Se c’è qualcuno che è sopravvissuto alla prima parte di questa noiosissima disputa ideologica, ecco una seconda dose. “Mi chiedi quando e dove Gramsci parla di comunismo liberale. T'accontento subito. Nei Quaderni, precisamente a p. 691, Gramsci scrive: "I grandi intellettuali esercitano l'egemonia, che presuppone una certa collaborazione, cioè un consenso attivo e volontario (libero), cioè un regime liberale-democratico". Capito? Quindi l'esercizio dell'egemonia è possibile solo in un sistema liberal-democratico. Cari miei, a quanto pare fra i quaderni di Gramsci ne manca uno: quello liberal-comunista. Andato perduto? Distrutto perché scomodo? Oppure? Comunque già queste poche parole di Gramsci provano che lui aveva preso le distanze da Togliatti, che cercava di ampliare il proprio pensiero. (Però attenzione: qua non si sta parlando di una cosa cattiva che diventa buona, ma di una cosa buona che diventa ancora più buona.)” Qui è indispensabile una premessa:Il liberismo, termine esistente solo nella lingua italiana, indica null’altro che il liberalismo considerato sotto l’aspetto economico. Essendo pertanto il liberismo la parte rispetto al tutto del liberalismo, esso è un bene se non prende le parti dell’intero e un male se trasborda dalla sua sfera di applicazione. La libertà, che è teoricamente in sé indivisibile, nasce praticamente dalla sintesi fra le esigenze dei vari tipi di libertà al plurale: giuridica, sociale, economica, politica, etica. Il problema consiste, anche per questa parte, nel porre limiti ad ogni potere che vuole farsi assoluto. Il comunismo e il marxismo (ma in qualche misura anche la socialdemocrazia classica) sono, in quanto ideologie che danno ampio risalto al momento economico come causa deterministicamente efficiente dei fatti sociali, paradossalmente affini al liberismo inteso in senso negativo, cioè come ideologia. Lo stesso liberalismo, nel momento in cui più non si confronta con l’altro e con la realtà o la storia, può convertirsi nel suo contrario: in un liberalismo teologico, dogmatico e intollerante, non difforme nella sostanza da ogni altra teologia politica. Il liberismo, considerato nella sua accezione positiva, ha come proprio opposto non lo Stato, come impropriamente si usa dire, ma il monopolio. Ecco che allora quando Gramsci parla del ruolo “egemonico” degli intellettuali, finalizzato alla realizzazione dello Stato socialista, concretizza esattamente l’idea di monopolio incompatibile col liberalismo. Ma c’è di più:Fra i nemici più insidiosi del liberalismo sono da ricordare il populismo, il “dispotismo della maggioranza” e il paternalismo. Il populismo, oltre ad essere un mito politico, e perciò contrastante con lo spirito critico che è connesso alla mentalità liberale, affermando che tutta la virtù è nel popolo, a prescindere, configge con uno dei caratteri intrinseci al pensiero liberale, che è di sua natura “aristocratico”.Per il liberalismo il problema della politica non è quello di fare a meno delle élites ma di far sì che esse: 1) siano aperte a chiunque e fondate sulla meritocrazia; 2) siano fra loro in lotta, competizione e ricambio continuo (la “circolazione delle élites” di cui ha parlato fra gli altri Piero Gobetti). Niente di più antitetico col pensiero di Gramsci. Quanto al paternalismo e alla sua tendenza a tutto regolare “per il bene” e “per la felicità” degli individui, il liberale deve gridare forte che è meglio sbagliare e battere la testa da soli che far bene guidati da altri. Ognuno deve poter sbagliare, peccare e eventualmente correggersi. E compito dello Stato non deve essere quello di stabilire in cosa consista il mio bene o la mia felicità. Come ha mostrato Immanuel Kant, questa pretesa intacca un altro dei principi cardini dell’individualismo liberale: l’autonomia morale e la capacità di autodeterminarsi. Siete sopravvissuti fin qui? .. giuro che non lo faccio più!