LA DESTRA CALOLZIO

16 gennaio1969. Sacrificio di un martire. Un gesto che sconvolse il mondo.


Me lo ricordo quel giorno quando ai telegiornali trasmisero le immagini di quel ragazzo, Jan Palach, che si appiccò il fuoco, dopo essersi cosparso di benzina, il 16 gennaio 1969, in piazza San Venceslao a Praga. Ero bambino e come tutti quelli della mia età, non potevo che rimanerne scioccato. Immagini incomprensibili per me allora, ma che difficilmente si possono dimenticare, come tante altre della storia di cui sono coevo. Per la prima volta potevamo vedere cosa significasse una dittatura, in questo caso il comunismo, l'assolutà negazione della libertà. Non era difficile crescere con lo spirito contrario a quell'ideologia e a quelli, molti, tanti, troppi, che anche da noi inneggiavano a quel regime. Per il proprio popolo non c'è mai stato, non c'è, e non ci sarà mai un regime peggiore. E' la storia a raccontarcelo. Altri regimi lo sono stati, ma mai come questo.  Da quel giorno Jan Palach è diventato il simbolo della "Rivoluzione di Praga" soffocata dai carri armati dell'allora Unione Sovietica. Nel pomeriggio ormai tardo la luce si smorzava già, col freddo invernale, sulle mura gotiche del castello di Hradcany e su quelle barocche del quartiere di Mala Strana. Praga viveva il quinto mese d'occupazione sovietica (di "aiuto fraterno" secondo la versione ufficiale del regime comunista), e il numero degli esuli cresceva insieme alla rassegnazione.  Il gesto dello studente in quel giovedì di trent'anni fu lineare, diretto, senza furbizie. Fu un'azione coraggiosa. Certo la giovinezza di chi lo compì suscitò rimpianto.  Non era un suicidio per disperazione, non era una resa definitiva, portata alle estreme conseguenze: era un'azione offensiva. Insomma era il gesto di un soldato che si sacrifica per gli altri, esortandoli a combattere. Non fu neppure una sbagliata rinuncia a quel dono di Dio che è la vita, riconobbe il Vaticano. Un suicida in certi casi non scende all'inferno. La lettera che Jan Palach temeva bruciasse con i suoi abiti e la sua carne, fu letta subito dopo la sua morte. Era, insieme ai documenti, nel sacco che Jan aveva lasciato cadere qualche metro più in là, prima di accendere il fiammifero. Era scritta su un quaderno a righe da scolaro: "Poiché i nostri popoli sono sull'orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l'onore di estrarre il numero1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l'abolizione della censura e la proibizione di Zpravy (il giornale delle forze d'occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s'infiammerà." La lettera manifesto era firmata: la torcia numero uno. Le calunnie postume non intaccarono il ricordo di Jan Palach. Altri s'immolarono poi come lui, almeno sette in Cecoslovacchia, ma la censura fu più efficace e si ebbero scarse notizie.Altri tempi, altri uomini. Veri uomini!