LIBERA_MENTE
penso all'inutilità di pensare troppo, ma continuo inevitabilmente a farlo...
[ deliziato dal tocco saccente della Sex-Professorina ]
[ Shhhhhhh... fate piano.... non svegliate il can che dorme... ]
< Immagine gentilmente elaborata da ennegramma >
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Castelli di Rabbia
Post n°287 pubblicato il 26 Novembre 2008 da laelia75
- Jun, se c'è qualcosa che vuoi chiedermi fallo adesso. Jun cominciò a sciogliergli il foulard rosso che teneva intorno al collo, e poi gli aprì la giacca e uno a uno i bottoni del gilet scuro, iniziando dal più basso e poi venendo su, lentamente, fino a quello più alto che seppur rimasto ormai solo a difendere l'indifendibile pur tuttavia resistette un istante, giusto un istante, prima di cedere, in silenzio, proprio mentre il signor Rail si chinava verso il volto di Jun per dire - ma era quasi un pregare - Ascoltami, Jun... guardami e chiedimi quello che vuoi... Ma Jun non disse nulla. Semplicemente, senza che un solo angolo del suo volto si muovesse, e assolutamente in silenzio, iniziò a piangere, in quel modo che è un modo bellissimo, un segreto di pochi, piangono solo con gli occhi, come bicchieri pieni fino all'orlo di tristezza, e impassibili mentre quella goccia di troppo alla fine li vince e scivola giù ai bordi, seguita poi da mille altre, e immobili se ne stanno lì mentre gli cola addosso la loro minuta disfatta. Così piangeva, Jun. E non smise mai, nemmeno per un attimo, mentre le sue mani spogliavano il signor Rail, e nemmeno dopo, a vederlo nudo sotto di sé e a baciarlo ovunque, non smise mai, continuò a sciogliere il grumo della propria tristezza in quelle lacrime immobili e silenziose - non ci sono alcrime più belle - mentre stringeva tra le mani il sesso del signor Rail e lentamente passava le labbra su quella pelle liscia e incredibile - non c'erano labbra più belle - e piangeva, in quel suo modo invincibile, quando aprì le gambe e in un istante, un po' con rabbia, prese il sesso del signor Rail dentro di sé, e dunque, in certo modo, tutto il signor Rail dentro di sé, e puntando le braccia sul letto, guardandolo dall'alto il volto dell'uomo che era andato dall'altra parte del mondo a scopare una donna bellissima e negra, a scoparla con così appassionata esattezza da lasciarle un bambino nel ventre, guardando quel volto che la guardava prese a rigirare dentro di sé la vinta resistenza che era il sesso del signor Rail, a rigirarlo e domarlo perdutamente, perché entrasse ovunque, dentro di lei, e ritmicamente scivolasse nella follia, mai smettendo di piangere - se quello si può chiamare semplicemente piangere - eppure con sottile e sempre maggiore violenza, e furore forse, mentre il signor Rail le piantava le mani nei fianchi, nell'inutile e falso tentativo di fermare quella donna che si era presa ormai il suo cazzo e con movimenti ciechi ormai gli aveva strappato dalla mente tutto ciò che non era l'elementare pretesa di godere ancora, e ancora di più. E non smise di piangere - e di tacere - di piangere e di tacere, nemmeno quando lo vide, l'uomo che era sotto di lei, chiudere gli occhi e non veder più niente, e lo sentì, l'uomo che aveva dentro, venire tra le sue cosce piantandole istericamente il cazzo nelle viscere in quella specie di percossa intima e indecifrabile che lei aveva imparato ad amare come nessun altro dolore. Solo dopo - dopo - mentre il signor Rail la guardava nella penombra e accarezzandola ripassava il proprio stupore, Jun disse - Ti prego, non dirlo a nessuno. - Non posso, Jun. Mormy è mio figlio, voglio che cresca qui, insieme a noi. E tutti lo devono sapere. Jun stava lì, con la testa sprofondata nel cuscino e gli occhi chiusi. - Ti prego, non dirlo a nessuno che ho pianto. Tratto da "Castelli di Rabbia" di Alessandro Baricco |
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