Diario dal Kosovo

La gita del sabato


12 novembre   Un’altra settimana è trascorsa velocissima, ed è di nuovo sabato. Il sabato finora è stato dedicato alla “scoperta” del Kosovo, con gite nelle gita più importanti. Questa volta il tempo non è molto bello, ma per non interrompere la tradizione, io, Petra e Marco (Riccardo e Laura sono impegnati in ufficio) decidiamo di visitare Gračaniça, una piccola cittadina a pochi chilometri da Pristina. La particolarità di questo posto è di essere popolato interamente da Serbi: è come una piccola isola serba nel Kosovo a grandissima maggioranza albanese. Tra i due gruppi etnici c’è, ancora, una fortissima tensione: i Kosovari albanesi rappresentano ormai il 95% della popolazione e rivendicano l’indipendenza del Kosovo dai Serbi, dopo i difficili anni 90, culminati con la guerra del 1998-1999 e con l’intervento Nato. I pochi Serbi rimasti vivono in enclaves più o meno grandi, praticamente isolati sia dalla propria patria (la Serbia) sia dal Kosovo, dove si trovano a vivere in condizioni molto difficili.    Arriviamo in città e subito notiamo una differenza evidente: alle scritte albanesi si sostituiscono i caratteri per me incomprensibili dell’alfabeto cirillico, usato dai Serbi. Sembra di essere arrivati in Serbia, ma ci troviamo sempre nel bel mezzo del Kosovo. A Gračaniça visitiamo un antico chiostro ortodosso, costruito nel 1300. L’interno è piccolo, ma molto interessante. Oltre a noi, visitano la chiesa accompagnati da un prete ortodosso anche tre soldati ucraini, armati di tutto punto. Fuori dal chiostro, una ragazza e una donna sui quarant’anni ci chiedono l’elemosina. Si accorgono che siamo italiani (è incredibile: lo capiscono sempre tutti, ovunque io vada!) ci dicono: “Ciao, come va?” e ci rinnovano le loro preghiere per avere un’offerta. Do ad entrambe una moneta e mi vengono baciate le mani per riconoscenza. Per imbarazzo, ma anche per curiosità, cerco di fare qualche domanda in inglese alla ragazza. Lei mi dice che Gračaniça è abitata solo da Serbi. Lei studia in una scuola. I suoi genitori sono stati entrambi uccisi dai guerriglieri “albanesi” dell’UCK durante la guerra e da allora vive di stenti e d’elemosina, senza un futuro per sé e per i suoi fratelli. Questo racconto lascia me e gli altri turbati. Molto spesso abbiamo sentito parlare gli Albanesi delle ingiustizie e violenze subite dall’esercito serbo; adesso, però, ci troviamo a sentire anche l’altra parte in causa. Con tristezza e un po’ di pessimismo, mi ritrovo a pensare che, non importa da quale parte ci si trovi, la morte è uguale per tutti e tende a colpire gli innocenti, privandoli di un futuro e portandoli ad esacerbare un odio etnico difficile da risanare.   Lasciamo la città: dopo due chilometri ricompaiano le scritte con l’alfabeto latino. Siamo di nuovo in Kosovo, uno stato ancora diviso, dove la separazione tra Serbi e Albanesi sembra mettere in crisi la possibilità di un futuro di pace. Ma se la divisione non aiuta a superare i conflitti e l’incontro non è possibile perché si creano nuovi scontri, dov’è la soluzione? Spero, nei prossimi mesi, di avvicinarmi ad una risposta, se ne esiste una…