LA VOCE DI KAYFA

L'ULTIMA ZINGARATA DI MARIO MONICELLI DIVIDE L'ITALIA


Com’era prevedibile la morte del regista Mario Monicelli, suicidatosi l’altro ieri all’età di 95 anni lanciandosi dal quinto piano dell’ospedale dove era ricoverato per un tumore alla prostata, si sta rivelando materia di scontro politico tra i paladini della vita  e quelli della morte, ovvero tra chi ritiene che la vita vada difesa ad ogni costo e chi invece sostiene che ci sono casi in cui vivere mortifica la dignità dell’uomo per cui lasciarsi morire è una cosa giusta, vedi le vicende Welby e Englaro.Alcuni anni fa, se non ricordo male durante un’intervista a LA SETTE, al giornalista che, complimentandosi per la sua lucidità mentale, ne chiedeva il segreto Monicelli rispose “vivere da solo. Non avere nessuno che si occupi di me, obbligandomi a fare tutto da solo, mi aiuta a tenere la mente attiva”.Oggi tutti quei paladini del “vivere ad ogni costo” che stigmatizzano il regista per il modo con cui ha deciso di porre fine alla propria esistenza, attribuendone la causa alla solitudine, dovrebbero mettere da parte le proprie convinzioni personali, politiche e religiose, rispettando la memoria di chi ha mostrato onestà mentale fino alle estreme conseguenze. Lo stesso dovrebbero fare coloro che condividono tale scelta, non fosse altro per non dare adito a chi ne ha tutti gli interessi di alimentare un fuoco di polemiche distogliendo l’attenzione dell’opinione pubblica da quelli che sono i veri scandali che agitano il paese.Monicelli ha deciso di andarsene probabilmente perché, raggiunta un’età veneranda, era stanco di vivere e lottare contro il tumore: seppure non la si condivide, si rispetti la sua volontà. Soprattutto se si è credenti e dunque si è convinti che esiste un giudizio divino. Lasciamo che sia Dio a giudicare Monicelli. Noi siamo uomini, esseri relativi, perfettibili non perfetti: incapaci di giudicare prima di tutto noi stessi con che coraggio pretendiamo di giudicare il prossimo e le sue scelte?