La barca il viaggio

Libeccio


Così cantava mio nonno, quando aveva i capelli quasi neri, e la nonna cantava il controcanto -prendi quel secchio, e portalo alla fontana, prendi quel secchio, e portallo alla fontanalà c'è il tuo amore, là c'è il tuo amore, là c'è il tuo amoreche alla fontana aspetta.prendi il fucile, e vattene alla frontieraprendi il fucile, e vattene alla frontieralà c'è il nemico, là c'è il nemico, là c'è il nemicoche alla frontiera aspetta.Perché l'estate si viaggiava lungo l'intera Italia, dalla punta alla cima, su una opel verde brillante, carica con le valigie sul tettuccio - che allora le macchine viaggiavano tutte cariche con le valigie sul tettuccio, e la plastica intorno, semmai piove - e nel baule una borsa frigo coi sandwitch fatti di pancarré. Bevevamo dal thermos e facevo pipì sul lato dell'autostrada, con mia madre e la portiera dall'auto a farmi da paravento. Il viaggio si consumava a partire da prima dell'alba, si srotolavano i chilometri sull'autostrada e la macchina percorreva la striscia nera come una collana di caucciù, distesa su montagne e mari. A me veniva mal d'auto, ci si fermava e respiravo l'aria improvvisamente ferma, le gambe poco salde sul selciato. L'odore di sandwitch di pancarré riempiva ogni cosa. Poi spuntava, alla fine di tutto un giorno, e anche una parte di notte, una striscia blu all'orizzonte. L'aria era sbiadita come una fotografia, coi raggi di sole separati in cristalli, e la terra aveva odore di limoni. Finalmente l'arrivo. Il viaggio terminava. E mio nonno e mia nonna, che avevano i capelli quasi scuri, cantavano e guardavano il mare.