All’indomani della testata sul naso ricevuta mentre intervistava Roberto Spada, uno dei membri della
famiglia Spada che gestisce il traffico di attività illegali a Ostia, sui presunti legami tra gli Spada e Casa Pound, il giornalista Daniele Piervincenzi, raccontando la vicenda a una collega della RAI ha dichiarato “
certe cose te le aspetti in Sicilia, in Calabria, a Napoli, ma non a Ostia”.A prescindere dall’incondizionata solidarietà al giornalista per il barbaro episodio di cui è stato vittima, le sue dichiarazioni stupiscono. Non mi risulta che nessuna troupe televisiva o giornalista che si sia finora recato in terre di mafia e di camorra per fare un reportage sui traffici criminali e sul degrado sociale vigente, prima di inoltrarsi in quei territori, abbia indossato o debba indossare la pettorina con su contrassegnato PRESS, stampa, e l’elmetto come si usa quando ci si reca a fare un servizio in zone di guerra per non essere scambiati per un soldato nemico rischiando di cadere sul campo.Di conseguenza, alla luce delle sue dichiarazioni, è probabile che anche per Piervincenzi a Roma la mafia non esiste,
così come per i giudici che emisero la sentenza sull’inchiesta Mondo di Mezzo, strettamente legata a Mafia Capitale. Sentenza che suscitò il risentimento di
Roberto Saviano che in un pezzo sull’Espresso spiegò invece perché anche Roma c’è la mafia.Nel momento in cui ti rechi a intervistare colui che sai è il fratello di un boss - Roberto Spada è il fratello del boss
Carmine Spada detto romoletto – facendo domande “fastidiose” sui
presunti rapporti tra il clan e il movimento politico di estrema destra Casa Pound che alle amministrative di domenica scorsa a Ostia ha preso il 9% di preferenze, probabilmente grazie proprio al sostegno degli Spada, se non ti aspetti d’essere preso a capocciate sul naso, non puoi nemmeno pensare che ti accolga in pace con un mazzo di fiori o ti offra un caffè.Come insegnano i vari inviati di Striscia la Notizia, delle Iene e di tante altre trasmissioni giornalistiche e non che nel corso degli anni sono stati vittime di vere e proprie aggressioni solo perché facevano servizi o domande scomode – emblematiche
l’aggressione subita in un ristorante da Valerio Staffelli da parte dell’allora direttore di RAI FICTION Fabrizio Del Noce, a cui doveva consegnare il Tapiro, il quale prima gli strappò il microfono di mano e poi lo colpì violentemente con lo stesso sul naso, (
per quel gesto Del Noce è stato condannato in appello a pagare 84 mila euro all’inviato di Striscia);
quella dell’allora onorevole Luca Barbareschi all’inviato delle Iene che cercava di intervistarlo sul suo assenteismo in Parlamento;
lo scalciare dell’allora Ministro della Difesa Ignazio La Russa Corrado a Formigli quando era ancora un inviato di Michele Santoro -a un giornalista non serve recarsi in zone a rischio per essere aggredito o insultato mentre fa il proprio mestiere.Qualunque giornalista ponga domande scomode e insistenti rischia di restare vittima di un aggressione da parte dell’intervistato, indipendentemente dal ruolo sociale che quest’ultimo ricopre. Semplicemente perché a nessuno piace che si rendano pubbliche le proprie colpe, intrallazzi o contraddizioni.Al di là se la mafia a Roma esiste oppure no – sembrerebbe proprio di sì visto come sono strutturate le varie organizzazioni criminali che presidiano il territorio laziale – è inequivocabile che il rischio di aggressione è contemplato tra i rischi in cui può incorrere un giornalista.Dispiace che Piervincenzi ne faccia una discriminante territoriale.