Kit&MÜrt - UGàL

Bentobar


Bento Sushibar James aveva fatto le cose in grande per la festa. Il progetto a cui aveva lavorato Libero era andato benissimo, oltre ogni aspettativa del cliente stesso ed ora in azienda si trovavano con un nuovo progetto da 3, 3 milioni di euro da portare a termine entro giugno dell’anno che veniva. Era al settimo cielo James e allora aveva pensato ad una festa aziendale al Bentobar Drink&Sushi, raffinano locale in corso Garibaldi. Libero non beneficiò di nulla. L’unica cosa fu che gli occhietti freddi di James lo lasciarono in pace per un po’ e Libero passava quasi tutta la giornata a surfare sulla rete e a cazzeggiare su facebook. Libero indossò i jeans nuovi attillati e una giacca blù con imbottitura in piumino d’oca e una camicia dal collo e i polsi bianchi di colore viola col collo e i polsi bianchi comprati in fretta la mattina stessa. Si guardò allo specchio dell’armadio, si sistemò la pashmina in tinta con la camicia, e uscì di corsa perché era in ritardo. Era soddisfatto della sua immagine. Stava bene. Si era imposto di fare bella figura e cercare di divertirsi con i suoi colleghi. Voleva ubriacarsi e ridere, voleva non pensare e togliersi la pioggia di Milano di dosso. Giunto che fu al Bentobar, s’allentò la pashmina e si sfilò gli occhiali che subito s’appannarono nel caldo umido del locale già pieno. Ad occhio e croce a Libero parve che non mancava nessuno. Qualcuno già sgranocchiava stuzzichini di pesce crudo. Pensò al pesce crudo immancabile in ogni matrimonio giù nella Puglia barese. A lui non faceva impazzire ma lo mangiava lo stesso se ne aveva l’occasione. James lo accolse caloroso e subito lo introdusse a due personaggi importanti dell’azienda lodandolo per il progetto portato a termine. Libero stupito, sorrise un po’ imabarazzato e rimase imbambolato senza saper che dire. Il discorso poi passò oltre, alla festa, al cibo. Valeriè era appoggiata al lungo bancone nero lucido. Era vestita con un lungo abito da sera nero con generosa scollatura sulla schiena. Parlava e rideva leggera con Piero De Martinis, capo dell’amministrativa, e intanto notò Libero che si guardava intorno. Appena potè lei si liberò di Piero e s’avvicinò a Libero. “Ciao Pugliese”, e sorrise con la testa un po’ inclinata di lato. “Ciao mademoiselle Erard”, finto scherzoso perché non ricordava il nome di battesimo. “Valeriè, chiamami Valeriè, è una festa amichevole…” “Va bene Valeriè”, deglutì imbarazzato. “Come va? Ti piace la festa? Vieni che ci beviamo qualcosa, è free drink staserà”, gli strizzò l’occhio e lo prese leggermente per la giacca indirizzandolo al bancone. “Fabrizio, duè Long Island”, ordinò lei. “Vedo che sei pratica, già conosci il barista…”, Libero cercò di sciogliersi. “Io adoro il sushi e questa è la mia seconda casa…è un locale chic e anche accogliente, mi mette a mio quest’atmosfera soft…” “Infatti…vedo che è davvero bello, non ci ero mai stato” Valeriè prese sotto la sua ala protettiva Libero e non lo mollò per tutta la festa. Lo mise a suo agio e lo sbottonò. S’accorse che sotto la sua aria distratta ed annoiata c’era una persona sensibile e intelligente che sapeva ridere e far ridere se riusciva ad uscire dalla campana di vetro che si era costruito tutto attorno e al di la della quale lui guardava correre in fretta la vita. Fu una bella sorpresa Libero per Valeriè. Era una persona umana e vera. Aveva paura però e lei se ne accorse: aveva paura di svelarsi, di mostrare le sue ferite aperte ancora sanguinanti. Custodiva gelosamente segreti dolorosi che aveva deciso di ingoiare e digerire da solo, ma da solo non ce la faceva. Lei non lo forzò, intuì e girò attorno, senza essere invadente. La pioggia fuori era diventata neve, i long island diventarono prima due e poi tre. La lingua era più leggera, le teste giravano per conto loro. A fine serata presero un taxi insieme su iniziativa di lei. Giunti che furono sotto casa di Valeriè, lei uscì dal taxi poi si voltò indietro bussando al finestrino per fermare la macchina che ripartiva, fece il giro dal lato di Libero, aprì la portiera e lo tirò fuori. “Resta a casa mia questa sera!” Intontito dall’alcool Liberò non rispose niente ma assecondò Valeriè. Poi prese venti euro dal portafogli, le allungò al taxista e corse verso il portone del palazzo di fronte con la francese. _______________________________________________________ RICORDII ricordi possono essere una malattiaE tu sei il ricordo dal quale non riesco a guarire ancora...I ricordi possono essere un muroE tu sei il ricordo che non riesco a scavalcare ancora...I ricordi possono essere un vetroE tu sei il ricordo che non riesco a sfondare ancora...I ricordi...!E tu sei il vetro al di là del qualevedo scorrere in fretta la vita...