LA DESTRA CALOLZIO

Guerra in Iraq... per il petrolio o i petrolieri?


Facciamo quattro conti. Quanto carburante consuma l’esercito americano per occupare l’Iraq, il Paese che vanta le terze riserve mondiali di greggio? «Ogni soldato americano consuma circa 20,5 galloni di carburante ogni giorno» ha scoperto R.Bryce[1], un esperto del tema, direttore di Energy Tribune. Si tratta di 90 litri al giorno per ogni soldato. Nel complesso le forze armate occupanti bruciano tre milioni di galloni al giorno, per un totale di 11 milioni di litri: il doppio del consumo del 2004. Molti penseranno che questo stia comportando un saccheggio di oro nero dell’Irak: non è così! È ben poco il petrolio iracheno che viene raffinato e reso disponibile per gli occupanti. Gran parte dei carburanti che gli americani consumano in così enormi quantità provengono dalla raffineria di Mina Abdulla, che appartiene al Kuwait: 903 milioni di dollari pagati allo Stato del Kuwait soltanto nel 2006.   Altro carburante arriva in autobotti dalla Turchia, da centinaia di chilometri di distanza, spesso raffinato da industrie ancora più lontane, che si trovano in Grecia. Ben 5.500 autobotti sono impegnate in questo immenso trasporto da sedi così lontane, con un costo aggiuntivo calcolato a 42 dollari per gallone, oltre al prezzo del carburante noto come JP-8, una mistura di kerosene, che le forze USA adoperano sia per gli aerei che per i veicoli, rincarato enormemente dopo l’invasione dell’Iraq.   L'America spende per il trasporto 923 milioni di dollari alla settimana: un terzo del costo complessivo dell'occupazione, che si calcola in 2,2 miliardi di dollari a settimana. Dunque ogni soldato USA (sono 157 mila) costa 840 dollari al giorno solo per le spese di trasporto per il carburante che consuma.   Il raddoppio dei consumi tra il 2004 ed oggi si spiega con le aumentate corazzature dei veicoli, che gli americani hanno dovuto adottare per ripararsi dagli attentati con gli IED (ordigni esplosivi improvvisati), lasciati ai lati delle strade e fatte esplodere dalla guerriglia, quando transitano i convogli. I gipponi Humvee, che già consumavano parecchio prima, con le corazzature aggiuntive arrivano a pesare sei tonnellate l'uno, e fanno 8 miglia con un gallone (3,78 litri), rimanendo alquanto vulnerabili. Allora il Pentagono ha concepito nuovi veicoli MRAP (mine resistant ambush protection), ossia resistenti alle imboscate esplosive, ordinando di costruirne 23 mila in quattro anni. Costano 3,5 milioni di dollari l'uno e, pesando 22 tonnellate, fanno quasi 3 miglia con un gallone.   Per adesso gli americani possono disporne di 1.520, e la necessità di parti di ricambio per questi veicoli dopo ogni attacco, hanno aumentato il volume della logistica: proteggere gli autocarri con i rifornimenti e le 5 mila autobotti lunghi gl'interminabili percorsi stradali richiede maggior numero di soldati di scorta automontati. Altro carburante, quindi, che si consuma per portare a destinazione il carburante, oltre ad una quantità di bersagli aggiuntivi esposti agli attacchi dei guerriglieri.    "Mentre le forze USA inseguono la propria coda in IRAQ - conclude Bryce - un Paese nel cui sottosuolo giacciono 115 miliardi di barili (il 9,5% del totale mondiale), il settore energetico globale è andato avanti con nuove alleanze ed accordi, impensabili prima dell'invasione. Alleanze che hanno conseguenze importanti per la politica estera energetica dell'America. I mercati mondiali del greggio non sono più soggetti alla potenza militare USA. I dollari stanno rimpiazzando i proiettili nel quadro della geopolitoca. Nel senso che l'efficacia del militarismo nel controllo delle tendenze energetiche globali declina. Gli USA spendono miliardi di dollari  a settimana, in uno sforzo bellico in Iraq, che li dissanguerà negli anni a venire. Nel frattempo, i rivali strategici dell'America, Cina, Russia in primo luogo, usano la loro influenza per stringere alleanze economiche, che stanno cambiando il balance of power. Stanno creando un mondo multipolare in  cui l'inluenza americana sarà minore".  Un bell'epitaffio alla guerra in Iraq, al suo sesto anno: la tomba dell'egemonia americana, anche se Bush, all'inizio di quest'anno ha celebrato il quinquennio dell'occupazione difendendo la sua scelta (e vorrei vedere[2]). Anche McCain, il candidato repubblicano alla presidenza, ha detto che gli USA resteranno in Iraq per cento anni, se sarà necessario (a chi?) e Kennet Pollack[3], sul Washington Post, si è detto d'accordo con lui, riducendo gli anni a trenta. Cose da impero romano!  Questo è un rapporto del mese di marzo 2008, curato dal bravissimo M. Blondet. Forse, ci aiuta a capire, in piccola parte, i motivi per cui è convenuto a qualcuno che il petrolio arrivasse il mese scorso a sfiorare i 150 dollari. Con buona pace dei petrolieri![1] Robert Bryce, «Oil for War», the American Conservative, 10 marzo 2008. La rivista è fondata da Patrick Buchanan.[2] Proviene da una famiglia di petrolieri, con legami stretti con altri petrolieri etc.[3] K. Pollack, ex agente della CIA per il Medio Oriente e, probabilmente, anche del Mossad, oggi è dirigente della Brookings Institution (un think-thank ebraico) dove caldeggia l’attacco all’Iran. Come nel 2002 caldeggiò l’attacco all’Iraq in un suo libro, dove incitava Bush “a lanciare un’invasione totale, sradicare Saddam, fare dell’Iraq una società prospera e stabile per il bene degli USA“.