LA VOCE DI KAYFA

A AGROPOLI VINCE IL PIRIFORME


Che non tutte le ciambelle riescano con il buco, è cosa risaputa. Ciò che non è risaputo è quando le ciambelle potrebbero non riuscire.Per cui, pur consapevoli che nella vita l'imprevisto è sempre in agguato - malgrado ci siamo adoperati nel prendere tutte le precauzioni necessarie e ci siamo preparati in maniera certosina affinché quanti ci apprestiamo  afare volga al meglio – dobbiamo sempre stare in campana ed essere pronti a percepire e comprendere i segnali che la vita ci manda per preavvisarci che le nostre ambizioni sono a rischio.In virtù di quanto, se avessi dato più importanza al leggero fastidio che da settimane, mentre correvo, si manifestava in maniere alterne al gluteo sinistro, forse questa mattina non avrei sofferto nel portare a termine la 17° edizione della Agropoli Half Marathon, trofeo Pietro Mennea.Poiché in allenamento avevo avuto la conferma di stare bene e di poter chiudere una 21 km sotto il muro delle 1:50:00, al via ho deciso di seguire il pacemaker delle 1:50.Tutto sembrava volgere al meglio. Dal primo chilometro mi sono reso conto che non faticavo affatto a viaggiare a un'andatura poco al di sopra dei 5 minuti a chilometro. Le gambe toniche tenevano il passo del gruppo senza alcuna fatica. Sembrava che lo splendore della bella giornata si riflettesse nel mio animo, nutrendo di entusiasmo la mente e i muscoli.Per circa 13 km ho corso spalla a spalla con Lorenzo il pacemaker chiacchierando con lui e con gli altri piacevolmente.All'improvviso, ripartendo dal rifornimento del 13 km, una fitta al gluteo mi ha ricordato che in passato ho sofferto della sindrome del piriforme. Per riprendermi ci volle più di un mese.Seppure a malincuore, ho rallentato, lasciando che il gruppo mi sopravanzasse di qualche metro nella speranza che il fastidio passasse e potessi recuperarlo nei chilometri successivi.Macché! A un certo punto il fastidio s'è tramutato in dolore acuto tanto che sono stato costretto a fermarmi. Visto che in condizioni di riposo il dolore diminuiva, ho deciso di camminare a passo svelto. Quindi ho ripreso a corricchiare.Quest'altalenanza di andature sofferte s'è protratta fino all'arrivo.Non appena ho tagliato il traguardo mi sono rivolto ai sanitari perché mi spruzzassero dietro alla coscia il ghiaccio spray per sedare il dolore.Quindi, affaticato e dolorante, con la medaglia al collo, lentamente mi sono avviato al parcheggio. Non vedevo l'ora di riposarmi.Prendo atto che se in allenamento avessi avuto il buon senso di non trascurare le leggere fitte che di tanto in tanto mi venivano al gluteo mentre correvo, probabilmente la gara l'avrei corsa a un ritmo più blando chiudendola bene.In virtù di tale presa di coscienza, mi domando se quei runners che durante la gara sono stramazzati al suolo, tanto da dover ricorrere al ricovero in ambulanza, non abbiano a loro volta trascurato i segnali di allarme lanciati dal proprio corpo in allenamento. O se, addirittura, non hanno preteso troppo da se stessi.È vero che si è corso in un clima estivo con temparutere ben al di sopra dei 26/27 gradi. Ma quando si verificano incidenti del genere mi coglie sempre il dubbio che l'atleta vittima di un collasso non abbia voluto pretendere più di quanto poteva.Se imparassimo a ascoltare la voce del corpo, forse molte gare non si risolverebbero in sofferenza e dolore. Alcune addirittura in tragedie!Cosa c'è di più bello di tagliare il traguardo con il sorriso sulle labbra?