La barca il viaggio

Cime


La fine della vita è irrinunciabile. Non solo ineluttabile, inevitabile, obbligata. La fine sta alla vita come il sapore al cibo. Noi siamo abituati a vederla come nemica, invece è la fine che dà significato alla vita stessa. La nostra è un'esistenza di scadenze e rendiconti. L'eternità, dove ogni evento è rimandabile, dove l'urgenza non ha senso, non ci appartiene. La temporaneità è l'unica costante dell'esistenza. Su questo solo concetto dovremmo imparare ad esistere: sulla consapevolezza che nulla è per sempre - il tempo, le occasioni, le relazioni perfino -  e che l'unica cosa che si può accumulare è la vita stessa. Azioni immaginate o azioni compiute? Cose da raccontare o cose ancora da sognare? Ferite evitate o segni di battaglia?Invece passiamo il tempo a cercare di evitare il pensiero della fine, a fingere che non ci sarà mai. E ci sentiamo oltraggiati dalla sorte (sicuramente avversa!) quando la fine sopraggiunge, confusi in vaghi sensi di ingiustizia e accanimento del destino. E rimaniamo a bocca aperta a sussurrare cento 'perché' increduli, secchi e insipidi come briciole sfatte - in ginocchio, in lacrime, davanti a santi inpolverati a mormorare controincantesimi. Come mosche che sbattono contro i vetri.