naufragi di Utopia

utopia dei sogni ( i sogni sono utopie?, ovvero, la pallina in bocca)


  A detta di Bogey, il gatto castrato e segretario, questo che sto per raccontare è il sogno più strano in cui Liberator sia mai incappato. Ne convengo con lui anche se a questo punto lo interrompo per chiedergli cosa intende esattamente con questa affermazione. Bogey dice che intende esattamente quello che ha detto, e cioè che nel mondo dei felini un sogno così è quanto di più fantascientifico ci possa essere. E per avvalorare questa sua opinione mi dice: «Hai mai visto un gatto alla catena?». Ci penso un po' su e l'unica cosa che mi viene in mente è qualche ricordo di mostre feline dove a volte mi è sembrato di vedere gatti col guinzaglio e devo dire che la cosa mi aveva lasciato alquanto disgustato, però evito di dire quel che ho visto a Bogey: non vorrei che se la rifacesse con me nel nome delle sue genti, e lo spazio che dividiamo è talmente esiguo - siamo nascosti in un piccolo armadio stile arte povera a due ante - che non mi sarebbe consentita nessuna fuga dalle sue sottili e lucidissime unghie. Sono le tre del mattino e la ragazza coi capelli rossi, quella rossa più di tutte, sogna d'avere una pallina di legno in bocca, collegata ad una cavezza. E la bava le gocciola dai denti, assurdamente chiusi sulla pallina di legno e le cola sul mento e poi per terra, formando una piccola pozza lucida e trasparente come l'acqua. Il suo Padrone la tiene sotto il tavolo, come una cagna ed ogni tanto per farle sentire che c'è le tira un calcio, ma non cattivo, un calcio affettuoso sul deretano, un calcetto, tanto per farle sentire che il Padrone le è vicino. Che la domina e la protegge. Mangia il Padrone, e qualche briciola cade dal tavolo e lei la cagna umana, lesta se la mangerebbe, se solo non avesse quella pallina di legno in bocca. Ma non può mangiare né parlare. Può solo guaire e/o mugolare. Può solo aspettare un calcio o una carezza. Intanto non perde di vista le scarpe del Padrone e non vede l'ora di leccarle. Liberator entra in quel sogno e n'esce subito stupefatto, addolorato. Ma anche incuriosito. C'entra daccapo, perchè nella vita c'è sempre da imparare, e sottovoce redarguisce la donna con la pallina in bocca e mugolante.«Perchè lo fai? », le chiede, dopo averle levato l'ingombro rotondo dalle fauci. «Perchè così piace al mio Padrone e piace anche a me, che ti credevi?» «Allora è un gioco?» «E' più di un gioco, io son fatta così». Da sotto il tavolo Liberator scansa gli stinchi e le scarpe del cosiddetto Padrone per guardarlo in faccia, da sotto il tavolo in su. Sembra tranquillo. Mangia tranquillo. Come se sotto il tavolo non ci fosse una donna a pecorino con una rotonda pallina tra le ganasce ed un collare con annesso guinzaglio al collo proprio come se fosse una cagna, ma di quelle cattive, da tenere a bada a breve distanza. La muta che la ragazza rossa indossa, è nera e luccica come la pelliccia di una foca bagnata; è più quello che scopre di quello che copre avendo le zone erogene completamente esposte. Liberator pensa che se la farebbe amorosamente anche senza pallina e cavezze. Anzi, se ne innamorerebbe da zero a trenta secondi netti.Ma sarebbe troppo semplice, no? troppo normale? troppo banale? Guarda la donna con più attenzione. Anche con la pallina in bocca ed il rimmel che le cola dagli occhi lacrimosi, la riconosce. E' una frequentatrice abituale. Una donna normale, una specie di casalinga di Voghera, vive una vita normale, ma i sogni che fa sono un po' strani, e sono rossi. Ma da che il mondo è mondo le notti sono fatte di strane cose ad occhi chiusi, e strane cose succedono. Liberator non sa cosa pensare di quel sogno e si sente un po’ indolenzito in quella posizione a pecorino sotto il tavolo. Le ginocchia gli fanno male e le mani gli si sono impiastricciate della saliva che la donna rossa ha perso per colpa della pallina in bocca. Forse così lei trova la pace dagli affanni giornalieri e dagli assilli della mente, forse così si libera dal peso che l’opprime, dalle scelte sbagliate, dai soprusi subiti, dall’infanzia perduta o dal suo cuore infranto, dalle anime dell’Inferno che la perseguitano, da un primitivo e selvaggio istinto, dalle notti solitarie o dal desiderio di una vita avventurosa, dissoluta, libertina e licenziosa, ed obbligata invece ad essere morigerata e castigata, irreprensibile, in un percorso di vita grama e travagliata, misera e ingrata, grigia come una giornata bigia di quelle in cui mai e poi mai vorresti alzarti dal letto e staresti invece ad occhi chiusi, nascosto sotto le lenzuola, per far finta di non esserci. Insomma, una specie di :«No. Non ci sono, andatevene tutti che non ne posso più.» Liberator esce dal sogno rosso della donna rossa un po' come brillo e parecchio confuso, ma non tanto da rinunciare alla speranza di un mondo migliore. Dice a Bogey che non ha ancora capito come funziona quella cosa lì, ma gli dice anche che è abbastanza sicuro che la ragazza rossa sia un'aliena, anche se prima doveva essere umana, visto che la vagina ce l'ha. «Speriamo di non trovarci in mezzo ad una specie d'invasione», aggiunge, ed attraversa la strada. Perché attraversa la strada? Con la coda dell’occhio ha intravisto un altro sogno. Ma quella è proprio un'altra storia.