanto che vi è chi ne corre in media una al mese se non di più, viene naturale chiedersi quale sia lo scopo di tale mania se non quello di vantarsi con gli altri dandosi arie da superman o da wonder woman. Se lo scopo che induce molti ad andare al di là di quanto stabilito da madre natura fosse questo insano bisogno di volersi sentire a ogni costo superiori agli altri significa che forse, più di una maratona, costoro  hanno bisogno dello psicologo se non addirittura dello psichiatra! Mentre correvo lungo Firenze quanta gente ho visto soffrire, addirittura piangere disperata abbracciata a un albero, sdraiata sui marciapiedi preda dei crampi, camminare piangendo perché, non facendocela più, era costretta a ritirarsi. Avendo commesso l’errore di partire sparato i primi 21 km, io stesso nella seconda parte della gara ho sofferto le pene dell’inferno, pensando di ritirarmi quanto mancavano meno di 6 km dall’arrivo. Mio malgrado ho resistito alla tentazione di abbandonarmi al fallimento allorché, dando uno sguardo al cronometro, facendo dei calcoli approssimativi, sono giunto alla conclusione che seppure avessi camminato a 7/8 minuti a chilometro, l’avrei chiusa e sicuramente meglio di Napoli e magari in 4 ore e mezza. Per questa mia seconda maratona mi ero prefissato cinque obiettivi: 1) finirla; 2) finirla meglio di Napoli; 3) finirla almeno in 4 ore e mezza; 4) finirla abbondantemente sotto le 4 ore e mezza; 5) finirla sotto le 4 ore e 15 minuti! Pur avendo la mente annebbiata dalla fatica e dalla rabbia che provavo verso me stesso per non essermi saputo gestire adeguatamente partendo piano e aumentando man mano che passavano i chilometri, sparando tutte le forze che mi restavano solo dopo aver raggiunto e superato la soglia critica dei 30 km, la consapevolezza che, male che andava, dei cinque obiettivi iniziali avrei realizzato almeno i primi due, ho stretto i denti e, anziché ritirarmi, ho incominciato a camminare a passo veloce. Questo mi ha  consentito di gestire al meglio quel po’ di energie che mi restavano e di giungere sul lungarno ancora con un briciolo di  forze che andavano lentamente spegnendosi come la fiammella di una candela ormai ridotta al lumicino. L’ultima, decisiva scrollata di adrenalina me l’ha data un runner che sopraggiungeva in senso contrario al percorso con la medaglia luccicante appesa al collo, mi ha urlato: “non ti arrendere che è finita, il traguardo è subito dopo la curva!”. Non so chi fosse quell'uomo e forse mai lo saprò ma gli sarò riconoscente per tutta la vita. Le sue parole sono state per me benzina. D’improvviso, quasi senza che me ne accorgessi,le gambe hanno ripreso a girare. Quando sono entrato in Piazzale Santa Croce e ho visto dinanzi a me lo scheletro di metallo della tribuna degli spettatori ergersi nella piazza non ho capito più nulla. Non so come abbia fatto, ho iniziato a correre con tutte le mie forze e quando ho visto segnato sul display posizionato in alto all'arco del traguardo il tempo di 4:35:30, istintivamente ho volto lo sguardo al mio orologio da polso: segnava 4:31:24. A quel punto la stanchezza, la rabbia, la paura di non farcela si sono disintegrate nell’urlo di gioia che ho lanciato al cielo mulinando le braccia nell’aria come un pazzo per la gioia di averla chiusa meglio di quanto ormai sperassi. Fino a poco prima di tagliare il traguardo ripetevo tra me e me che mai più avrei corso una maratona, che ero un folle a sottopormi a una simile fatica. Dopo aver tagliato il traguardo, mentre mi infilavano la medaglia al collo, già giuravo a me stesso che alla prossima non commetterò il peccato di presunzione che ho pagato qui a Firenze rischiando di compromettere sei mesi di duro allenamento. La maratona non perdona. Lei non ti sfida, sei tu che sfidi lei. Lei è lì che ti aspetta con sguardo cinico sotto il traguardo perché sa che prima di conquistarla dovrai conquistare te stesso!