LA VOCE DI KAYFA

LA RABBIA DI UNA FIGLIA


L’allegria è di casa quest’oggi tra le ragazze del centro di ricupero minorile dove coordino un laboratorio di scrittura creativa. Alcune di loro sono abbronzate perché sono state al mare a fare il bagno. Prima di sedersi al tavolo e iniziare, qualcuna mi mostra i palmi delle mani che si è tagliuzzata sugli scogli. Mi fingo invidioso di quel loro privilegio, c’è subito chi mi fa notare che anche io sono stato al mare, a tradirlo è il mio viso abbronzato. Come al solito mi chiedono di fare il gioco con le parole. Ormai è diventata una piacevole prassi, incomincio a credere che l’apprezzano perché è il pretesto che gli consente di conversare, di aprirsi, svelare loro stesse senza remore “perché, tanto, è solo un gioco”, come più d’una dichiara… Qualcuna mi domanda se quello in corso è l’ultimo incontro. Le faccio presente che ce ne sarà ancora un altro, ma possono considerare quello come se fosse l’ultimo perché per il prossimo, se non hanno nulla in contrario e non le infastidisce, mi piacerebbe mi raccontassero di sé. Tutte si dicono disponibili a farlo. Qualcuna ne approfitta per indagare nella mia vita privata e mi domanda se sono sposato e ho figli. Quando apprendono che sono sposato e ho due maschi, tutte mi incitano a “darmi da fare” per la femmina. “Perché?”, domando. “Perché devi imparare a conoscere la rabbia di una figlia!” risponde una. “Che vuoi dire?”, chiedo sinceramente incuriosito. “Solo se ti incazzi anche con una figlia puoi dire di essere un vero padre. Le incazzature con  i figli maschi non ti danno nulla di nuovo essendo maschio e avendo vissuto le loro stesse problematiche da piccolo. Solo se avrai una figlia potrai imparare cosa vuol dire essere veramente padre e sentirti un uomo completo. Finché non lo farai sari un uomo a metà perché conoscerai solo una faccia della medaglia, (dice proprio così, medaglia!), l’altra ti sarà ignota!” Resto senza parole. Credo cha abbia ragione! Per giustificare la mia resa a non fare più figli, spiego loro che al giorno d’oggi mettere al mondo dei figli è un’enorme responsabilità perché la società è malata e non offre niente. Rispondono che se tutti la pensassero come me, il mondo sarebbe un deserto. Due a zero per loro! Distribuisco le fotocopie per iniziare a leggere. Qualcuna mi domanda se si tratta di un mio racconto come avevo promesso, dico di no, restano deluse! Iniziamo: a tutte piacciono le due storie che leggiamo; qualcuna mi chiede di spiegargliele perché non gli è chiaro il senso. Quando alla fine svelo che i racconti sono miei, si entusiasmano. Mi chiedono di vedere il libro che stringo tra le mani e iniziano a  passarselo l’una con l’altra come fosse una reliquia, osservandole mi sento orgoglioso di me stesso, l’apprezzamento che mostrano vale più di una bella recensione fatta da un critico famoso! Malgrado il volume sia composta da non più di cento pagine, si sorprendono di “quanto è grande!”. Qualcuna vuol sapere come mi sentivo la testa dopo aver scritto tanto. Le spiego che i racconti non furono scritti in una sola volta ma a intervalli e solo successivamente li raccolsi per farne il libro. “Comunque è stata una fatica!” dichiara, sfogliando le pagine con tale  cura che mi sento onorato del rispetto che mostra per il mio lavoro.  Sarà l’effetto dei miei racconti o più semplicemente l’idea che oggi è l’ultimo giorno che scriveremo, fatto sta che tutte si mettono a scrivere d’impegno qualcosa di compiuto. E se qualcuna esita a farlo c’è chi l’ammonisce perché scriva… Tutto ciò  mi fa molto piacere perché significa che davvero mi rispettano. Per la prima volta il tempo scorre veloce. Quando vado via mi chiedono se la prossima volta m’intratterrò un po’ di più visto che sarà l’ultima volta che ci incontreremo. Rispondo di sì, aggiungendo che mi piace stare in loro compagnia. “Anche a noi piace la tua vicinanza perché ci fai parlare!” rispondono all’unisono in due. Rallegrato da quell’ammissione, le ringrazio con un sorriso sincero. In quell’attimo più di una abbassa lo sguardo sul tavolo quasi a sfuggire il mio forse perché non abituate alla “luce dell’anima”, all’umanità e all’affetto che dimostro verso di loro o cosa?…