LA VOCE DI KAYFA

PRECARIO SUICIDA TIRA IN BALLO IL MINISTRO POLETTI


Mentre le prime pagine dei giornali e dei telegiornali italioti di questa mattina sono dedicate al successo televisivo della prima puntata del festival di Sanremo e, tanto per non cambiare, alle vicende romane della Raggi e del M5S, pochissimi riferiscono della tragica vicenda del trentenne di Udine suicidatosi perché stanco di vivere una vita da precario e della lettera dove, in maniera lucida e dettagliata, spiega i motivi del suo estremo gesto.A leggerla, la lettera, mette i brividi. Soprattutto a chi come me è padre di due figli, uno di 24 e uno di 22 - il primogenito impegnato con successo negli studi universitari, ma al momento privo di una propria autonomia economica; il secondo, barman di professione, occupato mediamente 2/3 volte a settimana a lavorare in bar e discoteche, dalla sera alla mattina del giorno seguente, soprattutto nei fine settimana, garantendosi quel minimo di libertà economica che gli consente di vivere con discreta autosufficienza la propria giovinezza. Entrambi con il pensiero fisso di andarsene a vivere all'estero, “perché in Italia per noi giovani non c'è futuro”. Testuale!Posso immaginare, ma solo lontanamente, il dolore dei genitori di Michele. E apprezzarne il coraggio che hanno avuto nel decidere di rendere pubblica la lettera in cui a certo punto egli scrive,“Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità. Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia. Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.”Leggo e rileggo queste parole. Chiudo gli occhi e, ripassandole nella memoria, mi sembra di ascoltare le voci di tanti giovani di mia conoscenza, inclusi i miei figli, che, non essendo nati né in una famiglia benestante, né di professionisti o commercianti dove, se non riuscissero a realizzare le proprie personali ambizioni lavorative, come alternativa potrebbero decidere di stabilirsi nell'azienda di famiglia o seguire il cammino dei propri genitori, garantendosi il futuro e, se lo volessero, mettere su famiglia senza patemi, sanno quanto sarà difficile il futuro per loro. Anche perché vivono quotidianamente sulla propria pelle le disparità sociali che distinguono un cosiddetto “figlio di papà” da un “semplice figlio di operaio o impiegato che, seppure si laureasse con 110 e lode, difficilmente riuscirebbe a trovare un lavoro adeguato alle proprie conoscenze, vedendosi costretto a optare per un lavoro in un call center, come cameriere o altro.Per non parlare dei figli dei disoccupati che devono anteporre le esigenze familiari alle proprie ambizioni, interrompendo gli studi dalle scuole medie per contribuire a far quadrare il bilancio familiare facendo qualsiasi mestiere.Della lettera di Michele, però, i giornali che la citano, omettono il post scriptum: Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi. Da queste parole, si comprende che l'estremo suo gesto non è solo conseguenza di un possibile stato depressivo dovuto alla mancanza di lavoro e anche alla consapevolezza che, per il suo modo d'essere “sensibile”, difficilmente avrebbe trovato un lavoro dignitoso. Ma soprattutto perché viveva in un paese dove, malgrado nella Costituzione si afferma che L'ITALIA É UNA REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO, chi governa, nella fattispecie il Ministro del Lavoro Poletti, anziché preoccuparsi di arginare la disoccupazione giovanile in continua crescita attuando politiche adeguate – attualmente il tasso di disoccupazione giovanile nel paese è oltre al 40% - non si fa scrupoli di irridere e umiliare i giovani che lavorano all'estero, ma che vorrebbero rientrare in patria, affermando pubblicamente, “Centomila giovani in fuga? Conosco gente che è bene non avere tra i piedi!”. Offendendo in questo modo tutti quei giovani che vorrebbero un lavoro ma non ce l'hanno perché hanno la sventura di vivere in un paese in cui la disoccupazione spadroneggia. Quel post scriptum, che molti omettono di riferire nelle loro cronache, è la sintesi della lettera di Michele.Quel post scriptum è la denuncia di un sistema marcio fin nel midollo che come un cancro ha invaso e contaminato con le proprie metastasi l'intero Sistema Italia. E forse per questo è meglio tacerne!