falsi o veri?

Come si difende la mente............


 Era un pomeriggio d’inverno ma la giornata era stata soleggiata tanto che quel sole invernale un po’ aveva mitigato la temperatura. Affrettando il passo notai che una delle edicole, aveva esposto un cesto, in bella vista, contenente libri vecchi, impolverati ed evidentemente invenduti nei lunghi anni di permanenza su scaffali. Incuriosito, mi fermai a valutare se ne fosse valsa la pena di comprarne qualcuno e fui attratto da tre classici: Senilità, di Italo Svevo, la Metamorfosi di Franz Kafka e I dolori del giovane Werther di Joann Wolfgang Goethe. Lo sconto per quei libri era veramente elevato, circa la metà ed il prezzo in lire era già basso anche se fosse stato pieno, per cui pagai meno di 10 € il tutto e felice mi avviai finalmente verso casa. Riflettevo sul mio acquisto culturale e non potei fare a meno di constatare che al contenuto di quei libri non veniva resa giustizia, visto il prezzo stracciato che avevo sborsato e poi probabilmente uno di quei settimanali che parlano di vips e delle storie inventate per dare loro risalto, costava quanto uno di quei gioielli classici che avevo nelle mie mani. Di un libro, specie quando ne leggi molti, ti resta il significato filosofico, forse un leggero ricordo della storia che narra, se è narrativa e se qualcosa ti colpisce particolarmente, come una citazione dell’autore, la sottolinei per imprimertela meglio nella memoria. Naturalmente potrei parlare di tutti e tre i libri, tutti mi hanno lasciato qualcosa ma quello che più mi colse in meditazione, dopo avere letto un passaggio del romanzo drammatico, mi procurò un turbamento non da poco: il pensiero elaborato da Goethe, ne “ I dolori del giovane Werther “. Il libro narra della storia di un giovane, Werther, innamorato della fidanzata e promessa sposa del suo amico. Il nome di lei era Lotte. E’ biografico questo questo libro e contribuì a far conoscere Goethe al pubblico europeo, varcando i confini tedeschi. L’epilogo della storia è drammatico perché termina con il suicidio del giovane Wherter ma in realtà non fu Goethe a compiere l’insano gesto ma un altro suo amico per una storia analoga. Quindi l’autore intrecciò due storie in un unico scritto. Il messaggio lacerante che ne scaturisce è riconducibile ad una definizione brevissima ma devastante per quel che può generare in un animo umano. Questa ne è l’essenza: “ Così come la natura prevede la cessazione dell’esistenza per un corpo gravemente malato, così essa prevede il suicidio per liberarsi del mal d’amore. ”. Il libro o meglio l’elevazione del gesto estremo all’importanza di un atto di amore assoluto, suscitò molto scalpore all’epoca, tanto che anche la Chiesa lo criticò aspramente, visto l’aumento dei suicidi per amore ad opera di giovani di quel periodo; lo stesso Goethe, nonostante la notorietà ottenuta dal romanzo, in vecchiaia ne prese un po’ le distanze. Non pensavo che una teoria, così, letta quasi per caso, potesse indurmi in una meditazione profonda e non pensavo, così improvvisamente, di avere chiara la situazione o meglio comprendere le ragioni di chi è tanto disperato da attuare un gesto simile. Ovvio che non condivido la teoria del Goethe ma condivido tutt’altra teoria che affonda le sue radici nel fiabesco: “ La leggenda dell’araba Fenice “. L’araba Fenice, è il leggendario uccello sacro dell’antico Egitto, simile ad un’aquila molto variopinta e sfavillante, che viveva per cinquecento anni per poi costruirsi un rogo con piante aromatiche, ardervi e per poi risorgere dalle proprie ceneri più bello e più puro di prima. Simbolo indiscusso della rinascita, preso ad esempio anche dagli scrittori cristiani ed io aggiungo della catarsi, visto che si liberava delle sozzure dell’anima accumulate in ben cinquecento anni, per tendere sempre più verso la perfezione. Ho volutamente riportato questa contrapposizione dell’araba Fenice alla teoria goethiana, perché credo che il rinnovo mediante la rinascita dello spirito sia a quello che di meglio un uomo possa aspirare, intendendo per spirito umano qualsiasi manifestazione proveniente dall’intimo: poesia, cultura, linguaggio, arte, musica e quant’altro si possa desiderare di trarre da se stessi e di donare agli altri. Quelle che sono le controversie che la vita ci propone nel quotidiano vanno vissute ed affrontate con la consapevolezza che ognuno di noi può e deve trasformarsi nell’araba fenice, può e deve identificarsi in questo concetto, seppur rappresentato da una favola. Personalmente l’ho sempre fatto, estendendo la mia identificazione alla tigre, che è un animale che vive e sta bene da solo anche quando e soprattutto sono sofferente; ad un gladiatore, la cui vita era appesa alla sua forza e determinazione nell’affrontare nell’arena ogni combattimento sempre come fosse l’ultimo ed a vendere carissima la pelle. Ecco, queste caratteristiche mi fanno reagire in tempi rapidissimi a qualsiasi intralcio della vita, tanto da meravigliare chi mi circonda. Risorgere dalle proprie ceneri significa aspirare ad un livello superiore, più ascetico, dove gli affanni si percepiscono attenuati e come normali processi vitali, purificativi a mezzo del dolore.