E pur tuttavia nessuno poteva realmente dimenticare ciò che tutti sapevano: e cioè tutta una miriade di piccoli fatti, e sfumature, e visibili concomitanze che gettavano una luce indubbiamente differente su quell'assodato e insondato fenomeno che erano i viaggi del signor Rail. Una miriade di piccoli fatti, e sfumature, e visibili coincidenze che neppure più ci si dava pena di citare da quando, come mille rigoli in un unico lago, si erano dispersi nella limpida verità di un pomeriggio di gennaio: quando il signor Rail, tornando da uno dei suoi viaggi, non tornò da solo, ma arrivò con Mormy, e guardando Jun negli occhi le disse semplicemente - posando una mano sulla spalla del ragazzino - proprio mentre il ragazzino fissava il volto di Jun e la sua bellezza - disse - Si chiama Mormy ed è mio figlio.C'era, sopra, il logoro cielo di gennaio. E intorno una manciata di servi. Tutti abbassarono istintivamente lo sguardo verso terra. Solo Jun non lo fece. Guardava la pelle lucida del ragazzino, pelle color sabbia, pelle bruciata dal sole, ma una volta per tutte da un sole di mille anni fa.E il suo primo pensiero fu "Quella puttana era una negra".La vedeva, quella donna che da qualche parte del mondo aveva stretto tra le gambe il signor Rail, chissà se per mestiere o per piacere, ma più probabilmente per mestiere. Guardava il ragazzino, i suoi occhi, le sue labbra, i suoi denti, e se la vedeva sempre più distintamente - così distintamente che il suo secondo e limpido e fulminante pensiero fu "Quella puttana era bellissima"Due pensieri non riempirono che un attimo. E fu un attimo tutto ciò che quel minimo universo di persone, ritagliato via dalla più generale galassia della vita, e piegato su se stesso dall'emozione di un apparente scandalo - e fu un attimo tutto ciò che quel minimo universo di persone concesse al silenzio. Perché poi, subito, filtrò la sua voce, attraverso lo smarrimento di ognuno, fino alle orecchie di tutti. - Ciao Mormy. Io mi chiamo Jun e non sono tua madre. E non lo sarò mai.Con dolcezza, però. Questo lo possono confermare tutti. Lo disse con dolcezza. Poteva dirlo con malvagità infinita e invece lo disse con dolcezza. Bisognava immaginarselo detto con dolcezza. "Ciao Mormy. Io mi chiamo Jun e non sono tua madre. E non lo sarò mai".Quella sera si mise a piovere che sembrava un castigo. E tirò avanti tutta la notte con meravigliosa ferocia. "Una pisciata alla grande" come diceva Ticktel, che sapeva di teologia perché aveva fatto il cuoco in un seminario, così almeno diceva lui, era una prigione dicevano gli altri, stupidi è la stessa cosa diceva lui. Nella sua camera Mormy se ne stava con le coperte tirate fin sopra la testa aspettando tuoni che non arrivavano mai. Aveva otto anni e non sapeva bene cosa gli stava succedendo. Però aveva stampate negli occhi due immagini: il volto di Jun, il più bello che avesse mai visto, e la tavola apparecchiatra giù, in sala da pranzo. I tre candelieri, la luce, il collo stretto delle bottiglie sfaccettate come diamanti, le salviette con misteriose lettere ricamate sopra, il fumo che saliva dalla zuppiera bianca, il bordo dorato dei piatti, la frutta tutta lucida posata su grandi foglie in una coppiera d'argento. Tutte queste cose e il volto di Jun. Gli erano entrate negli occhi, quelle due immagini, come l'istanea percezione di una felicità assoluta e incondizionata. Se le sarebbe portate dietro per sempre. Perché è così che ti frega, la vita. Ti piglia quando hai ancora l'anima addormentata e ti semina dentro un'immagine, o un odore, o un suono che poi non te lo togli più. E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quand'è troppo tardi. E già sei, per sempre, un esule: a migliaia di chilometri da quell'immagine, da quel suono, da quell'odore.Alla deriva.
Castelli di Rabbia
E pur tuttavia nessuno poteva realmente dimenticare ciò che tutti sapevano: e cioè tutta una miriade di piccoli fatti, e sfumature, e visibili concomitanze che gettavano una luce indubbiamente differente su quell'assodato e insondato fenomeno che erano i viaggi del signor Rail. Una miriade di piccoli fatti, e sfumature, e visibili coincidenze che neppure più ci si dava pena di citare da quando, come mille rigoli in un unico lago, si erano dispersi nella limpida verità di un pomeriggio di gennaio: quando il signor Rail, tornando da uno dei suoi viaggi, non tornò da solo, ma arrivò con Mormy, e guardando Jun negli occhi le disse semplicemente - posando una mano sulla spalla del ragazzino - proprio mentre il ragazzino fissava il volto di Jun e la sua bellezza - disse - Si chiama Mormy ed è mio figlio.C'era, sopra, il logoro cielo di gennaio. E intorno una manciata di servi. Tutti abbassarono istintivamente lo sguardo verso terra. Solo Jun non lo fece. Guardava la pelle lucida del ragazzino, pelle color sabbia, pelle bruciata dal sole, ma una volta per tutte da un sole di mille anni fa.E il suo primo pensiero fu "Quella puttana era una negra".La vedeva, quella donna che da qualche parte del mondo aveva stretto tra le gambe il signor Rail, chissà se per mestiere o per piacere, ma più probabilmente per mestiere. Guardava il ragazzino, i suoi occhi, le sue labbra, i suoi denti, e se la vedeva sempre più distintamente - così distintamente che il suo secondo e limpido e fulminante pensiero fu "Quella puttana era bellissima"Due pensieri non riempirono che un attimo. E fu un attimo tutto ciò che quel minimo universo di persone, ritagliato via dalla più generale galassia della vita, e piegato su se stesso dall'emozione di un apparente scandalo - e fu un attimo tutto ciò che quel minimo universo di persone concesse al silenzio. Perché poi, subito, filtrò la sua voce, attraverso lo smarrimento di ognuno, fino alle orecchie di tutti. - Ciao Mormy. Io mi chiamo Jun e non sono tua madre. E non lo sarò mai.Con dolcezza, però. Questo lo possono confermare tutti. Lo disse con dolcezza. Poteva dirlo con malvagità infinita e invece lo disse con dolcezza. Bisognava immaginarselo detto con dolcezza. "Ciao Mormy. Io mi chiamo Jun e non sono tua madre. E non lo sarò mai".Quella sera si mise a piovere che sembrava un castigo. E tirò avanti tutta la notte con meravigliosa ferocia. "Una pisciata alla grande" come diceva Ticktel, che sapeva di teologia perché aveva fatto il cuoco in un seminario, così almeno diceva lui, era una prigione dicevano gli altri, stupidi è la stessa cosa diceva lui. Nella sua camera Mormy se ne stava con le coperte tirate fin sopra la testa aspettando tuoni che non arrivavano mai. Aveva otto anni e non sapeva bene cosa gli stava succedendo. Però aveva stampate negli occhi due immagini: il volto di Jun, il più bello che avesse mai visto, e la tavola apparecchiatra giù, in sala da pranzo. I tre candelieri, la luce, il collo stretto delle bottiglie sfaccettate come diamanti, le salviette con misteriose lettere ricamate sopra, il fumo che saliva dalla zuppiera bianca, il bordo dorato dei piatti, la frutta tutta lucida posata su grandi foglie in una coppiera d'argento. Tutte queste cose e il volto di Jun. Gli erano entrate negli occhi, quelle due immagini, come l'istanea percezione di una felicità assoluta e incondizionata. Se le sarebbe portate dietro per sempre. Perché è così che ti frega, la vita. Ti piglia quando hai ancora l'anima addormentata e ti semina dentro un'immagine, o un odore, o un suono che poi non te lo togli più. E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quand'è troppo tardi. E già sei, per sempre, un esule: a migliaia di chilometri da quell'immagine, da quel suono, da quell'odore.Alla deriva.