GIORNI
E infilerò i giorni in una collana,
 tra i fili di  pietruzze dei giorni inutili,
ci saranno piccole perle di dolcezza,
e quando riuscirò a chiuderla
con un fermaglio stretto ,
la metterò nel cassetto
quello dei ricordi belli,
insieme ai pezzetti
di anima graffiata.
Eli

 
Creato da: laancella il 17/08/2005
Scrivere come parlare. Come giocare.

 

 
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Post N° 426

Post n°426 pubblicato il 11 Luglio 2008 da laancella

Non è che oggi sia diverso da ieri e non credo sarà diverso da domani. Anche se oggi è il mio compleanno e mi sono regalata il sonno del mattino fino a non avere più sonno che è una cosa che mi piace assai. E poi ci sono state le amicizie, mie, belle che mi hanno fatto auguri e chiacchiere e la loro presenza ha attenuato il senso di delusione prevedibile per quelle quattro parole sintetiche e d’educazione più che d’affetto che mi hanno trapassato come un punteruolo come prima cosa della mattina. Ma ci passo sopra, calpesto e lascio indietro. Non voglio un momento di bilancio chè i conti miei quadrano mai, ma un attimo di ripensamento su me stessa è un debito alle verità che troppo spesso in questo periodo ignoro. E resto ferma, con le mani sopra alla tastiera per capire da quale punto iniziare la discesa agli inferi. Ci sono porte che non vorrei aprire, dietro cui romba il dolore con voce sonora. Questo amore che mi porto appresso sarebbe anche ora lo lasciassi cadere, sarebbe ora lo buttassi oltre l’orizzonte noto dei miei pensieri e farne un pacchettino piccino da tenere nello scrigno chiuso delle cose già vissute. È la solita storia di tutti i miei percorsi. So benissimo cosa dovrei fare e non lo faccio. La scusa stupida ed inutile è il “non ci riesco” che invece mi riesce benissimo, e non ci riesco perché fondamentalmente non voglio. Non voglio restare senza la certezza poderosa di questo amore che mi sostiene in questi giorni di annebbiamento e noia. Come potrei tollerare la solitudine in cui mi sono rinchiusa se non avessi la compagnia utopica di questo amore che oggi compie assieme a me 34 anni? La terrazza del corso Lodi e la notte del mio compleanno, 34 anni fa, lui era il ragazzo più bello che avessi conosciuto e lo volevo e come ho sempre fatto l’ho avuto, con la capricciosa ostinazione della bambina viziata, che vuole quella cosa e nel momento in cui la vuole, deve averla. Non riesco a considerare non amore questo sentimento che mi lega a lui da 34 anni. Sarebbe tagliare via un pezzo di me. Ecco. Non ci riesco e non voglio. La mia rovina sono io. L’unica battaglia che devo fare è quella contro me stessa. Pigra ed inutile in questi giorni di nulla e di vuoto devo ritornare alla dissacrante pulizia della rabbia. Rabbia più difficile perché deve essere contro di me. Anzi, per me. Per aver potuto rovinare e distruggere tutto il bene che mi ero fatta. Dimagrire era stato una conquista di quelle di cui andare orgogliosa. Ingrassare di nuovo è la sconfitta di cui vergognarsi. E la colpa è solo mia. L’aver accettato questo benessere fittizio come assioma della mia vita è stato l’errore. C’è benessere è vero ed è quello del mio riuscire a fare quello che pensavo impensabile. Stare da sola. Essere sola a decidere per me e di me, fino al limite estremo di essere certa che quando sarà il momento riuscirò perfino a decidere di lasciare questa casa e questo mio paese di pianura per andare in un altrove dove il mare guarirà le mie ferite. Sogno e illusione per carezzare con affetto il non buono di questo vivere di adesso? Forse. Di certo in questo sogno impegno la mia volontà ed è il respiro che mi manca quando sento di soffocare sepolta dalla mia ignavia. Parliamone di questa ignavia. È il guscio di casa che mi dà la sicurezza che non ho fuori di qui. Nella casa mi rinchiudo e ho tutto quello che mi serve. La pulisco. La coccolo. La vivo. E non faccio nulla. Ma è l’inganno con cui inganno me stessa. Ignavia. E la stessa cosa è il grasso che mi sono messa addosso. Sono grassa e non mi devo impegnare per piacere. Chi mi conosce e mi vuole bene mi accetta come sono e quindi per quale motivo impegnarsi e rimettersi in gioco. Farsi attraversare da tentazioni e passioni che poi mi lasciano stranita e dolente a leccarmi le ferite, e da sola, senza nessun porto a cui tornare. Ignavia. Pura e grassa schifosa lurida ignavia. Ed è uguale la paura sottesa a tutte le mia azioni, non azioni, non fare nulla per paura delle conseguenza. Eccheccazzo. Non è da me avere paura di fare una cosa per le conseguenze che potrebbero esserci, ma anche no. Ma l’ignavia comanda alla paura e faccio nulla. Non combatto, non rischio, non mi espongo. NON SCRIVO. Scrivere come dici tu, amico mio, è il vomito dell’anima e se ho paura di quello che potrei trovare nella mia anima gretta e inadeguata non scrivo. Solo piccole frasi e raccontini che nulla dicono di me. Scrivere è lasciare che le dita corrano dietro ai pensieri che si accavallano nella mente e confusi diventano parole e nel momento in cui formano frasi sono già il risultato positivo del mio male di essere. Di tutto il mio decantato benessere, di questa quiete di cui mi faccio vanto e metto in vetrina come una conquista eccellente di un percorso virtuoso di pulizia e di sincerità, nulla c’è di vero. È una maschera talmente attaccata alla mia pelle che staccarla mi fa sanguinare. Il mio volto pubblico è quello dell’equilibrio e della serenità, ma come sono brava a mentire e per prima a me stessa e di conseguenza all’universo mondo che mi vede nella mia aureola di facilità e tranquillità. Niente di più falso. La mia anima è scura. È ombra. È palude e fango. Schifezza di retaggi vecchi come me, di mancanze che non si saneranno. È solitudine cercata voluta idolatrata come l’unica compagnia possibile. Di ricordi mascherati da sogni e di sogni ingannatori della razionalità. La ragione è lontana da questo miscuglio di confusione e rancore. Gli alibi si frantumano nella consapevolezza che il centro del mondo sono io ed è un ramingo solitario che scatena la guerra. Stamattina mi sono urlata allo specchio che non esiste nulla al mondo che mi può sconfiggere se non me stessa. È facile combattere un nemico esterno, ne vedo il profilo, so valutare la sua forza e la sua debolezza, so fare della rabbia e del rancore l’affilata mortale spada con cui colpire a morte. Combattere i miei demoni è la battaglia di una vita intera ed ancora non basta. Eppure in questo giorno in cui compio, finisco, i miei 57 anni vorrei iniziare la guerra. Non “vorrei” che assomiglia troppo alle maschere che so usare così bene. Voglio. VOGLIO. Voglio essere arrabbiata con me, voglio odiarmi per il male che riesco a farmi, voglio non perdonarmi con la facilità con cui bevo un bicchiere d’acqua. Voglio provare ripugnanza per l’ignavia con cui tappezzo le mie ore. Voglio il rancore, il rimpianto e il dolore. Niente più anestesie da belle parole e pacifici pensieri. Voglio riprendermi la parte brutta e tetra di me e usarla come stendardo della battaglia. Voglio massacrare i rituali e le abitudini. Voglio scavare ancora nel fondo più profondo di me, e ancora, e ancora.

Buon compleanno, titti.

 
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