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MERY


Solo per se aveva vissuto e lottato contro tutti. Solo per se aveva deciso e aveva vinto sempre. Solo per se aveva preso tutto e se ne era andata in tutta fretta a Milano. Solo per se aveva studiato per passare un test d’ingresso che molti le dicevano truccato. Solo per se non aveva sentito le prediche scoraggianti dei suoi. Solo per se era entrata in Bocconi e s’era laureata col massimo dei voti. Solo per se aveva trovato lavoro quasi subito a dispetto di chi le diceva che aveva bisogno di raccomandazioni e conoscenze. Solo per se aveva lavorato sodo ed era arrivata ad un punto che molti si sognano di arrivare a dispetto di chi le diceva che per una donna è più difficile fare carriera e a dispetto di chi le diceva che avrebbe dovuto passare per il letto di qualcuno che conta. Solo per se aveva resistito, aveva tirato fuori le unghie e aveva marciato sui cadaveri di chi le sbarrava la strada. A trentaquattro anni, Mery, ex Maria Rosa, nome troppo terrone, era già all’apice della sua scalata alla finanza milanese. Il suo nome era conosciuto, le SICAV, le finanziarie, le banche le facevano una corte spietata, a suon di migliaia di euro. Di bella presenza, con un polso di ferro, una conoscenza smisurata, una dedizione costante al suo lavoro, priva completamente di altri interessi, irremovibile e ferma nelle sue decisioni, con un grande fiuto per l’affare migliore, Mery era diventata qualcuno da sola e l’aveva fatto solo per se, contro tutti. Solo per se aveva lasciato il suo smidollato fidanzato, che avrebbe preferito lei rimanesse a Bari a frequentare l'università, che avesse fatto una vita più tranquilla, che magari un giorno avessero formato una famiglia con lui. Fino a quel giorno aveva resistito a tutto, anche a 15 ore di lavoro, ma un pomeriggio d’ottobre, mentre il sole era ancora abbastanza caldo e gli alberi ancora erano tutti verdi a dispetto dell’autunno, nel buio della sala operativa piena di monitor di PC e enormi schermi al plasma con gli andamenti di tutti le borse, cadde riversa per terra, sulla moquette bordeaux. La sua cartellina volò di lato, la penna schizzò via lontana, un tonfo sordo attirò l’attenzione degli operatori. Seguì un frenetico e caotico darsi da fare per darle una mano anche se molti avrebbero voluta vedere morire lì su quella moquette. Il loro capo, Mery, era crollata, come le borse, come i titoli, le obbligazioni, i prodotti strutturati che avevano rifilato a mezzo mondo, come i mutui subprime, come tutta la finanza degli ultimi tempi. A trentaquattro anni, Mery, aveva ceduto allo stress per la prima volta. Le sue certezze, la sua vita stessa, le si sbriciolava sotto i piedi. Dopo gli ennesimi milioni bruciati, aveva ceduto. Piazza Affari era allagata di merda, la finanza era esplosa, tutti i suoi sogni con essa. La sua banca perdeva, calava a picco nell’inferno, e lei non riusciva a farci niente. Partite più grosse si giocavano a piani inarrivabili e lei era impotente. Sì, per la prima volta conosceva il significato della parola “impotente”. Lei, artefice del suo destino, lei che voleva e poteva, questa volta voleva ma non poteva ed era finita così, bocconi su una moquette, a mangiare polvere su quel lurido pavimento. Intanto il sole era ancora caldo, gli alberi erano stranamente ancora tutti verdi, il cielo terso era rigato solo dalle scie chimiche degli aerei… avrebbe potuto esserne felice...