LA VOCE DI KAYFA

DE LUCA REINTEGRATO PER INFERIORITà DI GRADO


La decisione del Tribunale civile di Napoli di accettare il ricorso presentato da Vincenzo De Luca contro la propria sospensione da Presidente della Regione Campania in base all'applicazione delle legge Severino - che prevede per gli amministratori locali condannati in primo grado l'interruzione dalle funzioni pubbliche mentre per quelli nazionali la sospensione scatta solo dopo il terzo grado di giudizio - è l'ennesima conferma che in Italia molte leggi, come è appunto il caso della Severino, vengono varate in fretta e furia per lanciare fumo negli occhi all'opinione pubblica al fine di smorzare l'onda emotiva suscitata da eventi vergognosi che mettono in discussione la serietà e onestà degli amministratori pubblici e dei politici in generale alimentando l'antipolitica nella società.In virtù di questa strategia del bastone e della carota, la legge Severino fu varata dal governo Monti per arginare l'onta di sdegno alimentata negli italiani dagli scandali di peculato e corruzione che all'epoca si registrarono prima nella Regione Lazio quindi in altre Regioni producendo arresti e avvisi di garanzia a iosa nei confronti di assessori e consiglieri regionali accusati di utilizzare i soldi pubblici per spese private o di pretendere mazzette da privati in cambio di commissioni pubbliche.La motivazione per cui il tribunale di Napoli ha reintegrato De Luca è emblematica, essa sostiene che la Severino è molto rigida nei confronti degli amministratori locali e leggera verso quelli nazionali mentre, per l'importanza dei ruoli, dovrebbe essere l'inverso.Tale ragionamento ricalca quanto da una vita diciamo tutti quando parliamo dei politici corrotti e inquisiti. In tanti ci chiediamo perché un politico cui viene recapitato un avviso di garanzia oppure viene condannato in primo grado per un qualsiasi reato, non debba subito dimettersi per rispetto del ruolo che occupa e delle istituzioni che rappresenta; bensì può rimare al proprio posto in virtù di quel principio garantista secondo cui un imputato è da ritenersi innocente fino al terzo grado di giudizio. Ragionamento che agli occhi dei cittadini sembra tanto una difesa insulsa; un'offesa all'intelligenza del popolo dato che quando un cittadino deve partecipare a un concorso pubblico tra i documenti che deve presentare è chiesto il casellario giudiziario per dimostrare che non ha carichi pendenti.È vero che il nostro ordinamento giuridico prevede che fino a quando non si arriva al terzo grado di giudizio un imputato è da considerarsi innocente. Ma per il ruolo sensibile che occupa un amministratore pubblico o un politico inquisito, imputato o condannato in primo grado, in attesa che giunga la sentenza definitiva a sciogliere ogni dubbio sulla sua reale colpevolezza o innocenza, sarebbe opportuno, come fece a suo tempo Di Pietro quando era Ministro, di dimettersi all'istante per poi eventualmente reintegrarsi nel ruolo nel momento in cui si definisce la sua estraneità ai fatti.Il ragionamento del Tribunale di Napoli nei confronti della reintegrazione di De Luca non fa una grinza: la legge dovrebbe punire con maggiore severità gli amministratori o politici che occupano ruoli di riguardo a livello nazionale, viceversa meno severa con quelli locali essendo di grado inferiore a livello gerarchico.Se invece attuassimo quel principio di rigore, equilibrio e sobrietà tanto invocato da Monti all'epoca in cui era capo del governo al fine di risistemare le sorti del paese – fa niente che alla fine con la riforma delle pensioni Fornero a rimetterci sono stati solo i lavoratori, i pensionati e i giovani, ossia sempre la solita povera gente – sarebbe meglio porre sullo stesso livello tutti i politici, locali o nazionali è indifferente, stabilendo un unico criterio di valutazione per la pena di chi di loro si macchia di un crimine visto che l'operato scorretto di un amministratore pubblico penalizza la società, a livello locale o nazionale non fa differenza.O almeno non dovrebbe farla!