Quotidianamente...

Post N° 459


Mi ero svegliata con un’angoscia tremenda, eppure non avevo sognato, di quello ero certa, perché sogno di rado, perché se sogno non ricordo. Ma quello non era un sogno, era una sensazione dolorosa che preannunciava qualcosa di reale. Sentivo quel dolore in tutte le sue sfumature, era intenso. Ho cercato di razionalizzare, pensando che non era un sogno, che era solo qualcosa di probabile ma non ora: è ancora troppo presto.Mi era già capitato, ma da sveglia, in modo del tutto cosciente di pensare a quella probabilità, ma ho sempre cacciato via quel pensiero. Invece quella mattina era presente, era così dentro di me quel pensiero che la sensazione era insopportabile.Mi ero svegliata con il pensiero della morte di mio padre. Ed è un pensiero alquanto raro, perché sì, mi capita di pensare a mia madre, ai suoi acciacchi non dovuti all’età ma alla vita che ha fatto, al suo cuore malandato e ai regolari controlli ai quali viene sottoposta, ma a mio padre, no, non mi era mai capitato. Nemmeno lui è fatto di granito, mi era stato suggerito in quel dormiveglia, forse dovevo, anche per lui, ogni tanto pensarci. Dovevo ammettere a me stessa che mio padre era un essere del tutto umano. Non avevo mai provato un dolore così intenso, come se fosse successo realmente pur sapendo che non era così. Non volevo telefonare per assicurarmi delle sue condizioni, ero troppo presto e lui si sarebbe, inutilmente, inquietato. No, non era successo niente. Di sicuro lui stava occupandosi della vigna oppure delle pecore e sicuramente stava lì a coccolare l’agnello nato qualche giorno prima. No, lui era in perfetta salute, sicuramente bofonchiava qualcosa, lì tra gli alberi di arance e di pompelmi, ne ero certa.Pensai anche che forse la mia era vigliaccheria, che doveva assicurarmi subito del suo stato di salute, che forse era successo qualcosa ed io ne ero all’oscuro, perché questo avviene quando si è distante, perché nessuno vuole preoccuparmi, io che sono così lontana. Ero un pensiero assurdo anche questo. Non avevo sognato, avevo solo preso coscienza della “vulnerabilità” di mio padre, anche se cosciente non lo ero perché dormivo. Tutta la giornata quella dolorosa sensazione mi è rimasta addosso, non mi era possibile mandarla via nemmeno quando mi ricordai di avere sognato la mia morte, quando ero poco più che bambina, ma non era una vera morte, perché io ero, sì, nella bara ma completamente lucida ed assistevo, in un’aula di tribunale, alla condanna del mio presunto assassino e riuscivo a risorgere per interpellare la corte perché stava condannando un innocente mentre il colpevole sghignazzava in mezzo al pubblico. Ricordavo anche le notti in cui facevo le prove per il mio funerale: in una religiosa immobilità, controllavo, con la coda dell’occhio, che la camicia da notte non facesse una piega e provavo il modo migliore per tenere le mani incrociate sul petto, il tutto senza respirare. Ero poco più che bambina anche in quelle occasioni. Ho sempre pensato che fosse del tutto normale immaginare la propria morte, invece non sono mai riuscita a pensare a quella di qualcuno altro. Mai. Qualche giorno dopo, rovistando in un cassetto, ho trovato una foto di mio padre, di quando aveva 12 o forse 14 anni: sorrideva con lo stesso sorriso di oggi. Ho rivisto, tramite le sue parole, la sua vita di allora, già operaio perché il marito di mia nonna non sopportava la sua presenza, non sopportava che lui esistesse, non sopportava l’idea di non essere il padre di mio padre. Eppure mio padre in quella foto sorrideva. Guardando quella foto, il dolore si è fatto più acuto. Lui, però, sorrideva ed io ho ricambiato il suo sorriso. Ho guardato quegli occhi svegli, curiosi della vita… e gli  ho augurato una lunga vita, perché io ho ancora bisogno di lui, ho ancora bisogno dei nostri litigi, sempre meno frequenti, ho ancora bisogno di lui e lui ci deve essere. Punto.