Creato da ladestracalolzio il 16/08/2008

LA DESTRA CALOLZIO

My former blog Renato Bolis

 

 

Inizia una nuova era? "Ma mi faccia il piacere!"

Post n°141 pubblicato il 07 Novembre 2010 da ladestracalolzio
 
Foto di ladestracalolzio

Non ho più tanta voglia di scrivere, disquisire, analizzare e altre cazzate del genere. Per me il periodo dell'analisi è finito da mo'. Adesso siamo in quello della sintesi. Con tutti i cazzi in cui ci ritroviamo.
  Comunque sia, speriamo che tutto sto' "bailamme" di Fini non ci porti ad elezioni anticipate. Ho sempre affermato che una volta votato (grazie a chi l'ha votato) Berlusconi dovevamo tenercelo fino a fine legislatura. E lo penso ancora.
   Andare ad elezioni anticipate facendo cadere il governo sarebbe veramente grave e da irresponsabili. Significherebbe instabilità politica ma, soprattutto, economica; niente nuovi investimenti; collasso finanziario; blackout occupazionale. Questo tanto per cominciare. Subito dopo il Paesello dei balocchi andrà a raggiungere nel disastro, da cui era scampato in questi due anni, gli altri paesi in Europa, catalogati come PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna). Basta leggere un po' di siti stranieri, di qualche testata giornalistica del resto d'Europa per rendersi conto dell'innafidabilità estrema in cui è tenuto il nostro Paese. Non c'entra nulla adesso essere di destra o di sinistra. Bisogna terminare la legislatura nel migliori dei modi possibili, se non vogliamo finire nel baratro uan volta per tutte. Ma queste sono soltanto le impressioni di un "nessuno" qualsiasi. Le mie!. 

 
 
 

Elezioni regionali 2010

Post n°140 pubblicato il 27 Marzo 2010 da ladestracalolzio
 

Questo week end si va a votare per le regionali, almeno, noi di Calolziocorte, e degli altri non me ne importa nulla. Elezioni molto importanti, decisive per le sorti del governo. Se un governo non tiene in pugno le regioni che gestiscono poteri economici incommensurabili, non gestisce più niente. Per non parlare delle regioni autonome. Staremo a vedere!

Il mio motto, non avendo interessi, veri interessi da godere dopo queste elezioni, è il solito:

 

@Ritengo tuttavia il responso delle urne molto indicativo dello stato MENTALE E PSICOLOGICO degli italiani, anche se penso che a Lecco Castelli prenderà una batosta, ma una batosta…

D’altronde da contrapporre a Brivio, la LEGA doveva pensare una candidatura forte, quotata, e non poteva fare diversamente. Conteranno le preferenze e per la Lega sarà un bel banco di prova, ma sarà dura dopo tutti gli anni di governo leghista della città, che ha ridotto Lecco al commissariamento anche se ho sempre ritenuto che Lecco andasse commissariata molto prima. Mah?! Ri-staremo a vedere.

 Per ciò che mi riguarda, andrò a votare (visto che è un‘eccezione per me), anche se noi di destra, quella vera, siamo fuori dai giochi, e voterò STEFANO GALLI per la Regione. Così, spassionatamente.

 Non l’ho mai votato, ma, io che la storia e i fatti li conosco (eccome li conosco), so che è un leghista della prima, anzi primissima ora, con una sua coerenza, un suo carisma all’interno della Lega. In definitiva uno con le palle: un Farinacci della Lega, tanto per essere schietti.

Purtroppo non è mai riuscito ad avere lo stesso seguito (di Farinacci) e a farsi benvolere dalla nostra cittadinanza, quanto il padre (grande uomo-politico) che sedeva sugli scanni di consigliere leghista a Calolziocorte, quando noi leghisti (della prima ora quale sono stato) eravamo visti come esseri immondi: razzisti, xenofobi, anti meridionalisti, anti gay, anti pedofili, anti tutta la feccia dell’umanità, dove Stefano Galli sembrava impersonarli tutti, un po’ come il sottoscritto. E come aveva ragione, a vedere dove siamo arrivati. Ecco perché queste elezioni andrò a votarlo. Voterò proprio per lui e invito tutti coloro che desiderano una svolta decisiva della nostra Lecco e circondario, a fare altrettanto.

 Alla fine, avevano forse ragione quelli che dicevano di noi, sul finire degli anni ‘80 e gli inizi degli anni ‘90 quando dicevano: “Siete tutti una manica di fascisti”. Dopo tanti anni, come dar loro torto. Dirò di più: “Lo siamo ancora” ecco perché siamo veri italiani.

Infatti, Mussolini disse: “Non sono stato io a inventare il fascismo. L’ho tirato fuori dall’animo degli italiani”. Grande! E da Santoro gli hanno paragonato Berlusconi. Siamo alla frutta.

The revolution are not made, they come!

 
 
 

Le scuse del boia del Vietnam

Il tenente Calley fu condannato per la strage di My Lai.
L'ex ufficiale, unico criminale di guerra Usa (?), oppresso dal rimorso

"Fu un massacro, perdonatemi"

William Calley

Il tenentino che perse la guerra in Vietnam ha aspettato quarantun anni per chiedere scusa, forse un po' troppo tempo, ma finalmente anche per lui il sollievo della confessione è arrivato. Compiuti i 66 anni, l'età dei bilanci e dei fantasmi, William Calley, il tenente di fanteria che guidò la Compagnia "C" al massacro di un intero villaggio vietnamita per aumentare il "body count", il bottino dei morti come pretendevano i generali, ha chiesto scusa. Ha confessato di non poter più vivere con il ricordo dell'orrore, di quelle donne violentate e mitragliate, di quei bambini trapassati alla baionetta, dei vecchi consumati dai lanciafiamme abbracciati ai piccoli che cercavano di proteggere e di sperare, nel pubblico pentimento, qualche sollievo dagli spettri che lo assediano, dal 16 marzo del 1968.

Nessuno, non i generali a quattro stelle, non i presidenti e neppure gli strateghi nemici come il generale Giap, fece quello che il tenente William Laws Calley fece a 25 anni per mobilitare il disgusto nazionale per quella che, dopo di lui, sarebbe per sempre diventata "una sporca guerra". Fu colui che scosse l'America dalla certezza della propria eccezionalità e della propria innocenza e la mise di fronte alla realtà atroce di quella presunta missione civilizzatrice.

Calley ebbe la sfortuna di avere un commilitone che sentì prima di lui il bisogno di parlare, di cercare un giornalista coraggioso, Seymour Hersh, disposto a fare quello che né i comandi, né il Parlamento americano, avevano osato fare: raccontare quello che era accaduto nel villaggio di My Lai, un nome che suona beffardamente in inglese come "la mia menzogna", in quel marzo del 1968.

Quando Calley, ufficialetto di complemento prodotto in fretta e furia dopo appena 16 settimane di corso, fu inviato a My Lai, erano passate poche settimane dall'offensiva del capodanno buddista, il Tet. La macchina militare americana, all'apice dei 500 mila soldati, aveva sofferto non una sconfitta, ma un'umiliazione, e il mito della invincibilità, della "luce alla fine del tunnel" si era frantumato in patria, proprio mentre esplodeva il '68. Calley, e i suoi soldati, non cercavano vittorie, cercavano vendetta per i compagni uccisi, sfogo per la loro esasperazione, e corpi da contare, per concludere la missione e tornare in fretta al mondo, a casa. Si chiamavano operazioni "cerca e distruggi", e la Compagnia C dell'Undicesima Brigata di fanteria leggera sbarcò dai proprio elicotteri per distruggere.

Non fu mai stabilito quanti esseri umani furono uccisi, perché nella giungla tropicale i corpi si decompongono in fretta e nelle capanne incendiate non arrivò nessuna polizia scientifica a frugare nei resti. Forse 70, come sentenziò la Corte Marziale, 300, come disse qualche testimone, 500 secondo il piccolo museo memoriale costruito nel villaggi.

Ma nessuno di loro, neppure a guerra finita, risultò essere un guerrigliero, un "quadro" vietcong, un agente del Nord comunista. Per tre ore, lui - Calley detto "Rusty", il rugginoso per le efelidi infantili, un ragazzo qualsiasi che si era arruolato soltanto perché la sua auto si era guastata davanti al centro di reclutamento e, disperato, senza soldi, studi e futuro, era entrato - i suoi soldati, anche loro giovanotti qualsiasi pescati nella lotteria della leva militare, divennero quello che la guerra produce sempre, secondo l'ammonimento del grande generale nordista e distruttore di Atlanta, William Tecumseh Sherman: demoni.

Furono necessari due anni, lo scoop del giornalista Seymour Hersh che lacerò il sudario di silenzio costruito dal governo attorno a My Lai, perché il processo fosse celebrato, con una sentenza che incendiò l'America. I pacifisti furono sconvolti dalla condanna all'ergastolo del solo Calley, e dalla assoluzione del superiore diretto che lo aveva inviato in missione, il capitano Medina, quando emersero immagini di bambini ripescati dalle fosse con una "C" incisa nel petto dalle baionette. I buoni patrioti furono altrettanto sconvolti da una condanna così pesante per "crimini di guerra" contro un soldato colpevole, secondo loro, soltanto di avere - antica storia - obbedito agli ordini. Si sollevarono per lui governatori nel Sud, tra i quali anche un futuro presidente, Jimmy Carter. E Nixon commutò la pena dall'ergastolo a soli due anni di arresti domiciliari, nel 1974, quando ormai la guerra era finita.

Finita per gli altri, ma non per il tenente figlio di un rigattiere della Florida, divenuto criminale di guerra. Quando tornò a piede libero, lavoricchiò come commesso nel negozio del suocero, poi come venditore di polizze. Sempre con il sabba di quei cadaveri che neppure lui sapeva quanti fossero, perché la conta dei cadaveri vietnamiti era notoriamente fasulla e gonfiata, fino alla sera di giovedì scorso, quando si è alzato a parlare a una cena del club dei Kiwanis per chiedere, 41 anni dopo, "perdono" e ammettere tutto. "Io lo perdono anche - ha detto alla Associated Press il vecchietto che fa da guardiano al museo del massacro in Vietnam ed ebbe una sorella nella fossa - ma deve venire qui, a My Lai, e chiederlo a noi".

da La Repubblica di V. Zucconi
 
 
 

Per non dimenticare. Il massacro di My Lai.

Post n°138 pubblicato il 03 Marzo 2010 da ladestracalolzio
 

Luogo:           Song My, Vietnam

Obiettivo:      Civili inermi

Morti:             504 accertati dai 110 dichiarati (con donne vecchi e bambini)

Data:              16 marzo 1968

Tipologia:        Strage

 Esecutori:       Militari americani 

Motivazione:   Ritorsione compiuta per ordine del tenente William Calley

 

16 marzo 1968, My Lai, Vietnam 

 

 

Alle sette e mezza di mattina la compagnia Charlie della 11esima brigata americana irrompe nel villaggio di My Lay, nel distretto sud-vietnamita di Son My. Lì nella zona dovrebbero trovarsi molti guerriglieri Vietcong. In realtà, di Vietcong nemmeno l'ombra. «Questo è quello che aspettavate - dice il comandante ai suoi soldati - una missione 'cerca e distruggi'».

Il reparto è guidato da un tenente che ha poco più di 24 anni: William L. Calley. E' uscito dalla scuola per ufficiali di Fort Benning, in Georgia e si trova in Vietnam da soli tre mesi, ma ha già due decorazioni.

Calley esegue alla perfezione l'ordine del suo diretto superiore, il capitano Ernest Medina: «Neutralizzare il nemico uccidendo tutti». Anzi è proprio lui ad aprire il fuoco per primo, dicendo ai suoi uomini di «togliere chiunque di mezzo». Una sosta alle 11 e poi riprendono le operazioni: 347 civili, per lo più donne, bambini e anziani, massacrati.

Uno dei soldati dirà più tardi: «Avevo una sensazione di potenza. Di distruzione... Nel Vietnam ti rendevi conto che potevi violentare una donna e nessuno poteva dirti niente».

Passerà del tempo prima che la strage di My Lai divenga nota: finalmente, nel giugno del '69, Calley viene rimandato negli Stati Uniti e inquisito per crimini che comportano la condanna a morte o la detenzione a vita. Il 29 marzo del 1972 è condannato all'ergastolo. Il presidente Nixon abbrevierà a vent'anni la sua reclusione, che però ha fine nel '74, quando Calley esce di galera e si dà agli affari in campo assicurativo. Medina se la cavò invece con le dimissioni.

Il merito della scoperta fu tutto di Ronald Ridenhour, che ne aveva sentito parlare dai colleghi e che allora scrisse una lettera all'esercito e ad alcuni parlamentari. Da lì prese anche le mosse l'inchiesta giornalistica di Seymour Hersh; vincerà per questo il premio Pulitzer. La cosa più difficile, in questo come in altri casi, fu rompere le omertà e le coperture che soldati e ufficiali si davano reciprocamente.

A sua volta Calley, durante il processo, pubblica un libro, "Il tenente Calley", con l'aiuto del giornalista John Sack. E' la sua storia e la sua tesi difensiva: ammette la strage, cerca di difendersi, narrando a sua volta altre atrocità di cui fu testimone, ma sostiene di avere semplicemente eseguito gli ordini di Medina, che negherà sempre. Risulterà tuttavia evidente una sua responsabilità individuale, ben aldilà degli ordini ricevuti.

Per molti americani fu un trauma, ma non per il generale Samuel Koster, che comandava la Divisione America e che a quel tempo era anche il sovrintendente dell'Accademia di West Point. Alla fine Koster si dimise, ma tenne un memorabile discorso ai suoi cadetti: «Non lasciate che i bastardi vi stritolino». Applaudirono i giovani e uno di loro commenterà: «Una carriera così meravigliosa, e rovinata per colpa dei media». Ma non erano tutti così i soldati americani: tre di loro, in quello stesso giorno si comportarono ben diversamente.

 E' la storia di tre soldati che a quel massacro cercarono di opporsi. Tre eroi dimenticati, che nel marzo 1998, trentanni dopo hanno ricevuto una medaglia al valore per quello che fecero quella mattina del 16 marzo 1968. Hugh Thompson, allora ventiquattrenne pilota d'elicottero, stava sorvolando My Lai con due compagni, Lawrence Colburn e Glenn Andreotta (quest'ultimo morirà tre settimane dopo, schiantandosi al suolo col suo velivolo). Quello che vedono è un ufficiale che calpesta il corpo di una giovane donna accasciata a terra e la uccide con un colpo alla nuca; e ancora: corpi di bambini vietnamiti, donne e anziani ammassati in una fossa. Thompson atterra e non riesce a darsi una spiegazione per quello che sta succedendo.

Quando vede i soldati della propria compagnia avanzare verso una baracca dove stanno, immobili e impauriti, un'anziana donna, un neonato e un bambino, decide di ordinare a Colburn di proteggere i civili anche a costo di fare fuoco sugli americani. I tre riescono a portare in salvo una dozzina di persone. Andreotta recupera un bambino di due anni ancora aggrappato al corpo della madre morta. Dopo My Lai, Thompson riceve la croce al valor militare e Colburn le stelle di bronzo, ma Thompson sostiene che fu solo per tenerli buoni. Infatti il loro gesto venne messo a tacere, un po' per dimenticare quell'infamia commessa dall'esercito e un po' perché comunque i tre si misero contro la loro bandiera.

 Thompson e Colburn sono stati decorati pubblicamente, al Vietnam Veterans Memorial, a Washington. E' successo venerdì 6 marzo 1998, trent'anni dopo. Quasi nessuno conosceva il loro gesto fino a quando, dieci anni fa, David Egan, professore alla Clemson University, vide un documentario alla BBC su My Lai, in cui si intervistava Thompson, e da allora iniziò una sua campagna personale perché Thompson, Colburn e Andreotta avessero un qualche riconoscimento ufficiale.

Nel trentesimo anniversario del massacro, l'esercito riconobbe un errore e onorò i tre soldati per «prestazioni eroiche nel salvare la vita di civili vietnamiti durante l'illegale massacro di non-combattenti da parte delle truppe americane». Thompson, che è consulente per veterani a Lafayette, in Louisiana, e Colburn, commesso a Woodstock, in Georgia, tornarono a My Lai per la commemorazione della strage, e incontrare le persone che salvarono.

Questi sono veri eroi!

Non gli infami asserviti al potere che il potere acclama. Nessuno di quelli può essere definito eroe.

 

 

 

 

 

 
 
 

Marasco vs Di Silvio tutto pronto per la difesa del Titolo il 4 Marzo a Calolziocorte

Tutto è ormai pronto per la difesa del Titolo Italiano Professionisti, pesi leggeri che avverrà giovedì 4 marzo alle ore 20, presso “Dancing Sport Lavello” di Calolziocorte in viale De Gasperi, 4, tra Luca MARASCO e Pasquale DI SILVIO “El Puma”.«Sono pronto e mi sto allenando duramente per confermarmi sul ring – ha confidato Marasco dopo la conferenza di presentazione – davanti alla mia gente che mi cullerà e voglio ripagare il loro affetto con colpi vincenti. Incontrerò un avversario tosto, rispetto ma non timore. La mia strategia per batterlo? Di certo cercherò di far valere la mia propensione ad offendere alla distanza con colpi secchi». Il problema che tormenta Marasco è il proprio peso. «Il mio maestro Bugada è tra i migliori e mi sta preparando al meglio – sottolinea – Son certo che arriverò all’incontro con le carte in regola per difendere questo primato».
Un comunicato della F.P.I. di ieri, ha inoltre annunciato che l’E.B.U. ha nominato Loredana PIAZZA (Boxe Loreni Olab), presente in una sfida femminile prima del grande incontro tra Marasco e Di Silvio, per l’incontro valevole al Titolo Europeo che si svolgerà prossimamente. Un grande e notevole valore aggiunto alla manifestazione che si terrà a Calolziocorte. La serata sarà presentata dalla bellissima voce di Simona MAZZA e Mimmo ZAMBARA, mentre DJ GOLDRAKE allieterà la serata con accattivante musica.
Nel parterre d’onore non mancheranno autorità e personalità di rilievo dello spettacolo.

da: fuori i secondi 2out

 
 
 

Occupazione mai così in basso dal 2004 (ma chi se ne frega?!)

Post n°136 pubblicato il 28 Febbraio 2010 da ladestracalolzio
 

Sono in crescita i giovani che dopo la scuola dell’obbligo non proseguono gli studi, né trovano un impiego. In aumento anche la generazione degli "anta" che perde il posto e finisce in mezzo alla strada, sebbene alcuni imprenditori preferiscano suicidarsi piuttosto che lincenziare (15 negli ultimi tempi solo nel Nord Italia, fonte "Il Giorno" del 27/2/10).

In Italia, come in Europa, sembra non conoscere fine la caduta dell’occupazione. Se i dati di novembre erano stati i peggiori da molti anni a questa parte, quelle di dicembre hanno evidenziato un ulteriore scivolone. In questo contesto di difficoltà generalizzata, certo non sorprendono i numeri che dipingono le difficoltà nel rapportarsi al mondo del lavoro dei giovani italiani di età compresa tra i 19 e i 29 anni.

 A dicembre, la disoccupazione in Italia è salita a quota 8,5%, toccando il livello massimo dal 2004. Secondo i dati raccolti dall’Istat, nell’ultimo mese dello scorso anno gli occupati, nel nostro Paese, sono stati 22 milioni e 914mila (306mila unità in meno rispetto al dicembre 2008). Numeri simili equivalgono a dire che il tasso di occupazione italiano è pari al 57,1% (1,1% in meno rispetto a dicembre 2008), mentre le persone in cerca di lavoro sono 2 milioni e 138mila. Guardando all’andamento del mercato del lavoro, l’agenzia di rating Fitch ha stimato che in Italia il tasso di disoccupazione, nel 2010 e 2011, continuerà a crescere, mantenendosi tra il 9 e il 9,5%, con effetti particolarmente negativi su giovani, stranieri e lavoratori con contratti temporanei.

La generazione né-né

Tali numeri assumono un aspetto ancora più fosco se li si incrocia con altre statistiche derivanti da un’indagine del ministero del Lavoro a proposito del rapporto dei giovani italiani con il mondo del lavoro. Le rilevazioni, infatti, hanno messo in luce come in Italia il 9% dei ragazzi tra i 19 e i 29 anni dopo la licenzia media, nel 2009, non abbia né proseguito gli studi, né trovato un’occupazione. La generazione “né-né”, come è stata etichettata, è particolarmente presente nel Mezzogiorno: nelle regioni del Sud, infatti, il fenomeno tocca picchi del 15%; il che equivale a dire che su 3 milioni di ventenni che vivono al Sud, quasi mezzo milione non ha continuato la formazione dopo la scuola dell'obbligo pur non avendo un'occupazione.

Questi sono i freddi dati. A cosa serve commentare con i soliti bla,bla,bla se poi si continua allo stesso modo. La cosa triste è che non si può fare niente quando ci sono volontà e responsabilità concertate dall'alto, molto in alto, perchè questo stato di cose prosegua.

fonte: Borsa Italiana

Revolutions are not made, they come

 
 
 

Augurio un po' particolare.

Post n°135 pubblicato il 03 Gennaio 2010 da ladestracalolzio
 

                                     Iraq Deaths Estimator

Ma cos'è questa cifra? Ma che guerra è?! Cosa sta succedendo laggiù? Quanto dura? Ormai più della seconda guerra mondiale. E perchè? A questo punto mi chiedo se fosse davvero Saddam il criminale? Sembra uno sterminio di massa, ma la colpa non è di nessuno! Tutti i giorni, morti, morti, morti e il mondo si fa i cazzi suoi. Come si fa ad appoggiare un'invasione del genere? Nulla mi indigna di più di ciò che sta accadendo in Iraq. Forse perchè non finisce mai, per soddisfare l'ingordigia delle lobby, per le quali, le guerre sono nettare.
   Speriamo in un miracolo nel 2010, visto che Obama ben poco può, nonostante i presupposti. Gli hanno conferito il Nobel per la pace, prima di farla, o per fargli credere che più in là dei vuoti proclami non deve andare.
    E quanta pena per quei poveri ragazzi americani che muoiono per niente e lo sanno bene, loro e le loro famiglie, che si vedono riportare i loro cari nelle bare coperte dalla bandiera. Penso alle madri di tutti questi morti. Altro che esportatori di democrazia.

Un augurio a quella povera gente, che per questo anno arrivi un po' di pace e, soprattutto, un buon:" YANKEE, GO HOME!"

 
 
 

Non sarà che Marrazzo ha pestato i piedi a qualche "angeluccio" in paradiso?

Post n°134 pubblicato il 01 Novembre 2009 da ladestracalolzio
 

Non è facile essere governatore del Lazio, regione dove i fondi pubblici erogati alla sanità sono nell'ordine di centinaia di milioni di euro all'anno, senza escludere che possano superare anche il miliardo. I beneficiari di queste elargizioni non sono poi molti. Anzi, sembra vigere in quel contesto un monopolio.

  Chi sia e ciò che ha combinato Marrazzo nella sua vita privata lo sanno ormai tutti e siamo d'accordo di quanto sia esecrabile il suo comportamento, come politico e padre di famiglia. Ma cosa avrà mai combinato in sede politica, mi vien da pensare, per finire sotto la gogna mediatica e non solo? Non è che ha rifiutato favori, o ha pestato i piedi, o s' è dimostrato poco accondiscendente verso gli Angelucci, come riportato da alcune, pochissime, testate giornalistiche?

   Ma partiamo da lontano per cercare di capire e far capire meglio la questione. da un articolo di un giornale di qualche anno fa leggo: "Antonio Angelucci, «Tonino» come lo chiamano tutti, è il fondatore del gruppo e un esempio di self made man alla romana: trasversale negli interessi e nelle alleanze. Gli inizi. Dipendente in una farmacia privata, negli Anni '80 portantino o autista - secondo le versioni - all'ospedale San Camillo e sindacalista Uil, in meno di 20 anni ha messo in piedi un impero concentrato dapprima a Roma e nel Lazio e poi dilagato - con qualche propaggine in Campania e Abruzzo - soprattutto in Puglia. Tosinvest viene dalle iniziali di Tonino e Silvana, la moglie - che in tanti indicano come il vero cervello della prima fase - poi tragicamente scomparsa per un malore a metà degli Anni '90.
Tonino con Silvana compra le prime cliniche alla fine degli anni '80, tutte con la particolarità di essere sull'orlo del collasso per i ritardi nei rimborsi da parte della Regione. Oggi la Tosinvest ha 25 strutture tra cliniche e ambulatori. Ma è impegnata nei settori più disparati. Editore (al 100%) del quotidiano Libero, qualche mese fa ha acquistato da Velardi il 51% del Riformista. L'antivigilia del Natale 2003 ha rilevato per una cifra - euro più euro meno - di 82 milioni l'intero patrimonio immobiliare dell'ex Pci salvando i Ds dalla bancarotta.
Finanza rossa. La prima volta che Tonino Angelucci e il figlio Giampaolo, da ieri agli arresti domiciliari, salgono alla ribalta è nel ’98 quando comprano il 24 per cento di azioni dell'Unità sull’orlo del crack. Può sembrare una nota spiacevole, ma allora non li conosce nessuno. Tanto che i cronisti - teste dure - tempestano il centralino dell'azienda Angelini (prodotti farmaceutici), che invece non ha nulla a che fare. Per la Tosinvest nel consiglio d'amministrazione dell’Unità siede Carlo Trivelli, figlio di due parlamentari comunisti e che gode della fiducia di D'Alema.
La svolta. Nel novembre 2001, la Tosinvest fiuta l'affare sulla sponda opposta e compra il quotidiano diretto da Vittorio Feltri, Libero, dopo il suicidio dell’editore Stefano Patacconi. Per trovare il colpo da maestro che consacra il gruppo, bisogna però fare un piccolo passo indietro. Dicembre '99. Don Luigi Verzè, il deus ex machina del San Raffaele di Milano, si è impegnato nella costruzione di una struttura gemella a Roma (con la quale ora non vi è più alcun rapporto). Un’operazione impegnativa anche sul piano finanziario, tant’è che a un certo punto il geniale sacerdote si vede costretto a fare un passo indietro. Deve vendere. Ma pur di non vendere al ministero della Sanità che gli offre la miseria di 181 miliardi di lire (non bastano neanche a coprire i debiti) cede tutto agli Angelucci per 270 miliardi.
Colpo grosso. Anche gli Angelucci non riescono a ottenere per la struttura la convenzione con il sistema pubblico. Però sono più fortunati. Dopo pochi mesi Stato e Regione Lazio ricomprano l'ospedale a 320 miliardi, 50 in più rispetto a quello che gli Angelucci avevano sborsato.
L'annuncio trionfale dell'accordo raggiunto lo danno a metà aprile 2000 l'allora presidente regionale Piero Badaloni, il ministro Rosy Bindi e il sindaco Francesco Rutelli. Il contratto di compravendita è firmato a luglio-agosto anche dal nuovo ministro della Sanità Umberto Veronesi. Stravagante è la modalità con cui viene pagato il saldo al rogito: con una valigia di 619 assegni circolari di piccolo, medio e grosso taglio.
Il delfino. Giampaolo Angelucci, laureato in filosofia, è quello che più tra i tre figli di primo letto sembra destinato a calcare le orme paterne. È il braccio destro. Il delfino di Tonino. Si occupa soprattutto di Tosinvest Sanità, segue ogni fase dell'ampliamento dell'impero. In Puglia la prima struttura viene inaugurata nel 2000 a Ceglie Messapico. Poi la strada è spianata. Dei 25 centri attualmente in carico alla Tosinvest una decina sono quelli acquisiti negli ultimi anni in terra pugliese.
Negli ultimi tempi però accade anche che sulla tolda di comando si succedano altre figure. Dicono che per motivi personali Tonino abbia diradato gli impegni più strettamente operativi. Idem per Giampaolo, colpito qualche mese fa da una forma accentuata di stress da superlavoro. Niente di grave: ora sta meglio e lo si vede di nuovo in uno dei ristoranti preferiti, Il Bolognese, a piazza del Popolo, dove ha un tavolo riservato.
Ma è un dato di fatto che nella galassia Tosinvest hanno assunto un ruolo sempre più di primo piano manager di fiducia come Carlo Trivelli: «La famiglia è più che mai presente», spiegava Trivelli qualche tempo fa, « è fisiologico che nelle imprese a un certo punto la gestione venga separata dalla proprietà». Continua...
pierangelo.maurizio@alice.it

 
 
 

Se passa il trattato di Lisbona, è la fine!

Foto di ladestracalolzio

1)Sai che è un trattato di riforma europea che sostituisce i precedenti trattati e con il quale si afferma definitivamente la prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale?

2) Sai che tutto il potere decisionale in Europa sarà gestito da 27 Commissari (uno per ogni nazione, non necessariamente eletti dal popolo, che dal novembre 2014 diventerebbero meno di 27, in rappresentanza di solo i 2/3 degli stati), dal Consiglio (anche qui, membri non necessariamente eletti dal popolo), e dalla BCE (Banca Centrale Europea. e figuriamoci se gli "eletti dal popolo" li troviamo proprio qui!), e che il Parlamento Europeo continuerebbe ad avere un ruolo puramente consultivo?
Ti senti rassicurato dal fatto che così poche persone decidano del destino di 500 milioni di abitanti?
Ritieni che esistano organizzazioni che possano agire per condizionare le decisioni di organismi gestiti da così poche persone, non elette dal popolo, che hanno un potere assoluto sul popolo stesso ma che non rispondono a nessuno che li abbia eletti?
Hai mai sentito parlare di "BILDERBERG" e "COMMISSIONE TRILATERALE" ?
Ricorderai che per far cadere un qualunque governo è necessaria la maggioranza semplice dei rappresentanti (il 50% più uno); sai che per imporre le dimissioni alla "Commissione" è invece necessaria la maggioranza (con voto palese), dei due terzi del parlamento europeo?

3) Sai che il trattato di Lisbona reintroduce la pena di morte?
Con ambiguità il trattato non cita direttamente la pena di morte ma rimanda alla "carta dei diritti fondamentali" che nel suo articolo 2, prevede la pena di morte per reprimere "UNA SOMMOSSA O UN’INSURREZIONE". Nessun esempio è citato per definire il concetto di "sommossa o insurrezione". Ma se il popolo insorge. qualche buon motivo deve pur averlo. però si espone ad un assassinio legalizzato! Ti senti ancora tutelato nel tuo diritto di opporti a qualcosa?

4) Sai che la politica di difesa del trattato di Lisbona, prevede oltre alle "missioni di pace" anche missioni "offensive"?

5) Sai che in caso di arresto potrai essere spostato in qualunque regione europea, proprio come avviene ora all’interno di qualunque nazione tra un carcere e l’altro?

6) Sai che il trattato garantisce l’uguaglianza (reciprocità) tra i membri, ma contemporaneamente garantisce l’ineguaglianza tra essi, consentendo alla Danimarca ed all’Inghilterra di continuare a stampare le loro monete nazionali?

7) Sai che l’Inghilterra rimane comunque proprietaria del 15,98% e la Danimarca del 1,72% della Banca Centrale Europea?

8) Sai che il contenuto del trattato di Lisbona coincide sostanzialmente con quello della "Costituzione Europea" che è stata bocciata da un referendum popolare in Olanda e Francia? Il "trattato di Lisbona" è stato bocciato dal referendum popolare in Irlanda. Perché queste bocciature? Magari perché questi popoli sono "antieuropeisti" o piuttosto perché sono più informati di noi? (I governi di Francia e Olanda hanno poi ratificato la "costituzione europea" quando questa ha cambiato nome in "trattato di Lisbona" in totale spregio al risultato referendario).
Secondo lo studio dell’Avv. Klaus Heeger, consulente per il gruppo democratico del parlamento europeo: la Costituzione garantiva alla U.E. 105 nuove aree di competenza, esattamente lo stesso numero di competenze che sono attribuite al Trattato di Lisbona; in quest’ultimo, rispetto alla costituzione rimangono fuori i simboli U.E.: bandiera inno e motto, ma entra il cambiamento climatico. Le rimanenti nuove 104 aree di competenza (aree cioè nelle quali la possibilità da parte degli stati di legiferare in modo difforme da quanto deciso in sede U.E. è illegale), sono identiche.

9) Sai che gli appartenenti alle polizia ed esercito nazionali dovranno prestare giuramento di fedeltà alla unione europea e chi si rifiuterà potrà essere licenziato?

10) Sai che con l’approvazione del trattato di Lisbona sarà illegale manifestare contro "l’unione europea"? Questo significa la fine della libertà di esistere per i partiti ed i movimenti ad ispirazione localistica che professino ideali indipendentistici.
11) Sai cosa affermò Jean Monnet, uno dei fondatori dell’attuale idea di Europa? "Le nazioni dell’Europa dovrebbero essere guidate verso il superstato senza che i loro popoli sappiano cosa sta accadendo".
Sei consapevole che questo sta accadendo OGGI?

ORA CHIEDITI:

1) Perché i giornalisti sono pronti a mostrarti il plastico e radiografare l’ultimo omicidio di provincia ma tacciono sul trattato di Lisbona, così importante per il nostro futuro e per quello dei nostri figli e nipoti?

2) Perché la gran parte dei nostri rappresentanti politici si dichiara a favore di questo trattato? Lo sostengono ripetendo mediocri slogan come "Chi è contro l’Europa è un terrorista!", senza rendersi conto che è proprio questa idea di "Europa" ad essere terroristica, così come lo sono i toni autoritari, tipici di chi vuole sottrarsi al confronto.

3) Il trattato di Lisbona è così vincolante che potrà subire modifiche solo con l’unanimità degli stati; un’ipotesi davvero difficile da attuare, se si pensa che Inghilterra e Danimarca si troverebbero a dover ridiscutere il loro status privilegiato.
Questo messaggio non è contro l’integrazione europea ma è per un’integrazione che rispetti le reali esigenze democratiche dei popoli. Questo messaggio è utile per evidenziare la deleteria esistenza di strutture di potere, create e gestite da poche famiglie a capo di multinazionali, come "bilderberg" e "commissione trilaterale", che hanno una pesante e illegittima influenza sulle strategie politiche ed economiche che coinvolgono centinaia di milioni di persone.

 A proposito della PENA DI MORTE: Il prof. Schachtschneider sottolinea come all’art. 2 della CEDU si preveda: "La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: [.] c) Per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione"; e l’articolo 2 del protocollo n. 6 della CEDU dice: "Uno stato può prevedere nella propria legislazione la pena di morte per atti commessi in tempo di guerra o in caso di pericolo imminente di guerra; tale pena sarà applicata solo nei casi previsti da tale legislazione e conformemente alle sue disposizioni ...". "Sommosse o insurrezioni possono essere viste anche in certe dimostrazioni. Secondo il Trattato di Lisbona, l’uso mortale di armi da fuoco in tali situazioni non rappresenta una violazione del diritto alla vita. In guerra si trovano attualmente sia la Germania che l’Austria. Le guerre dell’Unione Europea aumenteranno. Per questo, l’Unione si riarma - anche con il Trattato di Lisbona." "La prassi dell’Unione di estendere estremamente i testi sui doveri degli stati membri non autorizza ad escludere anche una tale interpretazione, quando la situazione lo comanda o lo consiglia."

 

Alla luce di tutto ciò c'è chi sostiene che è un Trattato allarmante in quanto viola non una ma per ben 6 volte la nostra Costituzione Italiana:
Art. 1 (La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione),
Art. 3 (Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.),
Art. 11 I° comma (L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali) e II° comma (consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni -solo pace e giustizia-),
Art. 27 (Non è ammessa la pena di morte).
Art. 101 (I giudici sono soggetti soltanto alla legge)

Non fermarti alla lettura di queste poche righe, verifica queste informazioni. Prenditi questa responsabilità in nome tuo, dei tuoi figli e dei tuoi nipoti e se condividi lo spirito di questo messaggio fallo conoscere e fai pressione sui tuoi rappresentanti politici e sui giornalisti affinché sviluppino il corretto dibattito democratico sui contenuti del trattato di Lisbona. Non farti intimorire da vuoti slogan. potresti scoprire che quasi nessuno dei nostri rappresentanti politici ha letto il trattato!

Tratto da bellaciao.org (agosto 2008) da far girare il più possibile. E' in ballo la libertà dei popoli e la democrazia.

 
 
 

La stella di Briatore sta cadendo, 3a parte

Continua dalla 2a parte

... Il «Tribüla» di Cuneo ne ha fatta di strada (ma, come?…è latitante, con quasi 5 anni di galera da scontare). Malgrado la latitanza, Briatore ha finalmente conquistato, tra Saint Thomas e New York, la vita che ha sempre inseguito: soldi, affari e belle donne da esibire (e i soldi? Una barcata, soltanto frutto degli adescamenti?I boss, li davano solo a lui.? Può darsi!). Arie da playboy se le è sempre date. Da ragazzo le sue fidanzate si chiamavano Anna Zeta, Beba. Più tardi arrivano Cristina, Nina, Giovanna, Emma. Poi ancora Naomi. E tante altre. Un’amica di Giovanna racconta a chi scrive – dopo un giuramento e mille assicurazioni di anonimato e segretezza – una disperata telefonata notturna: Giovanna, in lacrime, le confidava di aver trovato Flavio in compagnia, a letto: ma – e ciò la faceva più soffrire – in compagnia di un uomo (...azzo che play boy! Però adesso qualcosa comincia a quadrare un pochino di più. Infatti devo dire di essermi imbattuto anch’io quasi subito negli strani giri di gigolò, escort, e festini mixed, che ho chiaramente sempre disdegnato. Io dico sempre che se fossi stato una “bestia” magari sarei già morto di AIDS. Certo è, che la risposta “che s’era fatto il culo per arrivare dov’è” rilasciata in un’intervista dalla sua amica Santanchè, relativa alla provenienza delle fortune del buon Flavio, adesso acquista un sapore divertente, e viene da domandarsi “Si, ma…il culo di chi?”.Unbelievable!!!). Tornando a Briatore, vita privata, fatti suoi. Figurarsi se qualcuno vuol mettersi a giudicare i suoi gusti.
 
È la vita pubblica di Briatore, invece, che dopo l’“incidente” delle bische compie un salto: Flavio, ricercato, condannato e latitante, alle isole Vergini spicca il volo definitivo verso il successo (ma???!!!. Evidentemente la nostra religione ci insegna qualcosa di fuorviante)

Prima della tempesta, ai bei tempi della casa di piazza Tricolore, aveva conosciuto Luciano Benetton. A presentarglielo era stato Romano Luzi, maestro di tennis di Silvio Berlusconi e poi suo fabbricante di fondi neri (Ah, ecco. Adesso che il “nostro” è all’estero, può fare comodo…) Aveva poco o nulla in comune, Benetton con Briatore: trovava di cattivo gusto la sua casa, il suo stile di vita, la sua esibizione di donne e di ricchezza. Ma il «Tribüla» è un grande seduttore, conquista uomini (gulp!!!Evidentemente con questi i soldi li guadagnava)) e donne (e con queste li spendeva), è affascinante, sa farsi voler bene. In più, il rigoroso Benetton era rimasto affascinato dalla diversità del suo interlocutore, dal suo lato oscuro: «È un po’ (un po’???) teppista, ma è tanto simpatico», rispondeva Luciano agli amici che gli chiedevano che cosa avesse mai in comune con quel tipo, dopo averlo messo in guardia per le brutte storie che giravano sul suo conto.

Fatto sta che Briatore apre alle isole Vergini qualche negozio Benetton e fa rapidamente carriera nel ristretto gruppo di manager dell’azienda di Ponzano Veneto. Come venditore è bravo. Riuscirebbe a vendere anche il ghiaccio al Polo Nord, dice di lui chi lo conosce bene. E aggiunge: venderebbe anche sua madre. Passa nel dimenticatoio dunque anche un’altra storia che sfiora Briatore nei primi anni Ottanta. Una vicenda complicata di azioni Generali, mica noccioline, che passano di mano: un pacchetto di oltre 330 miliardi. Protagonisti: Anthony Gabriel Tannouri, libanese, noto alle cronache (e all’inchiesta del giudice Carlo Palermo) come trafficante d’armi; Mazed Rashad Pharson, sceicco arabo e finanziere internazionale; Florio Fiorini, padrone della finanziaria Sasea, ex manager Eni, esperto di mercato petrolifero. Il pacchetto di Generali passa di mano per sette anni, prima di tornare in Italia, perché diventa la garanzia di opache transazioni internazionali: di petrolio tra la Libia e l’Eni, di armi ed elicotteri da guerra (gli americani Cobra) che dopo qualche triangolazione (con il Venezuela, con il Sudafrica) finiscono a Gheddafi malgrado l’embargo. La vicenda, in verità, è rimasta oscura. Certo è che per recuperare le azioni si è mosso anche il presidente di Mediobanca Enrico Cuccia e che, nel suo giro del mondo, il superpacchetto di Generali è passato anche per una sconosciuta fiduciaria milanese, la Finclaus, sede in corso Venezia, capitale sociale soltanto 20 milioni, fondata nel 1978 da Luigi Clausetti, ma per qualche tempo nelle mani di Flavio Briatore (Notare l’anno. Bè… come si suol dire sempre solerte e disponibile dove c’è del losco. … Ma chi mai avrà avuto come santo protettore in questi giretti da poco?)  

Ma i personaggi che Briatore frequenta, quelli con cui discute di affari, donne e motori, continuano a non essere proprio stinchi di santo. Tanto che il suo nome finisce dritto in una megainchiesta antimafia condotta dai magistrati di Catania, accanto ai nomi di mafiosi dalla caratura internazionale. Niente di penalmente rilevante, intendiamoci: lui, Briatore, non è stato indagato; ma la sua voce resta registrata in conversazioni con boss di rango. Felice Cultrera, uomo d’affari catanese che fa riferimento al boss di Cosa Nostra Nitto Santapaola, è il centro dell’inchiesta antimafia. Stava imbastendo business di tutto rispetto: la costruzione di 5 mila appartamenti a Tenerife; l’acquisto di quote dei casinò di Marrakech, Istambul, Praga, Malta, Montecarlo, da usare per riciclare denaro sporco; la commercializzazione e la ricettazione di titoli al portatore; l’intermediazione di armi pesanti e l’acquisto di elicotteri (con la presenza nell’affare di una vecchia conoscenza delle inchieste sul traffico d’armi e droga, il miliardario arabo Adnan Khashoggi); l’avvio di attività finanziarie in Spagna, Arabia Saudita, Israele, Giordania, Egitto, Marocco, Turchia, Cecoslovacchia, Russia, Corea, Hong Kong, Montecarlo... Un vortice d’affari, di contatti, di relazioni. Ebbene, chi è uno degli interlocutori dell’attivissimo Cultrera? Proprio Flavio Briatore (del resto, il gruppo dei catanesi coltivava buoni rapporti anche con i fratelli Alberto e Marcello Dell’Utri e con il generale dei carabinieri Francesco Delfino). Nel maggio 1992, dunque, Cultrera e Briatore, intercettati dalla Dia (la Direzione investigativa antimafia), conversano amabilmente di affari e affaristi. Briatore chiede consigli: racconta che un certo Cipriani (è il rampollo della famiglia veneziana), spalleggiato da tal Angelo Bonanno, aveva cercato di intromettersi nella fornitura di motori di Formula 1; per convincere l’uomo del team Benetton, Cipriani gli aveva squadernato le sue referenze: «Sono amico di Tommaso Spadaro, sono amico di Tanino Corallo». Nomi d’oro, nell’ambiente: Spadaro è il ricchissimo boss padrone dei casinò dell’isola caraibica di Saint Maarten; Corallo è l’uomo che qualche anno prima aveva tentato, per conto della mafia, la scalata dei casinò italiani di Saint Vincent e di Campione. Cultrera ascolta con interesse, poi conferma all’amico Briatore che sì, è tutto vero: Bonanno «È uno pesante, inserito in una famiglia pesante». Infatti: Bonanno è un narcotrafficante del clan mafioso catanese dei Cursoti, coinvolto anche nell’indagine sull’Autoparco di Milano. Dunque meglio non contrariarlo (Tutti, o quasi, mammasantissima e invito ancora il lettore ad informarsi brevemente a proposito di questi "bravi ragazzi").


Quando, il 10 febbraio 1993, una bomba esplode (è la seconda, nella vita di Briatore) davanti alla porta della sua splendida casa londinese in stile re Giorgio, in Cadogan Place, nell’elegante quartiere di Knightsbridge, distruggendo una colonna del porticato e facendo saltare i vetri tutt’attorno, qualche voce cattiva la mette in relazione con i traffici d’armi o altri commerci (ma va? Sono rischi che si corrono quando entri in certi giri. Già da qui...Se sei a posto non ti ritrovi le bombe sottocasa.). Ma i giornali inglesi scrivono che si tratta di una «piccola bomba» dell’Ira e che i terroristi potrebbero averla abbandonata per paura di essere stati scoperti.
  Intanto Briatore è giunto al culmine (per ora) del suo successo. Il «Tribüla» si è preso le sue rivincite. Esibisce i suoi soldi, le sue donne, le sue case. Appartamento a New York, villa a Londra, attico a Parigi, pied-à-terre ad Atene, tenuta in Kenya («Lion in the sun»). Aereo privato. Yacht di 43 metri, «Lady in blue», con un Fontana e un Giò Pomodoro nel salone. Ha amici importanti soprattutto in Inghilterra (Eccleston innanzitutto, ma anche David Mills, avvocato londinese di Berlusconi, specialista nella costruzione di sistemi finanziari internazionali «riservati», tipo All Iberian). Briatore è «arrivato» e lo fa vedere, senza risparmio. All’inizio degli anni Novanta aveva preso in mano la scuderia Benetton di Formula 1, creata nel 1986 da Davide Paolini e Peter Collins sulle ceneri della Toleman. Nel 1994 e nel 1995, con Michael Schumacher come pilota, la porta alla vittoria mondiale. «Ma la Formula 1 non è uno sport, è un business», ripete. E lui da questo business (off-shore per definizione, fuori da ogni regola e da ogni trasparenza) ha saputo spremere miliardi.
  A trovare sponsor è bravissimo. Per il team spendeva molto, è vero, ma i suoi bilanci non hanno mai chiuso con disavanzi superiori ai 3 miliardi: la Benetton, dunque, ha ottenuto una copertura pubblicitaria planetaria, del valore di almeno 15 miliardi all’anno, con esborsi piccolissimi o addirittura, dopo il 1993, con un guadagno di alcune centinaia di milioni.

Ma Briatore non sta fermo. Mentre macina soldi in Benetton, cura anche business in proprio: compra e rivende la Kicker’s (scarpe per bambini), acquista un’altra scuderia di Formula 1, la Ligier (dopo qualche tempo la rivenderà ad Alain Prost); prende una quota della Minardi, poi diventa socio del team Bar. Forse è troppo anche per Luciano Benetton, che nel 1996 divorzia dall’amico «un po’ teppista ma tanto simpatico». Niente di male, Briatore incassa una buonuscita di 34 miliardi e subito si ripresenta con una sua azienda, la Supertech, in società nientemeno che con Ecclestone, che sviluppa i motori Renault e li fornisce a tre team, Bar, Williams, Benetton. Poi compra la casa farmaceutica Pierrel. E ora pensa al calcio. è juventino sfegatato, ma anche il football è per lui, più che uno sport, un business; il suo pensiero oggi è: come spremere soldi dal pallone? Ma apparire gli piace almeno quanto possedere. Le due cose si sono ben sposate nel Billionaire, discoteca con piscina ottagonale infarcita di vip a Porto Cervo, in Sardegna: buon investimento, ma soprattutto ottimo palcoscenico per le sue apparizioni in pantofoline di velluto bordeaux al fianco di Naomi Campbell, storia inventata, dicono i bene informati, dalla pierre Daniela Santanché da Cuneo, amica di gioventù di Briatore (gulp!!! A parte che non mi è mai sembrato che lui fosse così amicone. Infatti non l'ha mai neppure votata, sebbene siano soci in attività.) Per Flavio Briatore la vita spericolata è diventata ormai vita dorata. Le brutte storie del passato nessuno le ricorda più (forse fino agli ultimi giorni, in special modo Ecclestone,  il boss, che è artefice, insieme al presidente della FIA Mosley, della sua cacciata eterna dalla Formula 1). Il «Tribüla» di Cuneo è sparito: al suo posto, un uomo di successo, non raffinatissimo, ma ugualmente coccolato dai salotti di ogni tipo, in cui si rimpiangono gli anni Ottanta e si ripete il motto di Briatore: «Se vuoi, puoi (finchè i santi in paradiso* te lo permettono)».(gb).  Fine

 * Certo che il collegamento ai paradisi fiscali viene spontaneo.

Commenti dell'autore, per l'art. si ringrazia societacivile.it

 
 
 

Un politico pensa alle prossime elezioni; un uomo di Stato alle prossime generazioni.
- John Clarke

Che grande uomo politico sarebbe stato Giuda!
- Achille Tournier

 

La politica è una faccenda troppo seria per essere lasciata ai politici.
- Charles De Gaulle

 

Desidero condividere con te una geniale intuizione che ho avuto, durante la mia missione qui. Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie. Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d'istinto sviluppano un naturale equilibrio con l'ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l'unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un'altra zona ricca. C'è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un'infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga. E noi siamo la cura (dal film MATRIX).

E' tempo di sapere quale futuro vogliamo per il nostro pianeta, per noi, stessi e per le generazioni che ci seguiranno.

E' giunto il tempo per i cittadini di smettere di fidarsi ciecamente al modo con cui i politici gestiscono il mondo, servendo esclusivamente interessi personali.

Per ridare un senso alla democrazia, i cittadini devono smettere di essere passivi e spettatori, come il docile gregge che si vorrebbe che siano. Devono riflettere a ciò che vogliono veramente ed assumere in modo coerente il ruolo di stipendiato, consumatore, contribuente, elettore, dimostrando di non essere più pecora delle pecore.

Le direzioni prese dall'economia, la società, la tecnologia e l'ambiente non sono inevitabili

 
 
 

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