LA VOCE DI KAYFA

WELBY: DIRITTO DI VITA E DI MORTE


Il 22 settembre scorso Piergiorgio Welby, copresidente dell’Associazione Luca Coscioni, scriveva un’accorata, drammatica lettera al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in cui affermava il suo diritto a morire perché ormai del tutto impedito dalla distrofia muscolare, contro cui combatte da quarant’anni, a vivere una vita dignitosa. “La morte non può essere “dignitosa”; dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita, in special modo quando si va affievolendo a causa della vecchiaia o delle malattie incurabili e inguaribili. La morte è altro. Definire la morte per eutanasia “dignitosa” è un modo di negare la tragicità del morire. È un continuare a muoversi nel solco dell’occultamento o del travisamento della morte che, scacciata dalle case, nascosta da un paravento negli ospedali, negletta nella solitudine dei gerontocomi, appare essere ciò che non è. Cos’è la morte? La morte è una condizione indispensabile per la vita. Ha scritto Eschilo: “Ostico, lottare. Sfacelo m'assale, gonfia fiumana. Oceano cieco, pozzo nero di pena m'accerchia senza spiragli. Non esiste approdo”. Alle parole di Welby, Napolitano rispose con un invito formale alle forze politiche affinché si confrontassero su un tema tanto delicato qual è l’eutanasia. Unitamente la chiesa fece sentire la sua voce, dichiarando la sacralità della vita. Tuttavia ammettendo d’essere contraria anche a ogni forma di accanimento terapeutico! Considerato che per vivere Welby è “attaccato” a una macchina che gli pompa aria nei polmoni, (diversamente da tempo si sarebbe spento), la sua condizione può essere descritta come di “non vita” in quanto, se si fosse lasciato fare alla natura il proprio corso, egli da tempo si sarebbe spento. Rifacendoci alla posizione della Chiesa contraria sia all’eutanasia, sia all’accanimento terapeutico, ci sembra che il presupposto di vita di Welby a tutti gli effetti può essere considerato accanimento terapeutico. Oggi Welby minaccia la disobbedienza civile, ovvero di lasciarsi morire rifiutando cibo, se non si consentirà a qualcuno di staccare la spina della macchina che lo tiene in vita artificialmente. Sembra che il leader dei radicali Pannella sia pronto ad assumersi tale responsabilità visto che Mina, la moglie di Welby, lo farebbe se solo sapesse come fare senza che il suo amore soffra troppo, come dichiara in un’intervista rilasciata al Corriere di oggi. Di parole sulla vicenda se ne sono scritte e dette tante che andare oltre mi sembra superfluo. Tuttavia mi sia consentita una considerazione strettamente personale: è vero che la Vita c’è stata data e che è nostro diritto viverla e preservarla in tutti i modi possibili e immaginabili per rispetto verso la Vita stessa e di quelle tante persone che non sono nelle condizioni fisiche da poterla vivere dignitosamente come si conviene a un essere umano. Quando si è costretti a vivere in dipendenza di macchinari, la Vita stessa perde la propria efficacia, essenza, trasformandosi in un surrogato dall’amaro sapore di Non Vita, vera e propria morte virtuale, molto più dolorosa della morte vera in quanto l'individuo sperimenta coscientemente cosa significa essere morti, subendo una tortura mentale e  morale a mio parere superiori e più crudeli di quella stessa morte reale che sopraggiungerebbe staccando la spina.