Il lago bianco

Halga 06. Entrata


Dopo quell’incontro sul divano, passarono diverse settimane. Verso la fine di agosto Helga mi chiede in quale giorno poteva venirmi a trovare. C’eravamo sentiti e visti altre volte, ma mai incontrati in quel modo clandestino. A dire il vero, quella telefonata, quella richiesta, un po’ quasi mi irritava. Non eravamo né amici, né fidanzati e nemmeno amanti. Lei era una che aveva voluto sperimentare il sesso orale in forme estreme, sempre sublimi, alla fine, però quasi da regista di un film erotico che non da donna che si coinvolge nell’unico atto di unione davvero sublime con un uomo: la penetrazione. Perciò le dissi quando, il giorno e l’orario, come fossi il suo dentista. Senza più quei sussulti che le volte precedenti mi prendevano. Anzi, da qualche giorno avevo conosciuto Sabeth, una ragazza di vent’anni, due occhioni verdi che non mi abbandonavano. Incontrare Helga sarebbe stato sì bello (Sabeth era ancora solo un desiderio), ma un bello non più sopportabile. Questi i miei pensieri, più o meno, mentre mettevo giù la cornetta. Ma Helga era Helga. E io non ero il suo dentista, per lei. Infatti era già lì. Lì a suonare alla mia porta. “Già qui?” “Sì, ti ho telefonato dal metro. Questo è il giorno giusto. Tu ci sei, io ci sono”. Non aveva il sorriso come il sole, anche perché la giornata era piovosa e buia. Mi chiese se dovevo andare in bagno. “No”, risposi. “Nemmeno io”. Iniziò a spogliarsi come fosse una prostituta venuta a farmi visita. Piegava bene tutto e riponeva in ordine ogni cosa su una sedia. Iniziai anch’io a spogliarmi, ma lasciando i vestiti per terra. Una volta svestiti - il suo volto era sempre intensamente serio - ci avvicinammo e iniziammo ad abbracciarci. Stavolta il bacio lungo e amoroso arrivò subito, come una conseguenza necessaria. Poi le si staccò da me e si inginocchiò sul letto. Abbassò la schiena e inarcò il sedere, che ancora una volta mostrava in tutta la sua ampia bellezza. “Vieni qui”, e mi fece segno di avvicinarle il pene alla bocca. Lo imboccò e inumidì con abbondante saliva. “Ti va questa posizione?”. “Che cosa vuoi fare?”. “Solo quello che ci fa capire che io sono una donna e tu un uomo. Maschile e femminile”. “Helga, che cosa vuoi fare?”. Un poco si indispettì alla mia domanda. Però comprese che io avevo qualche ragione. Allora si sedette un poco, ma tenendo una mano sul mio pene per mantenerlo teso. “Sono tre settimane che mio marito mi cerca, spesso anche in piena notte. Vuole essere mio marito. Penetrarmi come facciamo da dodici anni. Ma io ho voluto mantenere la fica in attesa per te. Ora la sento quasi un po’ vergine. È ora il momento giusto”. Fece una pausa. Cambiò posizione per imboccare ancora un poco il mio pene, ma non voleva iniziare una fellatio. “Tu sei solo il mio terzo uno”. Mi guardò intensamente. “Il primo a diciannove anni mi ha tolto la verginità. Era un mio compagno di studi. Pensa, glielo avevo promesso quando avevo dodici anni, che il mio primo rapporto l’avrei donato a lui. Io volevo ancora aspettare, ma lui stava per fidanzarsi. Così anticipammo. L’abbiamo fatto il 21 marzo, primo giorno di primavera. Ogni 21 marzo, da allora, lo rifacciamo. Nessuno sa niente. Solo quel giorno. Solo una penetrazione casta”. Non si accorse, ma raccontando mi stringeva con la mano quel mio cazzo ancora più irrobustito dal suo racconto. “Il secondo uomo è mio marito, incontrato due anni dopo. Ma di lui non ti dico altro”. Di nuovo mi guardò. “Ora ci sei tu. Ora tu entrerai nella mia fica così come questi due mai hanno fatto. E così come tu mai hai fatto. Penso che la posizione di prima sia la più indicata. All’inizio ti muoverai secondo le mie indicazioni. Poi sarai libero di muoverti come vuoi”. Lasciò la presa del pene. Lo riempì di nuova saliva. Si rimise in ginocchio a offrirmi come un grande dono ciò che fino allora mi aveva negato. Cara amica. Qualsiasi descrizione io ti dia, sarebbe non incompleta, ma inutile: ogni donna ama essere penetrata in modo diverso, così come ognuno possiede propri ed esclusivi gusti alimentari. La mia fortuna fu che Helga e io, forse perché abituati negli incontri precedenti ad allenare il gusto della bocca e della lingua, quel pomeriggio suonammo la stessa melodia e mangiammo lo stesso frutto. Fu una penetrazione quasi solo vaginale. Cambiammo, ma poco, solo alcune posizioni, ma solo per dare al mio pene il modo migliore per esplorare quel lago biondo di fragole e schiuma. Solo una volta Helga mi chiese di entrarle anche dentro l’ano e fu la volta in cui rimanemmo attaccati e immobili per infiniti minuti. Nemmeno ti dico, mia dolce amica, quanti orgasmi e quante parole ci furono. Non lo ricordo. Ricordo solo che Helga mi aveva fatto provare l’onnipotenza di una penetrazione compulsiva e che sembrava non dovesse concludersi mai. Dopo due giorni. Helga mi spedì una lettera. “Sono in vacanza”, mi scriveva, “quando torno, mi raccomando, solo birra, fragole e the”. E aggiunse: “Ti sembrerà paradossale, ma io voglio rimanere fedele a mio marito. Lui è il mio unico uomo. Tu sei stato l’unico uomo che me lo ha fatto dimenticare”. Fino alla fine dell’anno non sono stato capace di invitare una donna nel mio letto. Sabeth non seppe mai perché la feci tanto aspettare. Era perché volevo scongiurare che Helga diventasse l’unica donna da rimpiangere. FINE