Chissà che compagnia è.. Chissà da dove viene.. Bella tonalità di arancio sulla coda. Chissà che compagnia è. Pensieri più veloci della luce. Chissà una volta atterrato per dove ripartirà. Faccio in tempo a riprendere la retta via. Stavo quasi per cadere. Niente distrazioni. Pensa ai motorini, pensa alle auto, pensa a guardare la strada e cerca di pedalare il più dritto possibile. Semaforo quasi rosso. Mi devo fermare. Mi fermo. Cado, lo sento, sto per cadere. Devo aiutare la caduta. Non la devo fermare e, forse, mi farò meno male. Pensieri più veloci della luce. Lo zaino, dal cestino, è caduto. La bici scivola, non riesco a trattenerla. Istintivamente allungo la mano. Trovo un appoggio. Faccio un balzo e non cado. Solo una gamba prova l’ebbrezza di sentire l’asfalto. Ringrazio la persona. Dal casco sporgono due occhi blu, limpidissimi. Grazie. Scusa. Ti ho fatto male? A me? No, no, non mi hai fatto nulla. Tu, ti sei fatta male? No. Grazie. Scusa. Rialzo la bicicletta, riprendo lo zaino. Prendo la bustina bianca, caduta anche lei. Mi rimetto in sella con nonchalance, come se niente fosse successo. Guardo l’asfalto. Orrore. Iper orrore. Il danese è appiccicato al suolo. Stramazzato. No. No. No. Piango internamente la sua dipartita verso lidi migliori. Orrore. Non ho salvato la vita al mio danese. E’ lì, tondo con i suoi occhietti fatti di cioccolata. E’ lì. Già senza vita. Come farò a sopravvivere senza il mio danese mattutino? Il mio stomaco si ribella.In ufficio, stranamente, inizio a scrivere tutto al contrario. Ma proprio tutto. Decido di buttarmi sui numeri. Niente. Nulla. Non va. Aspetto un po’. Scendo. Via, al bar. Niente danese. Un cappuccino e una brioche faranno miracoli. Lo sento. Un tipo col fare sospetto si aggira intorno alla mia bicicletta. E’ legata al palo, è vero ma una catena non è sufficiente. Sono in credito con i ladri di biciclette. Decido di fotografare la mia bici. Almeno, se questa mi verrà derubata, potrò fare la denuncia con tanto di foto. Potrei, mentalmente, disegnare l’identikit. Ma no, non è un ladro. E’ uno che passa e ammira la mia bicicletta. Sicuro. Il direttore tra poco partirà per Parigi. Il collega, questa sera, partirà per la Scozia. Da Parigi non mi serve nulla. Dalla Scozia sì. Ovviamente. Mi serve un contributo alla memoria di Fabio Montale. Il collega promette che mi porterà quanto chiesto. Intanto, continua a dirmi che i capelli mi stanno “troppo bene”. E’ diventato cieco. E la mia collega? Sta lì. Ma non ho voglia di parlarne. E’ mercoledì. Non mi piace il mercoledì. Perché? Forse c’è un perché ma nemmeno di quello ho voglia di parlarne. Farò il ponte. Deciso. Mentalmente preparo la lista dei propositi (buoni?) per questi quattro giorni. Ora devo solo trovare il modo di arrivare intera a questa sera. Mica facile.
Requiem per un Danese
Chissà che compagnia è.. Chissà da dove viene.. Bella tonalità di arancio sulla coda. Chissà che compagnia è. Pensieri più veloci della luce. Chissà una volta atterrato per dove ripartirà. Faccio in tempo a riprendere la retta via. Stavo quasi per cadere. Niente distrazioni. Pensa ai motorini, pensa alle auto, pensa a guardare la strada e cerca di pedalare il più dritto possibile. Semaforo quasi rosso. Mi devo fermare. Mi fermo. Cado, lo sento, sto per cadere. Devo aiutare la caduta. Non la devo fermare e, forse, mi farò meno male. Pensieri più veloci della luce. Lo zaino, dal cestino, è caduto. La bici scivola, non riesco a trattenerla. Istintivamente allungo la mano. Trovo un appoggio. Faccio un balzo e non cado. Solo una gamba prova l’ebbrezza di sentire l’asfalto. Ringrazio la persona. Dal casco sporgono due occhi blu, limpidissimi. Grazie. Scusa. Ti ho fatto male? A me? No, no, non mi hai fatto nulla. Tu, ti sei fatta male? No. Grazie. Scusa. Rialzo la bicicletta, riprendo lo zaino. Prendo la bustina bianca, caduta anche lei. Mi rimetto in sella con nonchalance, come se niente fosse successo. Guardo l’asfalto. Orrore. Iper orrore. Il danese è appiccicato al suolo. Stramazzato. No. No. No. Piango internamente la sua dipartita verso lidi migliori. Orrore. Non ho salvato la vita al mio danese. E’ lì, tondo con i suoi occhietti fatti di cioccolata. E’ lì. Già senza vita. Come farò a sopravvivere senza il mio danese mattutino? Il mio stomaco si ribella.In ufficio, stranamente, inizio a scrivere tutto al contrario. Ma proprio tutto. Decido di buttarmi sui numeri. Niente. Nulla. Non va. Aspetto un po’. Scendo. Via, al bar. Niente danese. Un cappuccino e una brioche faranno miracoli. Lo sento. Un tipo col fare sospetto si aggira intorno alla mia bicicletta. E’ legata al palo, è vero ma una catena non è sufficiente. Sono in credito con i ladri di biciclette. Decido di fotografare la mia bici. Almeno, se questa mi verrà derubata, potrò fare la denuncia con tanto di foto. Potrei, mentalmente, disegnare l’identikit. Ma no, non è un ladro. E’ uno che passa e ammira la mia bicicletta. Sicuro. Il direttore tra poco partirà per Parigi. Il collega, questa sera, partirà per la Scozia. Da Parigi non mi serve nulla. Dalla Scozia sì. Ovviamente. Mi serve un contributo alla memoria di Fabio Montale. Il collega promette che mi porterà quanto chiesto. Intanto, continua a dirmi che i capelli mi stanno “troppo bene”. E’ diventato cieco. E la mia collega? Sta lì. Ma non ho voglia di parlarne. E’ mercoledì. Non mi piace il mercoledì. Perché? Forse c’è un perché ma nemmeno di quello ho voglia di parlarne. Farò il ponte. Deciso. Mentalmente preparo la lista dei propositi (buoni?) per questi quattro giorni. Ora devo solo trovare il modo di arrivare intera a questa sera. Mica facile.