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Post N° 470

Post n°470 pubblicato il 12 Dicembre 2008 da quotidiana_mente
 






Piove. Secondo me da un bel po’ solo con qualche interruzione tra una pioggia e l’altra. La città è andata in tilt, verrebbe da pensare “per due gocce di acqua?!”, ma il pensare non serve. Invece, come ogni volta che piove per più di due giorni di seguito, mi torna in mente “Cent’anni di solitudine” e la pioggia che durò per tre anni (saranno stati tre? Lo dovrò rileggere). Piove. Governo ladro, mi disse un passante mentre aprivo l’ombrello, lo disse ridendo ed io non ho risposto. Ormai.

Piove e vengo a piedi in ufficio, con le galosce così ho i piedi caldi. Mi porto delle scarpe di ricambio e via. Piove. E tutti a dire “quanto piove!”, ma direbbero “che caldo!” se ci fosse il sole, certo le conseguenze sarebbero diverse. Piove. A me non dispiace, o meglio non mi dispiacerebbe se tutto fosse, in fondo, normale. Invece no. Ieri molti semafori erano fuori uso. Mentre aspettavo che i vigili facessero passare i pedoni, ho notato che tutte le macchine, ma proprio tutte, avevano la freccia inserita per segnalare la direzione scelta e ho pensato “allora conoscete l’uso delle frecce, vi serve solo il bastone per usarle!”, poi ho attraversato e non ci ho più pensato. Mentre camminavo, vedevo gli autobus passare colmi ed immaginavo gli ombrelli gocciolare sulle scarpe degli altri, o le proprie. Piove. Il capo, ieri, mi raccontava della sua notte passata a svuotare il terrazzo perché il tombino di scarico era otturato. Ci potevi pensare prima, ho risposto. E ho pensato ai tombini della città, quasi tutti otturati. Un paio, invece, funzionavano benissimo durante il mio tragitto e mi sono fermata a guardare l’acqua che scorreva veloce, facendo un mulinello sotto le auto parcheggiate. Era divertente. Una signora, oggi, mi ha chiesto un’indicazione. Si è avvicinata con il suo ombrello, ho spostato il mio. Le ho detto che doveva tornare indietro per almeno due fermate di autobus, che non sono mai stata brava a calcolare i metri. Ha iniziato a inveire contro l’autista che l’aveva lasciata alla fermata sbagliata e che ora era in ritardo e che si doveva sbrigare. Ho sorriso, non sapevo cosa rispondere. Ha ringraziato e se ne è andata con passi frettolosi lungo la via, finché il suo ombrello è diventato un puntino e non l’ho più vista. Invece ho visto una donna che accompagnava il bambino a scuola, anche lei con un ombrello e proteggeva se stessa e il bambino. Lui aveva una cerata con le macchie tipiche di certe mucche e ho pensato che a me piacerebbe una cerata simile. Aveva la testa leggermente di lato, verso la strada, e non si perdeva una pozzanghera, un piede dopo l’altro e solo in quel momento girava la testa, come a voler controllare la reazione della madre, per essere certo di non venire rimproverato. La madre era assorta in altro e non si curava delle pozzanghere. Lui con un piede e poi con l’altro direttamente nella pozzanghera. Anch’io ho fatto lo stesso, solo più velocemente di lui, perché nessuno poteva rimproverarmi. Una bambina dando la mano al padre si è fermata, di colpo, chiedendo se quando piove è perché le nuvole sono tristi. Il padre ha risposto di sì, che era proprio così. Mi è piaciuta quella spiegazione. Lei soddisfatta ha ripreso la sua marcia. Mi era venuta voglia di chiedere, alla bambina, per quale motivo le nuvole potevano intristirsi. Ho cercato di darmi una spiegazione, ma sono sicura che la bambina ne avesse una migliore. Peccato. Piove.

Ieri quando il capo è rientrato in ufficio, tardi, ha detto “quanto piove!”, ho risposto che il sindaco ha decretato che si doveva rimanere a casa, sperando che lui capisse, al volo, il mio suggerimento. L’ha capito e per risposta ha minacciato di denunciare il sindaco a Brunetta. Ha salutato dicendo: ci vediamo domani… in ufficio! Peccato. Certo, il sindaco si riferiva agli automobilisti, ma perché non travisare una dichiarazione?

La pioggia mi piace, riesce a dare quel velo di nostalgia che, soprattutto, in questo periodo dell’anno mi sembra adeguato. Non un rimpianto, ma solo una nostalgia.






 
 
 
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