LA DESTRA CALOLZIO

Pizzichi di storia


  Al centro di questo sistema, personaggio mitico, eroe, eponimo del nuovo tempo in cui vive egli è presentato come una vera benedizione che l’Italia ha avuto da Dio: accorto, vigile, infallibile come una divinità, egli vigila sui destini del Paese. Capi di Stato stranieri lo ammirano, poeti lo cantano, scrittori lo esaltano, il clero lo benedice come “Uomo della Provvidenza”, anche i suoi oppositori di un tempo tremano per la sua salute. In quella stagione l’Ialia vive la sua grande kermesse eroica, una rumorosa, multicolore, esaltante ubriacatura patriottica, il momento del consenso plebiscitario, in cui gli italiani trovano il loro più alto momento di coesione emozionale. Nelle celebrazioni che si svolgono sviluppano la consapevolezza e l’orgoglio di far parte di un Paese virile e guerriero, di una grande comunità unita e concorde, che ha antiche tradizioni, ora definitivamente ritrovate, ed è stata segnata dalla sorte per compiere una missione di civiltà nella storia del mondo. Lo spettacolo del mondo ordinato, efficiente, rassicurante e concorde del tempo è descritto nella più insospettabile delle testimonianze, quella dello scrittore sovietico Isaak Babel’, il cantore dell’epopea dell’armata rossa, di un bolscevico che ha combattuto nella rivoluzione d’ottobre e poi nella guerra civile nell’armata a cavallo del generale Budiennji, redatta in occasione della sua visita in Italia nel 1932. «Parlavo con i turisti che arrivavano in Italia e che mancavano da essa da una dozzina di anni. Il cambiamento era enorme. Le ferrovie le migliori d’Europa, la miseria era diminuita, le strade pulite con lunghi filari di alberi. Si stavano realizzando esperimenti per l’elettrificazione delle ferrovie. C’erano anche i nostri ingegneri giunti dalla Russia per imparare. Sulle Alpi i treni raggiungono i cento chilometri all’ora. Delle loro imprese gli italiani si vantano di continuo. Certo è che oggi si può dire che non c’è al mondo un governo che possa andare fiero di se stesso quanto quello italiano». Sentimento di appartenenza e proiezione nella sfera eroica. Il mondo si popola di miti ed eroi; inondato di canti e bandiere. Il confine tra l’immaginazione e la realtà, già così labile fra i più giovani, è cancellato. E' in questi momenti di storia che i comunisti sull’onda di quell’entusiasmo che sembra aver contagiato tutti scrivono ai loro “fratelli in camicia nera” la lettera della riconciliazione firmata da tutto lo stato maggiore del partito comunista (62 dirigenti da Togliatti a Di Vittorio, a Leo Valiani a Luigi Longo) nella quale dichiarano che «i comunisti fanno proprio il programma fascista del 1919, che è un programma di libertà». Giorgio Amendola scrive: «Le grandi collettività di emigrati negli Stati Uniti, nell’America Latina, in Africa (Tunisia) e negli stessi Stati europei traevano, dopo la dichiarazione dell’impero, motivo di orgoglio nazionale. Per la prima volta sembrava alla maggioranza degli emigrati che l’Italia fosse temuta e rispettata. Per lungo tempo offesi ed umiliati, guardarono al fascismo con ammirazione e gratitudine e al Duce, rispettato e temuto nei consessi internazionali, come al pilota  della Storia».