Diario dal Kosovo

Terzo articolo del "Nostro Giornale"


17 novembreLa vita a Pristina: normalità apparente   Sono le sette del mattino. Di solito non scrivo mai a quest’ora, perché preferisco dormire nel mio comodo letto. Ma oggi sono stato svegliato dalla preghiera mattutina proveniente dalla moschea poco distante da casa mia e quindi colgo l’occasione per cercare di descrivere le mie ultime esperienze e le emozioni collegate ad esse. Sono in Kosovo ormai da circa un mese e comincio ad abituarmi alla vita a Pristina. Ci sono momenti in cui, addirittura, arrivo a credere che la vita qui non sia così diversa rispetto a quella alla quale ero abituato prima. Poi, però, basta un piccolo particolare, il canto dei fedeli musulmani, un racconto, un’immagine, e mi rendo conto di non essere né in Italia, né in Germania, né in Inghilterra, né in altri posti dell’Europa in cui ho vissuto o che ho visitato   Pristina e il Kosovo sono diversi. In Italia alcuni periodi che hanno segnato in modo indelebile la nostra storia (come il ventennio fascista e la seconda guerra mondiale) sono ormai distanti, sia nel tempo, sia, soprattutto, nella memoria delle nuove generazioni. Non vengono dimenticati, ma vengono percepiti in modo più distaccato. In Kosovo, invece, i ricordi dei difficilissimi anni 90 sono ancora segnati nella biografia degli abitanti locali. Le violenze perpetrate dalla polizia e dall’esercito serbo sui civili kosovari di origine albanese hanno causato morte, torture, povertà e hanno colpito non solo il corpo, ma anche la mente delle persone. Ancora oggi c’è molto odio: gli Albanesi non hanno dimenticato e ora che sono stati “liberati” dall’intervento Nato richiedono l’indipendenza politica. I pochi Serbi rimasti vivono in enclaves superprotette, isolati dal mondo e senza più avere una patria. Il dialogo tra le due parti sembra praticamente impossibile. Ho avuto una prova simbolica di questa situazione il 1° novembre in un cimitero di Pristina, diviso in tre zone: quella musulmana, quella cattolica e quella ortodossa. Le prime due parti sono curate e visitate dai parenti dei defunti, perché i Kosovari di origine albanese sono musulmani e cattolici (una piccola minoranza); mentre la parte serba (ortodossa) è abbandonata: l’erba alta, le tombe sfregiate e la dimenticanza sembrano prevalere…   Per adesso la mia vita qui è, quindi, caratterizzata più dall’osservazione che dall’azione. Per aiutare le persone bisogna prima capirle e dialogare con loro, facendo attenzione a non offendere la loro sensibilità. Io sono in Kosovo per aiutare la popolazione locale, con i migliori propositi. Allo stesso tempo sono, però, ospite nel loro paese e cerco di adeguarmi alla nuova cultura, senza abbandonare la mia identità.   Il lavoro al Centro procede in modo positivo: il corso di italiano avanza, aumentano i contatti con gli altri professori della scuola, aiuto i Salesiani quando posso. Le giornate trascorrono veloci e sono sempre interessanti, con cambi di lingua molto frequenti: italiano, qualche parola di albanese con i colleghi locali, francese con il guardiano della scuola, tedesco con uno studente che ha trascorso un anno in Svizzera e inglese nei negozi quando non riesco a farmi capire in albanese…   Un altro fatto mi ha ricordato di essere in Kosovo, un paese a maggioranza musulmana. Il 1° novembre è stato un normale giorno di lavoro; in compenso, ho avuto due giorni di festa (il 3 e il 4 novembre) per il Bajram, la fine del Ramadan. Approfittando del tempo finora veramente bello e ancora relativamente caldo, io e alcuni miei colleghi abbiamo abbandonato il traffico di Pristina per andare a scoprire altre parti del Kosovo, che si sono rivelate estremamente belle. Abbiamo visitato le cascate di Mirush, camminando in stretti sentieri tra le colline e i bassi monti, circondati dai bei colori dell’autunno. Un giorno è stato anche dedicato alla visita della città di Prizren, con la stupenda moschea del 1300, le rovine di un’antica fortezza e, purtroppo, anche con i segni della guerra visibili in alcuni edifici distrutti. Il Kosovo, appunto. Uno stato da scoprire giorno dopo giorno, pensando al passato, soprattutto quello prossimo, per capire il presente e cercare di costruire un futuro migliore.