Creato da Massimiliano_Kosovo il 20/10/2005
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« Ritorno a PristinaLa morte del Presidente Rugova »

Le enclaves serbe in Kosovo

Post n°47 pubblicato il 04 Febbraio 2006 da Massimiliano_Kosovo

19 gennaio

Le enclaves serbe: piccoli mondi fuori dal mondo

   Da qualche giorno sono tornato in Kosovo e la vita ricomincia a scorrere veloce: Pristina non è cambiata molto, ma sembra più bella sotto la neve. I lavori di costruzione della parte centrale del Centro Don Bosco sono quasi completati e presto ci sarà l’inaugurazione. Io ho ripreso le mie attività a scuola e sto per finire il mio corso di italiano. La situazione sembra essere molto tranquilla, ma, in realtà, è come se tutti stessero trattenendo il respiro, aspettando il proseguio dei negoziati per il futuro status del Kosovo, che riprenderanno a fine gennaio. Gli Albanesi, il 90% della popolazione in Kosovo, vogliono l’indipendenza. Il governo serbo di Belgrado rifiuta assolutamente l’idea. C’è, però, un terzo gruppo che dovrebbe essere preso in considerazione e che, invece, si trova ad avere pochissimo peso politico, cioè quello delle persone di origine serba che ancora vivono in Kosovo (anche se non se ne conosce il numero esatto, si stima che siano circa 100.000-150.000).

Ho avuto nel corso dei mesi passati in Kosovo un paio di occasioni per vedere come i Serbi rimasti vivano e sono rimasto sempre molto colpito. L’ultima risale al 20 gennaio, quando, insieme al direttore del Centro Don Bosco e ad un altro volontario, sono andato a visitare l’enclave di Preluzje, a soli dieci chilometri di distanza da Pristina. E’ stata un’esperienza strana, e triste. Siamo passati attraverso Obilic, una delle città più inquinate del Kosovo, a causa delle centrali del gestore nazionale dell’elettricità. Un cavalcavia segna il distacco tra il Kosovo albanese e le enclaves: in un attimo sembra di entrare in un altro mondo. Il segno più evidente è dato dalla lingua: le scritte in albanese spariscono e compaiono quelle serbe in cirillico, improvvisamente non si sente più dire una parola in albanese, ma solo in serbo. A Preluzje vivono circa 3000 Serbi, segregati dal resto del mondo, in pochi chilometri quadrati. Una scuola, qualche negozio, un centro ricreativo e una Organizzazione Non Governativa locale (che siamo andati a visitare). La luce e l’acqua arrivano in modo carente, per mesi sono stati praticamente isolati. Possibilità di lavoro per i giovani: quasi zero. Le uniche fonti, limitate, per sostenersi sono gli aiuti del governo serbo e dei parenti che hanno un lavoro all’estero. I residenti non abbandonano quasi mai il “confine” dell’enclave, perché hanno paura degli Albanesi. Paura che li riconoscano appena dicono una parola (parlano poco la lingua albanese), paura delle incursioni notturne di alcuni estremisti albanesi che tirano sassi per rompere i vetri delle abitazioni. Gli Albanesi odiano i Serbi e i Serbi odiano gli Albanesi. Ma da dove nasce questo odio etnico così profondo e come si è sviluppato? Il destino dei Kosovari di origine serba è particolare: dal 1990 al 1998, quando il governo serbo ha progressivamente attuato un’opera di pulizia etnica, essi hanno sostenuto le azioni dell’esercito serbo, che ha compiuti crimini atroci. Durante la guerra del 1998-99, però, la situazione è per loro precipitata: l’UCK ha cominciato a compiere azioni non solo contro i soldati, ma anche contro i civili serbi. Alla fine della guerra, in una situazione di caos totale, decine di migliaia di Serbi hanno abbandonato il Kosovo per evitare le vendette degli estremisti Albanesi, che per vendicarsi hanno bruciato o occupato illegalmente un numero altissimo di abitazioni. A partire dal 1999, quindi, i Serbi rimasti si sono trovati in minoranza estrema in tutto il Kosovo e si sono radunati per vivere nei piccoli paesi in cui vivono rinchiusi come in prigione: le enclaves, appunto, sparse un po’ per tutto il territorio. Negli anni successivi i Serbi kosovari sono stati vittime di costanti intimidazioni, aggressioni, violenze, contro le persone e contro le proprietà. Durante le rivolte del marzo 2004, che hanno colto di sorpresa anche le migliaia di soldati della Nato, sono morti nove Serbi, mentre centinaia sono stati i feriti e le case incendiate. Inoltre, 35  monasteri ortodossi, alcuni di valore artistico altissimo, sono stati bruciati. Tengo a sottolineare che questa azioni sono state compiute da alcuni estremisti albanesi, da dei terroristi armati e organizzati, che poco hanno a che fare con la popolazione civile. Infatti, anche se quasi tutti gli Albanesi odiano i Serbi dopo le violenze ricevute per 10 anni, solo una piccolissima parte di loro, cioè questi estremisti, passano dalle parole ai fatti, bruciando case e uccidendo. A partire del 2004, quindi, si registra un'altra conseguenza paradossale della guerra: i soldati Nato, venuti per salvare gli Albanesi dai massacri serbi, devono ora sorvegliare e proteggere le enclaves serbe dagli attacchi albanesi. In questa situazione, quasi tutti i Serbi rimasti vorrebbero abbandonare il Kosovo, ma non sanno come fare, anche perché il governo serbo li usa più come “merce di scambio” nelle trattative per il futuro status delle regione, piuttosto che offrire loro reali possibilità di cominciare una nuova vita in Serbia.

Nelle poche ore passate nelle enclaves ho chiesto, ho ascoltato, ho cercato di capire, ma purtroppo dalle parole della  gente non è emersa molta speranza: le ferite fisiche e mentali provocate dall’odio etnico sembrano essere inguaribili. I negoziati potrebbero essere la soluzione per ricominciare da zero, ma i Kosovari di origine serba, ancora una volta, hanno paura: cosa succederà loro, infatti, se il Kosovo diventa indipendente e i soldati che li proteggono se ne andranno? Nessuno ha il coraggio di pronunciare le parole della risposta, ma la paura aumenta.

 
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lottergs
lottergs il 25/03/09 alle 02:18 via WEB
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