Diario dal Kosovo

Quinto articolo sul "Nostro Giornale"


La festa di San Nicola e il ricordo della guerra   Ormai sono in Kosovo da due mesi e dicembre è già arrivato. Il Natale è vicino, ma qui a Pristina i segni sono molto limitati: non ci sono ancora luci per le strade o nelle case; solo qualche negozio vende addobbi e, in generale, non si respira nessuna atmosfera natalizia. Questo è normale, dato che il Kosovo è un paese a larga maggioranza musulmana. Esiste, però, una minoranza cattolica (circa il 5% della popolazione) che celebra molto un giorno che in Italia non prevede nessuna festa particolare: il 5 dicembre, dedicato a San Nicola. Vorrei descrivere il modo in cui ho vissuto questa ricorrenza, per cercare di spiegare come nel Kosovo festa e guerra, gioia e dolore, ospitalità e spietatezza possano essere collegati, segnati nell’esperienza personale delle persone. Questa vuole essere una testimonianza non retorica con lo scopo di denunciare gli orrori di una guerra che ha portato persone nate e vissute insieme ad ammazzarsi, in nome delle differenza etnica. E’ pericoloso dimenticare. Il ricordo serve per evitare che in futuro si ripeta quanto successo in passato: di questo sono profondamente convinto.   Ma ecco come si è svolta la mia festa di San Nicola: io e gli altri tre volontari del VIS siamo stati invitati da Bekim (il contabile del Centro Don Bosco, cattolico) a casa sua, in un paesino vicino a Gjakova, nel sud-ovest del paese. Dopo circa un’ora e mezzo d’auto arriviamo a casa di Bekim, che ci accoglie, insieme ad una sua anziana zia, in modo estremamente caloroso. L’ospitalità è uno dei valori più importanti per gli Albanesi, che in un loro detto ricordano: “La casa appartiene a Dio e all’ospite”. Ebbene, la gentilezza e l’amicizia mostratemi durante le ore della cena di San Nicola mi hanno dato prova della bellezza dell’ospitalità vera e sincera.    Prima di cominciare a mangiare, c’è stato un momento di raccoglimento e preghiera: Bekim, con una candela in mano, ci ha ringraziati per essere venuti e per avergli dato l’onore di festeggiare San Nicola con lui e la sua famiglia. Poi via con la cena, che si è rivelata pantagruelica: ho potuto gustare di nuovo un’ottima carne di maiale dopo una lunga astinenza (quasi nessun supermercato la vende in Kosovo), ho mangiato una tenera carne di agnello, accompagnata da un buon vino rosso e così via…    La cena si è protratta per varie ore, durante le quali non abbiamo solo mangiato, ma anche parlato. I Kosovari non raccontano volentieri della guerra, almeno con le persone che conoscono poco. Si aprono di più quando hanno la fiducia e l’amicizia degli interlocutori, perché parlare dei fatti privati è sempre doloroso, ma permette anche di condividere il ricordo. Nel corso della serata Bekim ci ha raccontato alcuni fatti riguardanti la sua famiglia (solo in parte a me noti), che mi hanno colpito molto. Per tutti gli Anni 90 e in particolare durante la guerra del 1998-99 la polizia e l’esercito serbo hanno compiuto massacri, torture, hanno sospeso qualsiasi forma di diritto, esercitando una violenza smisurata. Gli Albanesi hanno cercato di resistere, prima pacificamente, poi tramite l’UCK, gruppo armato nato per difendere le famiglie albanesi. Tuttavia, molti di loro hanno pagato un prezzo altissimo. Durante un giorno di aprile del 1999, un gruppo di soldati serbi è entrato in casa di Bekim: lui era a Pristina all’università e si è salvato, ma il padre è stato portato via. Dopo qualche settimana anche la sua casa è stata bruciata. Del padre non si è mai più saputo niente: persa qualsiasi speranza di ritrovarlo in vita dopo 6 anni, l’unico desiderio di Bekim è quello di rientrare in possesso dei resti del corpo, per dargli degna sepoltura. Ogni tanto vengono ritrovare fosse comuni, ma non QUEL corpo. Il dolore e la rassegnazione si mescolano, insieme all’insensatezza di aver perso il padre in un modo così assurdo. Gli altri sette tra fratelli e sorelle e la madre di Bekim hanno lasciato il Kosovo e vivono chi in Germania, chi in Svizzera. Bekim, dopo un lungo periodo passato in Italia, è tornato e intende rimanere. Nel 2004 è riuscito a completare i lavori della nuova casa, in cui siamo stati ospitati per la cena e per la notte. Quindi, la vita continua, ma lui non può e non vuole dimenticare. Nella sala da pranzo, sulla destra, spicca un dipinto in dimensioni naturali del padre di Bekim: ha un’aria tranquilla, fuma una sigaretta…   Il mattino dopo Bekim ci mostra qualche foto di famiglia. Quella che gli piace di più è una foto del 2000: in essa vi sono la madre e tutti gli otto figli, riuniti insieme. Bekim ci mostra la foto e dice: “Guardate che bella, tutta la mia famiglia, tutti insieme. Purtroppo, manca qualcuno…Manca papà… Maledizione, perché deve mancare sempre qualcuno?”. E questa è la domanda che continua a risuonarmi in testa e che mi viene voglia di urlare a squarciagola per sfogarmi: “Perché manca sempre qualcuno? Perché?”. Precisamente a questa domanda bisogna cercare di rispondere, per evitare che in futuro altri debbano porsela nuovamente…