Quotidianamente...

Post N° 266


Su una di quelle torri c'ero stata, anni prima. Ricordo ancora passeggiando lungo la Quinta Avenue, lo stupore di vedere le due torri, proprio lì, a portata di mano. Pochi minuti di camminate e si va, stanno lì, sembra quasi di toccarle. Si disse. Invece erano distanti, ma il camminare non aveva mai spaventato. Sotto le torri mi sentivo più minuscola di una formica. Tutto mi sembrava smisuratamente grande, tutto era esagerato, mi ero sentita piccola piccola lungo tutto quel viaggio e ora mi sentivo ancora più bonsai. Cosa si fa, saliamo? Non ero entusiasta, non riuscivo a capire come si potesse vivere in un mostro come quello. Ma, sì, saliamo. Già l’atrio mi spaventava, troppo vasto, troppo e basta. L’ascensore era di quelli rapidi, troppo rapidi e mentre eri dentro in quei pochi minuti che ti separavano dall’arrivo, veniva spiegato il procedimento: prima leggerezza e dopo senso di pesantezza, come di schiacciamento al suolo. O il contrario, non ricordo. E per una volta, non ero stupita ma spaventata. Tutto troppo veloce, troppo grande, troppo. L’ultimo piano sembrava di vetro, non riuscivo ad avvicinarmi, perché sembrava di stare nel vuoto e il vuoto un po’ spaventa. Non riuscivo ad andare vicino alle pareti trasparenti. Guardavo, sì con stupore, una bambina di pochi anni che, invece non curante della paura, toccava le pareti trasparenti ridendo. Riuscivo solo a vedere delle forme che mi ricordavano tanti mattoncini del Lego e niente di più. Sì, ero spaventata. Mi chiedevo come fosse possibile lavorare così sospesi per aria, così vicini al vuoto. Una oscillazione. Ero certa, si era mosso, quel mostro si era mosso, ne ero sicura. Per forza che oscilla, altrimenti crollerebbe, si spezzerebbe. Ha una sua oscillazione e giù con tutte le descrizioni tecniche. Ed io ero sempre più spaventata, mi sembravano tante micro scosse di terremoto, poi pensai che un vero terremoto non l’avevo ancora mai sentito. Mi muovevo a stento, come bloccata. Era solo spavento. Dobbiamo andare su, c’è la terrazza, vedrai tutta la città. Saliamo. Almeno i gradini erano di cemento e le pareti erano vere e mi tranquillizzavano. Poi, lo stupore arrivò, perché essere così in alto e vedere i mattoncini di Lego che si erano fatti ancora più piccoli era qualcosa che aveva dell’incredibile. E stranamente non avevo più paura, perché mi sentivo protetta dal parapetto della terrazza. La statua della Libertà era un puntino da qualche parte in mezzo all’acqua. Gli elicotteri erano troppo vicini, secondo me. Giù altre spiegazioni sull’altezza della torre, delle torri ed io non ascoltavo. Meravigliata e spaventata com’ero. Continuavo a pensare che mai avrei potuto lavorare in un posto come quello e ancora meno viverci e non pensavo alle catastrofe possibili, no, solo al fatto che non mi sembrava alla mia portata, troppo alto, troppo tutto. La terrazza era piena di turisti, gli aeri sembravano a portata di mano, non ero mai stata così vicina al cielo. Rimarranno sempre così, nella mia memoria, le Torri gemelle: un misto di spavento e di (quasi) meraviglia.