Il lago bianco

Helga 05. Sirena e anguilla


Se la prima volta Helga era stata come una cagnetta che si avventa su un osso pieno di polpa, e la seconda un fiore carnoso che si apriva e offriva davanti alla bocca, ora sul quel divano, ancora umida di doccia, su quel lenzuolo azzurro che vi aveva steso sopra e sui cuscini grandi che vi aveva appoggiato, ora Helga era una sirena, un pesce che guizza, un’anguilla che passa sinuosa fra le rocce. Mi disse solo: “Tutto con la bocca e con le nostre lingue, dappertutto, dappertutto”. Si muoveva a cercare una parte del mio corpo da baciare-leccare-succhiare-e-mordere, e si muoveva rapida, obbligandomi a rincorrerla. Ma tutto si svolgeva con dolce lentezza e le nostre mani, quasi sempre, erano a frugare fra i nostri sessi. Più d’una volta capitò che lei si fermava a masturbarsi, quasi a farmi vedere come si fa, come piaceva farlo a lei, aprendo le piccole e grandi labbra e mostrando in quella luce di mezzogiorno la profondità del suo fiore. Poi senza che me lo chiedesse lei, ero io a sostituirmi con la lingua e le labbra alla sua mano, offrendole in bocca il mio pene rosso. Ma tutto durava poco, il momento del pompino conclusivo era sempre rimandato. A Helga interessava che ognuno di noi gustasse il corpo pulito e candido dell’altro, come il gusto del mangiare e del bere, tanto che pensavo che nuovamente portasse fragole e birra, o chissà cosa altro. Ma così non fu. Fu invece che si stese sulla pancia e con le mani aprì le sue natiche. “Qui dentro, la tua lingua qui dentro”. Non era in gioco ciò che i latini chiamavano anilictus, lei voleva che la mia lingua vi sprofondasse dentro, per questo aveva preparato quel meticoloso lavaggio reciproco. Così rimasi con bocca e lingua a gustare quel magnifico buco rosa, e avrei voluto condirlo ancora con fragole e ciliege, con miele e burro, con jogurt all’albicocca, anche. Ma quella volta Helga voleva il sapore della carne nuda e pura. E quel sapore esisteva davvero. Non avrei mai pensato che “leccare il culo” fosse una pratica così potentemente bella. Durò tanto quella mia leccata, il mio anilictus con variazioni. Helga nemmeno si masturbava, con le mani teneva il suo segreto buco il più aperto possibile, voleva che tutto il piacere arrivasse da lì. E però sbatteva le gambe, per esprimere il piacere che io - forse per la prima volta - le stavo procurando. Poi disse che toccava a me. Mi misi nella sua posizione e anch’io tenni aperte le natiche con le mani. Ma lei, che curava ogni particolare, come appunto le persone eleganti, prima prese un piccolo rasoio e iniziò a depilare qua e là. Già la fredda lametta passata con dolcezza ma anche con precisione dava i primi effetti. E soprattutto quando lei ci calò dentro la lingua, sfiorando con la punta tutto l’arco della fessura e girandola a mulinello, e umettandomi con la saliva, e leccando in modo compulsivo e ossessivo - soprattutto i quel momento e negli infiniti minuti che seguirono compresi che il nostro corpo nasconde sensazioni inimmaginabili. Io non le stavo immaginando, le stavo vivendo. Ma era un piacere che non esplodeva. Sentì Helga concludere il suo lavoro allentando piano piano, fino a che non posò il suo capo sul mio sedere, come fosse un cuscino. Ma non dormiva. La sentivo ansimare. Le chiesi come stava. “Come Dio in Francia”, mi disse, che è una espressione tedesca per dire che meglio di così non si può. Meglio invece si poteva, almeno per me. Perché così schiacciato sul divano, con la sua testa irrequieta, eppure serena, e poi con le sue mani che ricominciavano ad accarezzare le cosce, e poi e poi, e poi lei che ricomincia ad annusarmi dietro, stavolta senza leccare ma buttandoci dentro il muso come appunto fanno i cani e le cagne - vero Mia amica? -, e poi non so che cosa altro fece, non lo ricordo, perché il tempo ti lascia forti nella memoria le sensazioni, i toni, ciò che ti vibra, e meno i modi con cui tutto ciò ti viene procurato... Insomma lei si sedette con il suo sedere ancora umido sul mio e iniziò a spingere, a dimenarlo, non so che cosa cercasse, era un gioco, era un gesto pensato all’improvviso, ma era bello il suo morbido culo sul mio più duro, il suo massaggio che stranamente stimolava il mio ano che in tal modo si sentiva ancora stimolato - e fu quella una volta, la prima, che desiderai anche di essere penetrato, mi sentii femmina anch’io, femmina e maschio insieme, un grande buio, una voglia finalmente di ricevere e non più solo di dare... Finché mordendo un cuscino volli trattenere il mio urlo, non volevo, e non so spiegare perché, non volevo che si accorgesse del mio orgasmo. Che non fu - lo ricordo bene - come uno sbotto o schizzo, ma come un defluire lento dello sperma sul lenzuolo. Helga se ne accorse quasi subito, però, quando mi cercò il pene, presumo, per succhiarlo. Si mise a ridere. “Ho sporcato il lenzuolo... Forse anche il divano...”. “No preoccuparti, sotto ce ne sono altri due, e sotto questi in mezzo una trapuntina impermeabile”. E però il pene finì di pulirmelo con la lingua. Poi mi mise la testa su due o tre cuscini, mi disse di tenere la bocca aperta e la lingua fuori. Venne con le gambe aperte a cavalcioni sulla mia testa. Abbassò il bacino finché la fica non fosse proprio sopra la mia bocca e iniziò a strusciarla con ogni tipo di movimento. Voleva la mia lingua dura infilata finché era possibile nella vagina. A me faceva male tutto, bocca, lingua, mento, naso, collo. Mi guardò per dirmi di sopportare. E io sopportavo, volevo sentirla urlare di gioia e di piacere, di goduria, lei che chissà quanto aveva desiderato far giostrare la fica a quel modo su un uomo. E forse per allietare la mia sofferenza, forse perché la natura quando la lasci fluire ti incanta di stranezze, Helga iniziò, sempre schiacciando la fica che ormai era schiumosa sulla mia bocca, Helga iniziò una specie di canto, un suono onduloso su una volale sola: uhuuhuuuuhuuuuu... Un po’ un lamento, un po’ una meraviglia, un po’ stupore, un po’ l’espressione di un godimento della carne a lungo cercato. Quando venne del tutto, quando finì quel movimento di pesce d’acqua dolce, Helga si stese tutta su di me e, come le altre volte, mi riempì la bocca di un bacio lungo, acquoso, dolce, amoroso. Poi su quel lenzuolo stropicciato, macchiato e umido ci abbracciammo e cercammo riposo l’uno sull’altro.