La recita di Bolzano

che amore assoluto sia!

Creato da fugadaipiombi il 24/11/2013

 

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E infatti questa è una rivisitazione di quel racconto....
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Io ne conosco un'altra quella del racconto di E.A.Poe..
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Le lettere

Post n°53 pubblicato il 18 Dicembre 2015 da fugadaipiombi

Ho appena ricevuto una lettera da mio marito. Siamo sposati da oltre dieci anni, eppure, ancora oggi, il modo migliore che conosciamo per comunicare ciò che intimamente viviamo, soffriamo, godiamo è scrivere lettere. Come se avessimo stipulato un tacito accordo, abbiamo proseguito a riempire fogli di parole, di pensieri, di turbamenti, di tumulti, di furore, di palpabile passione. Al tempo in cui ero una ragazzina che cominciava a prendere coscienza di ciò che la vita offriva, ho anche immediatamente preso coscienza che ogni sentimento andava coltivato, con costanza, perseveranza, senza mai dimenticarsi o far cadere nell'incuria ogni cosa che si sceglieva di cominciare. Qualcosa che veramente avevo voluto, desiderato, sognato di conseguire. Ho imparato che se volevo che i miei giorni, la mia vita, non conoscessero mai la noia che porta inesorabilmente alla morte di ogni rapporto, dovevo intessere dentro di me una stoffa indistruttibile, pregiata, perchè nella memoria rimanesse indelebile ogni ricordo ricamato sopra, qualsiasi ricordo, anche quelli dolorosi perchè fanno parte della mia vita. Anzi forse proprio loro ne hanno disegnato i ricami di cui risaltano colori più vividi. Colori non meno importanti degli altri. Quando ci si sofferma a scrivere, davanti a un foglio bianco, cominciano a spiegarsi quei tessuti ricamati, si imprimono sulla carta sotto forma di parole, parole che ne costituiscono il manto e la mano fluisce allora, forma lettere, frasi, intrise di noi, soltanto di noi. La nostra anima vi si riversa sopra, senza remore, senza pudore, senza menzogne, v'è purezza, lindore, in quelle parole, perchè non si può mentire a se stessi, forse potremmo davanti ad altri, ma non al cospetto di noi stessi. Trovarsi davanti a quel foglio bianco equivale a esplorarne l'intimità, scavando, cercando pensieri per comprenderli e scoprirne la profondità e il valore. E quei pensieri fluiscono in modo meraviglioso, non incontrano ostacoli, parlare d'amore dunque diventa più facile, perchè è come confessare a se stessi ciò che si vede, ciò che si tocca, ciò che si sente. Le emozioni, la passionalità che si esprimono in piena libertà sono esaltanti e l'ebbrezza ne gode, il pudore nel descriverle dettagliatamente davanti a due occhi che mi guardano a volte mi blocca e confessare all'uomo che amo ogni mio recondito pensiero diventa una gioia, non una sofferenza, perchè lui conosca il mio universo interiore. Trovarsi davanti a una lettera da riempire vale ogni parola d'amore che poi riceverò, ogni parola d'amore che sognerò di leggere, da cui farmi avvolgere, varrà una più profonda e tacita conoscenza dell'altro, conoscenza che ci spingerà a donarsi ancora di più e più liberamente. Ogni volta che ricevo una sua lettera, non serve che gliene parli, ma sente, percepisce che lo amo ancora di più e più appassionatamente e se una sola lettera, delle parole scritte su un foglio, mi susciteranno sempre questo furore, mano mia, fa in modo di mantenerti sempre ferma, decisa, per continuare a scrivere d'amore, sempre d'amore. E questa sua ultima lettera è meravigliosamente intrisa d'amore, un amore quasi disperato, un amore che lo potrebbe lacerare se si estinguesse, e io non lo sopporterei. Appena varcherà la soglia di quella porta, ogni parola risulterà vana, egli si avvicinerà e troverà il mio seno pronto ad accoglierlo, ad appassionarlo, egli cosi saprà che l'abbandono, il non amore non faranno mai parte della nostra vita, poichè ne abbiamo intessuto le trame con ricami preziosi, i ricordi dell'amore che ora ci scopre uno dentro l'altra, splendidamente avvolti da sussurri e gemiti, come richieste d'amore, sempre d'amore. 

 
 
 

Ritorno a Casa Usher - 3^

Post n°52 pubblicato il 14 Dicembre 2015 da fugadaipiombi

Quale impressione ritrovarsi davanti al castello degli Usher! Durante tutto il viaggio aveva cercato di immaginare l'effetto che gli avrebbe fatto, se lo stesso dell'ultima volta, anche se sperava di aver sognato nel leggere quella lettera, sperava di trovarvi soltanto le macerie, sì, macerie in un luogo sul quale nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di costruirvi sopra qualsiasi altra cosa, già, perchè un luogo maledetto, un luogo circondato dall'oscurità, dalla nebbia, da 'una palude silenziosa, come un vapore misterioso e pestilenziale, una plumbea foschia ristagnante e appena visibile', come la descrizione che ne aveva fatto al momento in cui era apparso alla sua vista la volta precedente. Per unistante sentì addosso come se un mantello di freddo, di gelo lo stesseavvolgendo, una breve sensazione ma molto reale. Forse veniva suggestionatodalla vista e dal ricordo di ciò che vi era accaduto. A quel punto un pensiero lo colse violentemente: che avesse sognato quella volta? Che tutto, la malattia dell'amico, la sua 'follia', la morte di Madeleine, la sorella, la sua avvenuta resurrezione, la morte di entrambi e il crollo del castello, fosse stato frutto di un'onirica immaginazione? Che mai niente fosse avvenuto? E se quel sognofosse stato un presagio? Se tutto dovesse avvenire adesso, se dovessi rivivere ogni momento di quei giorni e quelle notti che avevo immaginato o sognato di vivere in casa Usher? Ma può un sogno suggestionare a tal punto da rimanernecoinvolti, soggiogati da credere di aver provato la netta percezione di averloveramente vissuto? Può la mente giocare questi scherzi, farci credere reale ciòche non è e viceversa? Foschi erano i pensieri che lo stavano attraversando mentre notava la struttura del castello, rimasta tale e quale si presentava nei suoi ricordi, quella tremenda vecchiezza e la scoloritura che il trascorrere dei secoli non aveva risparmiato, il muschio ricopriva ancora tutta la facciata pendendo dai cornicioni, i muri erano tutti ancora in piedi, non sembravano sul punto di crollare, anzi, non davano affatto segno di instabilità. Sì, stava rivivendo il sogno, si era ormai convinto avesse sognato, si era convinto delle sue inutili sofferenze, delle sue inutili paure, angosce di quegli anni. Anche la volta precedente stava percorrendo il vialetto che portava alla casa, anche allora un servo stava ritto alla porta e si prese cura del suo cavallo mentre un valletto che gli si era avvicinato in maniera furtiva lo aveva introdotto nel castello facendogli percorrere dei corridoi bui, lunghi, tetri come quelli che stava di nuovo percorrendo. I loro passi risuonavano, in quel silenzio che sembrava carico dell'orrore che si sarebbe scatenato dopo pochi giorni, se tutto fosse avvenuto cosi come lo aveva sognato (o vissuto?). Come gli era familiare tutto questo: i soffitti intagliati, le scure tappezzerie alle pareti, i pavimenti di ebano e gli oggetti sparsi lungo il percorso a vista,tra pochi istanti, pensava, dovrebbe apparire il medico di famiglia, sulle scale e sul viso avrà disegnata un'espressione tra il sornione e il malcelato imbarazzo e, infatti, subito dopo lo vide apparire e sparire in pochi istanti, il tempo di suscitare una tempesta dentro il suo cuore, che batteva all'impazzata. Forse non fuggiva perchè la voglia di sapere, di capire, era piùforte della paura, non era disposto a tornare indietro senza avere la certezzadella sua stessa follia, oltre quella dell'amico. Ecco, il valletto indugiava davanti a una porta, la stessa porta, lo avrebbe introdotto nella stessa stanza, avrebbe visto veramente Roderick all'interno di quella tetra stanza? Il dado era tratto, ormai, si decise ad entrare: sì, Roderick era lì, dove lo aveva visto la prima volta, sul sofà, dal quale si sarebbe alzato andandogli incontro e salutandolo vivacemente e ormai ne era sicuro, stava rivivendo l'incubo!

 
 
 

L'amore che...

Post n°51 pubblicato il 09 Dicembre 2015 da fugadaipiombi

Appena uscite dal ristorante giapponese si infilarono subito in auto. Neanche il piacere di una passeggiata perchè Firenze era avvolta da un manto di umidità che impediva persino una buona visuale. Si strinsero nei cappotti cercando un po' di calore, illusoriamente, dentro il vano dell'auto che si dimostrò ancora più freddo che all'esterno. Al ristorante avevano iniziato una vivace discussione sull'importanza della vita di coppia. Ale non faceva mistero del fatto che avrebbe voluto a tutti i costi trovare 'l'amore', come lo definiva lei, un uomo con cui condividere la propria quotidianità in un momento nel quale sentiva il tempo sfuggirle di mano diventando sempre più inquieta e per questo era disposta a tutto. Avevano continuato la discussione in auto e aveva controbattuto che l'idea della vita di coppia era molto sopravvalutata. Attenzione, le disse, non pensare che anch'io non desideri la condivisione, il rispetto reciproco, quell'affetto che nasce dal coraggio della tolleranza, da ciò che poi si intreccia con la vita dell'altro diventando 'amore'. Volle tentare e cercò di andare un po' oltre. Le disse che negli ultimi anni aveva compreso che la cosa più importante non era pensare alla vita di coppia ma a soddisfare se stessi. Un punto quanto mai cruciale e difficile da far capire. Fin da bambini ci insegnano, o meglio, ci inducono a pensare che stare da soli, non essere cercati, non farsi amicizie o storie con l'altro sesso è qualcosa di terribile. Che lo scopo della vita sta nella benevolenza che la società ti dimostra accettandoti, dopo esserti piegato alle regole, pena l'isolamento. Ed ecco che nasce e cresce il terrore: il terrore di non essere accettati, benvoluti, di non essere desiderati perchè avrebbe significato che in noi c'era qualcosa che non andava. Il terrore di non riuscire a sposarsi, il terrore ancora più grande di non lasciare traccia di noi a questo mondo così da diventare immortali. La vita, insomma, si dimostra qualcosa in cui devi sempre assolvere un compito, se non ci riesci, sei bocciato, come a scuola. Questo perchè si ha paura. paura della morte. Ci si stringe intorno a questi canoni o dogmi, ci si attacca ferocemente all'illusione che così facendo scongiureremo ciò che più temiamo: essere spazzati via come polvere. Pensa ai documentari catastrofici, incalzò, pensa a come il terrore ci viene istillato giorno dopo giorno. E allora? Rispose Ale, chi se ne frega? In questo momento non mi importa niente di tutto questo, io voglio un uomo che stia con me. Sai perchè ancora non ce l'hai? Perchè non si vuole ammettere che più importante dell'amore è trovare un proprio pari, qualcuno che parli il nostro stesso linguaggio, che possegga i nostri stessi valori, qualcuno con il quale non senti quel disagio che ogni giorno, ogni momento ti porta via la gioia di vivere. L'amore è da questa condizione che nasce, con tutto ciò che ne consegue. Tutti credono che sia chimica, che ci si deve piacere al primo incontro e così vedi frotte di uomini e donne che frequentano locali tristi in cui la protagonista è solamente la tristezza. In definitiva, le disse, l'amore non dev'essere rinuncia a qualcosa, ma un'aggiunta a quel qualcosa, due mondi che si incontrano per arricchirsi donandosi l'un l'altro. Se mi innamorassi oggi di un uomo che abita a Palermo e mi chiedesse di trasferirmi non lo farei. Qualcuno inorridito mi risponderebbe che sono pazza. Non lo sono, so di non esserlo, gli direi, perchè dovrei rinunciare a una parte importante di me stessa, dato che non amo il sud, non amo una mentalità dalla quale sono scappata, so che dopo lo detesterei e tornerei indietro. L'amore e il rispetto più grandi li devo a me stessa e allora, se un giorno incontrerò un uomo che la pensa così, solo allora potrò pensare che vale la pena di condividere, al momento però io credo in me, amo stare in compagnia di me stessa e la solitudine non è una cosa così orribile. Peggio sarebbe stare con qualcuno con il quale mi sforzerei, questo sì mi costerebbe proprio tanto. E quando la gente capirà che non è egoismo sarà sempre troppo tardi, concluse. Ale la guardò come si guarda un povero mentecatto. sapeva di non essere stata capita, sapeva di aver parlato a vuoto ancora una volta. Ci aveva provato, però, questa era la cosa più importante, aveva voluto condividere le proprie idee, le aveva manifestate e in questo stavano la bellezza e il senso del dialogo. Aprì la porta di casa e come sempre Marley l'accolse saltando come un cavallo. Nel segreto del suo cuore pensò che sarebbe stato bello trovare il letto caldo del corpo di un uomo che l'avrebbe accolta per scaldarla dentro un'intimità che l'avrebbe fatta sentire piena, completa, amata. Abbracciò Marley e il calore del suo corpo la consolò. Si capivano, loro due, due spiriti liberi e ribelli, che davano amore senza imporre condizioni. L'amore puro e scevro da ogni interesse se non l'amore stesso. 

 
 
 

Marley e la 'piccola mela'

Post n°50 pubblicato il 03 Dicembre 2015 da fugadaipiombi

Come al solito aspettava la notte per rivedersi all'interno della sua profondità più oscura. Era già molto tardi, controllò l'orologio prima di iniziare a scrivere, a fare scorrere velocemente le dita sulla tastiera del pc illudendosi, a volte, che si trattasse di un pianoforte, parole e note, note e parole, dai tasti di un pianoforte nascono note musicali, dalla tastiera di un pc parole come musica, pensò. Il fine è lo stesso, per comunicare di sè ogni modo si rivela utile, tra realtà e fantasia, senza mai dover sottolineare in quale punto si tratti di fantasia, di immaginazione e in quali altri punti di realtà, quella realtà che è percezione, della quale i matematici, gli studiosi, non riusciranno mai a spiegarne chiaramente il significato, la differenza che facciamo fatica ad afferrare. Stava trascrivendo i proprio pensieri mentre Marley non la lasciava in pace, le si era accucciata ai piedi, sembrava agitata e non le riusciva di farla stare a cuccia. Si arrese e smise di redarguirla. Rivolse la propria attenzione al pc, doveva scrivere prima che il flusso dei pensieri e delle sensazioni perdesse energia e volontà. Riprese da dove aveva interrotto. Fenomeni, comunque, fenomeni che contengono in sè, spesso, l'ordine ancestrale della ricerca del piacere, del benessere, di quel qualcosa che ci ricongiunga all'universo. E in certi frangenti la mente gioca con noi, si diverte attirandoci, richiamati da quell'ordine, per farci addentrare in codesti fenomeni, all'interno dei quali è meraviglioso farsi risucchiare. Può capitare di dover cambiare percorso, il percorso abituale che si ricopre tra il lavoro e casa, è casuale, voluto? chissà! Stamane ho dovuto recarmi dall'altro capo della città, una zona che frequento molto poco, anzi, oserei dire che non mi ci reco mai. Come siamo abitudinari. Firenze, una delle città più belle al mondo, non viene conosciuta a fondo da chi ci è nato e ci abita da sempre. Capita cosi di scoprire che ci sono quartieri della tua città che non conosci, di cui ignoravi l'esistenza, perchè niente ti può portare lì, tranne una motivazione importante, quartieri che ti suscitano atmosfere del passato, come se la modernità non fosse mai giunta lì, come se tutto fosse rimasto fermo nel tempo, come per un incantesimo, quartieri dai quali, per uscirne, ti devi liberare dell'incantesimo malvolentieri, perchè tutto era cosi bello, cosi magico, cosi accogliente e sicuro. Rientrando nella percezione della mia realtà, ho dovuto fare uno sforzo e, per ritardarne il momento il più possibile, ricerco la stessa atmosfera dentro la mia testa, cerco di ricordare cosa più si possa avvicinare a quella sensazione. Cosi, dal nulla, nasce la melodia di una vecchia canzone, che comincio a cantare sottovoce, mentre mi guardo intorno, per non urtare la sensibilità altrui. Davanti ai miei occhi si materializza il ricordo della copertina, la foto di una donna, quasi un dipinto, all'interno di una cornice ovale, una donna il cui stile richiama sia la moda che l'acconciatura degli anni venti, una foto che mi ha sempre scatenato l'immaginazione, una foto sulla quale ho costruito storie, provando a fantasticare su chi fosse, se avesse fatto da modella a qualche artista, magari per guadagnare qualche soldo. Un viso dolce, dai lineamenti delicati, quasi da maestrina, si, come la protagonista della canzone che risuonava nella mia mente, alla quale piaceva ripassare tre volte, ogni mattina, tutti i 'libri di Omero'. E poi c'era la voce di Francesco De Gregori il quale, dolcemente, sussurra che gli piace 'quel suo modo di fare' e che forse un giorno farà all'amore con lei. C'è tutto il senso dell'intimità eterna, in quella frase, in quelle parole pronunciate, anzi, cantate come un sussurro, il senso dell'universo in tutta la sua interezza, dentro quel suo sguardo ancora puro, in cui leggo la sua voluttuosa volontà di sollevarle le sottane, districarsi tra trine e merletti, per raggiungere la felicità dello smarrimento più assoluto, abbandonandosi e fondendosi proprio perchè rimanesse eterno l'essere amore. Mi ci sono sempre persa in questa immagine, col desiderio più agognato di provare quelle sensazioni, nell'accoglienza di quelle mani che troveranno la strada della completezza. Ne conosco il significato, di questa sensazione, eppure la rifuggo, la temo, cosi come la desidero. Forze contrarie, che posseggono la stessa intensità, ora mi richiamano a sè, ora mi respingono. Forse perchè non ritrovo più quel senso di purezza dentro gli sguardi? Forse perchè tutto si è perduto e il dolore mi lacera, davanti a questa ineluttabile verità? Mi trascina lentamente nel baratro, questa notte, ma quanta poesia in poche parole, in una foto, dentro una melodia che ti avvolge per appena pochi minuti, quanto universo si spalanca per chi lo vuole ricercare. In questo giorno, in me, l'universo si è spalancato, ancora una volta ho affondato dentro la vita con il corpo, l'anima, la mente e il cuore. Rilesse ciò che aveva scritto e si sorprese di essere stata proprio lei a esprimere in quel modo ciò che sentiva. Marley alzò la testa, come per ricordarle di esserci e che aveva bisogno di lei. Spense il pc e si infilò tra le lenzuola, accanto a lei quel batuffolo enorme di morbidezza che le avrebbe impedito di affondare totalmente dentro una voragine. Marley e la sua 'piccola mela'
 

 
 
 

Ritorno a Casa Usher - 2^

Post n°49 pubblicato il 03 Dicembre 2015 da fugadaipiombi

Si mise in viaggio in stato di estrema stanchezza dopo aver passato una notte quasi insonne. Si era rigirato tra le lenzuola in un dormiveglia continuo, madido di sudore per la sensazione di angoscia che gli opprimeva il petto. Per raggiungere il luogo ove sorgeva il castello degli Usher occorrevano parecchie ore tanto che lo stesso vetturino, arrivato puntualissimo all’ora stabilita, si sorprese nel trovarlo già fuori dal cancello ad aspettarlo. A dire il vero più che sorpresa il vetturino provò una sensazione inspiegabile di paura, per pochi istanti avevacreduto di vedere un gigantesco corvo: il Conte se ne stava immobile, raccolto all’interno del mantello nero, la testa reclinata in avanti e, nel momento incui si scompose per salire sulla carrozza, non potè fare a meno di notare gli occhi spiritati, come se avessero visto l’inferno. Venne percorso da un brivido e fu proprio dall’espressione quasi terrorizzata del vetturino che comprese di non avere una buona cera.

- Buongiorno, Sean, va tutto bene? – gli chiese mentre questi gli apriva lo sportello per farlo salire.

- Buongiorno, signor Conte – rimase ritto accanto allo sportello – certo, va tutto bene. Prego, volete accomodarvi? – gli rispose facendogli segno di entrare. Il Conte mise il piede sul gradino e stette come sospeso ad aspettare qualcosa. Si guardarono entrambi, in silenzio. Decise finalmente di accomodarsi all’interno della carrozza, il vetturino riprese il suo posto e insieme si avviarono. La giornata era buia,quel buio che significava cielo coperto, probabilmente pioggia o, addirittura,temporali in arrivo. Aveva sperato ardentemente che il tempo reggesse, sarebbe stato molto faticoso e pericoloso viaggiare, i cavalli avrebbero potuto imbizzarrirsi, si sarebbero stancati a causa del terreno impraticabile e avrebbero rallentato la marcia. Non avrebbe voluto ritardare, voleva liberarsi dei pensieri oscuri che lo attraversavano al più presto. Dal momento in cui aveva ricevuto la lettera, l'angoscia era entrata in lui senza abbandonarlo.Un'angoscia che lo spingeva a porsi domande e a non voler trovare le risposte,se queste si fossero rivelate senza senso. Tutto gli sembrava assurdo. Eppure sapeva di essere un uomo razionale, un uomo con i piedi saldi per terra, un uomo che non si lasciava facilmente trascinare da chi credeva in qualcosa di misterioso che veniva indicata come la parte oscura di sè e che si proiettava nella realtà. Aveva sempre cercato di trattare gli argomenti sullo spiritismo,sul paranormale con scetticismo, persino dopo aver assistito e aver visto con i propri occhi ciò che era avvenuto in casa di Roderick, aveva provato a cercare una ragione plausibile che potesse spiegare il fenomeno. Ricordava ancora con nitidezza le impressioni suscitate dalla vista del castello e le immagini deiricordi si soprapponevano al paesaggio che apparentemente osservava, fisso, dal finestrino della carrozza. Dopo le prime ore di viaggio, a un certo punto, si era sentito soffocare, gli mancava l'aria, cosi lo aveva aperto e finalmente i ricordi si erano dileguati, anche se per pochi minuti. Minuti che gli erano bastati perchè si accorgesse che i raggi del sole erano filtrati attraverso il grigio delle nuvole, anche se deboli. L'odore dell'aria fresca del mattino lo colpiva sul viso come se fossero state scudisciate e, per un attimo, solo per un attimo, il pensiero che tutto fosse stato solo un sogno lo aveva sfiorato e si era sentito meglio. Era durato poco, però, i ricordi si erano riaffacciati alla sua memoria, prepotentemente. Sì, certo, ricordava tutto, ogni parola,ogni sensazione, ogni brivido, ogni emozione che aveva provato dal momento in cui aveva ricevuto la lettera nella quale il suo vecchio amico e compagno di scuola, perentoriamente, gli chiedeva di recarsi al suo castello. Anche la volta precedente, come questa volta, il tono della lettera era perentorio e non ammetteva un eventuale rifiuto. Sentiva ancora la suggestione addosso, il suo corpo risentiva degli effetti. Quei pochi giorni trascorsi in compagnia di Roderick, gli avevano fatto cambiare il modo di vedere la vita, la morte, il loro mistero. Lo avevano, in un certo senso, condizionato, niente era rimasto lo stesso, anche se in apparenza la sua vita aveva continuato sui soliti binari. Percepì un formicolìo alle gambe, capì di aver bisogno di camminare.Guardò fuori e vide che si stavano avvicinando a un villaggio. Con il bastone bussò per attirare l’attenzione del vetturino che rallentò immediatamente la corsa e si fermò davanti alla prima locanda da cui fuorusciva del fumo, segno che avrebbero trovato da rifocillarsi. Scese dalla carrozza ed entrò intanto che il vetturino si portava sul retro per dar da mangiare e da bere ai cavalli. Il locandiere lo accolse allegramente, andandogli incontro.

- Oh, accomodatevi,prego, accomodatevi...avete bisogno di una stanza? - gli porse un sorriso con i pochi denti rimasti e l'espressione da ebete.

- O no – rispose – sono solo di passaggio, ci fermiamo il tempo necessario per mangiare e riposarci, prima di riprendere il viaggio…

- Allora vi siete fermato nel posto giusto...venite, venite...-si incamminò precedendolo verso l'imbocco di un corridoio alla destra della porta d'ingresso che portava alla sala da pranzo, lo seguì senza fiatare – Vedete?E' già apparecchiato per i nostri clienti...non sentite che buon odorino? -ridacchiò in modo irritante. Il corridoio era piuttosto lugubre, la carta da parati era già consunta e impregnata degli odori della cucina. Certo è molto modesta come locanda, pensò. Speriamo che il cibo sia all'altezza del mio  palato. La sala da pranzo era accogliente, contrariamente alle sue aspettative,un fuoco vivace scoppiettava nel camino posto al centro della parete opposta all'ingresso. Lo avvolse un bel tepore e sperò che il locandiere lo facesse sedere al tavolo più vicino al camino. Così fu e lo ringraziò mentalmente.   

-Vi va bene questo tavolo? - chiese il locandiere. Teneva degli occhiali da lettura fissi sopra la punta del naso e la sua testa era piena di capelli bianchi e ricci non pettinati, continuò a guardarlo con la stessa espressione da ebete dipinta sul volto mentre aspettava la sua risposta. 

- Sì, è proprio vicino al fuoco, ho proprio bisogno di scaldarmi...ah...- si mise seduto - vorrei pregarla di chiedere al vetturino di accomodarsi a questo tavolo... 

- Il vetturino? - chiese stupito il locandiere.  

- Sì, chiedetegli se ha piacere di farmi compagnia, sa, detesto mangiare da solo fuori casa, credo sia di una tristezza infinita...volete farlo? Sì? - ignorò la disapprovazione che percepì nel tono della voce e attese che si riprendesse dallo  stupore.  

- Oh, sì, certo...come voi comandate...tra qualche minuto verrà mio figlio a prendere le ordinazioni - e si girò dirigendosi verso il corridoio bofonchiando tra sè e sé. Vide Sean comparire nel vano della porta, titubante, il cappello in mano, l'espressione incredula. La tristezza profonda che lo tormentava lo aveva spinto ad andare oltre le usanze, oltre le regole, non aveva voluto ritrovarsi da solo a tavola,senza rivolgere a qualcuno la parola, assillato, assediato dall'angoscia. La compagnia di Sean lo avrebbe distratto, almeno per quell'ora trascorsa al calduccio della sala da pranzo.  

- Venga avanti, Sean - lo incoraggiò perchè vincesse la sua titubanza - sedetevi– gli disse, indicandogli la sedia appena lo raggiunse - l'odore che arriva dalla cucina mi sembra buono, che ne dite? - cercò di coinvolgerlo per accorciare le distanze tra loro. Comprendeva il suo disagio, appartenevano a posizioni sociali differenti, i suoi amici avrebbero criticato il suo comportamento. Diamine, si disse, in fondo siamo tutti esseri umani, il mondo non peggiorerà di certo se per una volta le nostre posizioni raggiungeranno lo stesso livello. Il proprietario del locale lo trattò con tutti i riguardi ed erano stati serviti molto velocemente. La locanda poteva essere un posto modesto ma la cucina era sublime, neanche al suo club si mangiava cosi bene, pensò. Per tutto il pranzo aveva sentito il disagio di Sean, probabilmente nessuno, prima di quel momento, gli aveva mai chiesto di sedere insieme a tavola, nessuno di coloro che trasportava con la propria carrozza. Tenne a bada l'atteggiamento seccato del locandiere nel dover servire qualcuno che stava più in basso di lui nella scala sociale, sorrise nel notare la poca dimestichezza nell'affrontare il galateo da tavola e provò a metterlo a suo agio dimenticando lui stesso le buone maniere. In fondo tutte quelle regole, quelle costrizioni toglievano molto del piacere che la tavola meritava, concluse, ringraziandolo mentalmente perchè durante il pranzo, grazie alla sua presenza, gli spiriti sene erano stati accuratamente lontani da quel posto. Ma non da quello verso il quale si stava recando. Lasciare la locanda era stata dura, i fantasmi lo riassalirono ancora, la sua espressione era tornata buia, oscuro il pensiero.Per tutto il resto del viaggio aveva cercato di riposare, ma invano. Finchè un odore attirò la sua attenzione, un odore acre, come di fumo, lo aveva riconosciuto, aveva capito di essere entrato nella proprietà degli Usher, si sporse dal finestrino, da lontano la sagoma del castello era circondata da una foschia strana, che ne rendeva ancora più tetra la vista. Era finalmente arrivato, chissà cosa lo aspettava!




 
 
 

Ritorno a Casa Usher - 1^

Post n°48 pubblicato il 03 Dicembre 2015 da fugadaipiombi

Oggi ho ricevuto una lettera che mi ha molto turbato. Alla lettura del mittente ho subito pensato che nonpoteva essere possibile, che forse i miei occhi vedevano doppio, anche se non avevo bevuto neanche un goccio di alcool. Eppure non potevo crederci, mal'indirizzo era scritto con caratteri grandi, grazie ai quali non si potevano avere dubbi sulla veridicità di ciò che stavo leggendo. Non sono riuscito ad aprirla subito, ho avuto quasi timore o, dovrei dire, addirittura terrore. Sono caduto in uno stato febbricitante, ho perso l'appetito. La tavola, rimasta apparecchiata, attendeva che mi sedessi per renderle onore. Ma non ho osato avvicinarmi ad essa per tutto il giorno. E’ sopraggiunta la notte, una notte che si preannuncia piena di agonia per me, l'agonia dell'attesa, non potrò rimandare all'infinito l'apertura di quella busta. So perfettamente da dove essa proviene, riconosco la grafia, senza alcun dubbio. Sono trascorsi molti anni dall'ultima volta che ho letto qualcosa scritta da colui al quale appartiene il pugno che ha vergato l'indirizzo ben chiaro, ma sono sicuro di non sbagliarmi. Riconosco  la forma elegante, già, l’eleganza è stata la notevole caratteristica grazie alla quale si è contraddistinto fino alla morte. Ah, sì! Ecco il punto, questa persona dovrebbe essere morta, ho visto con i miei occhi la catastrofe, ho assistito sbalordito al crollo delle mura del suo castello, il castello in cui aveva sempre abitato, patrimonio della famiglia Usher. E ora? Ora tengo tra le mie mani un oggetto di carta che sembra bruciare più di un incendio di enormi proporzioni. Che silenzio, in questa casa, o sono io che solo ora faccio caso a quanto sia pesante, a quanto mi disturbi come mai prima d'ora. Questo silenzio mi turba, tutto mi turba, oggi, ogni oggetto, ogni mobile, osservo tutto con uno sguardo diverso, vedo cose che prima non vedevo. Ma no, sono io, sto diventando pazzo! Cosa sto aspettando? E' meglio sapere, è meglio non rimandare oltre e cercare di interrompere l'agonia, troppo lunga l'attesa. Mi tremano le mani, il sudore certamente imperlerà la mia fronte, tra pochi istanti, già la sento umida, dovrei asciugarla, per non rischiare che le gocce cadano sul foglio sbavando l'inchiostro. Non posso distrarmi, però, devo andare avanti prima che me ne penta. Il lume, devo avvicinarmi al lume per leggere meglio. Sì, è una lettera di Roderick, egli mi invita al suo castello al più presto, appena ricevuta questa missiva, ha bisogno di me. Roderick è vivo. Chi ho visto morire, allora? E’ stato un sogno, un incubo o cos’altro? Mio Dio! Non può essere vero! Sto forse perdendo la ragione? E’ come se il tempo fosse tornato indietro, come se avesse voluto giocarmi un brutto scherzo.O forse è la mia mente che dilata il tempo, che ne inverte i principi. Forse è meglio tornare a sedermi, magari mi sveglierò e scoprirò d’aver fatto un brutto, bruttissimo incubo dovuto all’indigestione della cena consumata alclub, ieri sera. Eppure ero convinto di non aver mangiato troppo. Quale angoscia, quali dubbi mi dilaniano, dubbi che dovrò fugare solo al momento in cui mi ritroverò davanti alle macerie del castello. Sì, lo dovrò constatare coni miei occhi, solo allora saprò di non essere diventato pazzo. Chiamerò Vladimir per dargli disposizioni. Sì, ora sento la febbre aumentare, vorrei portare avanti le lancette dell’orologio, che sia già mattina. Ecco Vladimir che bussa.             


- Entra pure, vieni…                                                               

-Comandate pure 

- Domattina alle sei la carrozza dev’essere pronta davanti alcancello…  

- Partite, sir? 

– Sì, ma non sarà un viaggio lungo…o almeno lo spero. Adesso vai e mi raccomando… 

- Come voi ordinate, sir…  

La compitezza di Vladimir non ha eguali. E’ meglio ch’io vada a letto, ora e che arrivi presto, dunque, l’alba!


 
 
 

Da Edith, sempre con amore!

Post n°47 pubblicato il 03 Dicembre 2015 da fugadaipiombi

L'inconfondibile voce della nostra 'piaf', il passerotto, così veniva soprannominata, si spande per tutto il locale, la radio continua a trasmettere le sue canzoni per ricordarla, come se fosse facile dimenticarsi di questa piccola e sfortunata donna morta qualche giorno fa. La ascolto mentre sto ultimando il lavoro di pulizia del bancone, sistemando i bicchieri in perfetto ordine. Mi guardo intorno e sono orgogliosa del risultato ottenuto grazie al mio gusto e ai miei sforzi. Orgogliosa della scelta dell'arredamento, di ogni dettaglio curato da me personalmente. Perseguivo un'idea precisa e ho provato a realizzarla nei più piccoli particolari. Ho voluto che ogni avventore, entrando, si sentisse avvolto come se stesse per entrare a casa propria, accolto con dolcezza, come se fosse venuto a chiedere asilo. Molte volte, entrando in uno di questi locali non sentivo l'accoglienza, anzi sentivo disagio, sì, un forte disagio a causa del quale mi veniva voglia di fuggire, percepivo quasi fastidio per la mia presenza, possibile sentirsi così frustrati o vinti dalla vita, mi chiedevo, da non riuscire più a rivolgere un sorriso di benvenuto?  Quindi ho preso la mia decisione, avrei aperto un locale in cui, chiunque fosse entrato, avrebbe trovato me, pronta a donare sempre un sorriso, ad ascoltare, magari, le deliranti confessioni di qualcuno che preferisce confidare i propri crucci ad una perfetta sconosciuta. Ogni anima che si fosse affacciata facendo capolino, sarebbe stata accolta dal calore che i mobili in legno, per me così rassicuranti e sistemati in modo da creare un'intima atmosfera, avrebbero trasmesso, si sarebbe dovuto sentire come nel luogo più sicuro della terra, grazie anche alle lampade dalle luci soffuse che avrebbero arricchito ogni tavolino. Sarebbe stato meraviglioso guardare gli innamorati persi occhi negli occhi, come se fossero stati soli, meraviglioso veder nascere e crescere l'amore sotto i miei occhi. Ogni tavolo doveva essere ricoperto con tovaglie dai tessuti più pregiati, perchè sarebbe stato meno triste lasciarsi o fare pace tenendosi le mani appoggiate sulla morbidezza. Sarebbe stato meraviglioso che ogni loro ricordo li ricongiungesse a me, che penso a loro come alle persone più importanti, una ad una, delle quali conosco i nomi, che pronuncio ogni volta che oltrepassano la porta d'ingresso. E' bello vederli sorridere perchè sono stati riconosciuti, che qualcuno si ricordi di loro, li fa sentire meno soli, non considerati come persone qualunque. Di ogni anima mi piace conoscere i segreti, leggendoli attraverso i tratti dei loro visi o le movenze dei loro corpi, a volte ne comprendo ogni pena appena entrano, mi sento investire dalle loro emozioni e allora cerco di avere e di usare le parole giuste, per farli tornare ad acquietarsi. E' gratificante sapere che le ragazze che si rivolgono a me per essere ascoltate, sanno di trovarvi colei che cercherà di trovare una soluzione, o di dare il giusto consiglio, garbatamente, di far tornare loro la fiducia nella vita e negli uomini, dei quali parlano in modo veramente tremendo, a volte. Ah, gli uomini, e cosa saremmo senza di loro? dico. Cosa sarebbe la nostra vita se questi esseri cosi strani non entrassero nei nostri giorni per tormentarci, amarci, per litigare facendo pace subito dopo, magari facendo all'amore in modo disperato? Penso che valga la pena frequentarli, amarli, affermo con serietà e a quel punto si sentono meglio, non stavano aspettando che una parola che le inducesse a cascare ai loro piedi senza fare la figura delle stupide. Già, e come farei io se non sapessi che tra mezz'ora Pierre entrerà da quella porta, Pierre, che custodisce dentro di sè i segreti più belli, più intriganti che io abbia mai letto in un uomo. Pierre, che mi ha strappato l'anima dal primo momento in cui è entrato nel mio locale, incuriosito del parlare che si faceva di Edith, già il mio nome è Edith, come quello che appartiene alla voce che in questo momento mi avvolge. Era curioso di sapere perchè il mio nome correva sulle labbra di tutti, la ragione per la quale frequentavano il mio locale, accorrendo come se avessero trovato chissà quale tesoro. Pierre, che dopo essersi presentato tutti i giorni, per qualche mese, mi ha invitato ad andare all'Olympia, ad ascoltare la mia omonima, sarebbe stata una serata speciale, mi disse. Un regalo speciale per me, non capivo a cosa dovessi tanto onore, io lo amavo follemente, ma a lui non lo avevo mai manifestato apertamente, un segreto che custodivo gelosamente e di cui tutti si erano accorti. Non avrei mai pensato che Pierre potesse ricambiare il mio sentimento, appassionatamente, cosi come con passione lo avrei amato. Quella splendida sera, dopo aver soddisfatto la nostra anima ascoltando il canto struggente di quel piccolo passerotto, l'ultimo suo concerto, provata, affaticata, ma sempre meravigliosamente straordinaria, mi aveva chiesto se potesse accompagnarmi a casa e di farlo salire, doveva parlarmi. Un pensiero mi era balenato, ma no, non poteva essere vero, mi ripetevo. Nel momento in cui ci siamo trovati nel mio soggiorno, si era guardato attorno e mi disse che non poteva essere diverso da come aveva immaginato il mio rifugio, il mio personale e segreto rifugio. Bello accogliente, caldo, ma intriso di una passione che a stento trattenevo dentro ogni cosa, che avrebbe voluto palesarsi e che lui era lì per questo motivo. Perchè gli donassi tutta la mia passione per la vita e per l'amore, quella che in me sublimava ogni gesto. Ci amammo, quella notte, come non ho mai amato, l'ho amato mentre risalivo il suo corpo, di cui ho voluto conoscere ogni lembo di pelle, l'ho amato mentre lo sentivo ansimare di piacere, mentre le sue mani non si staccavano da me, in un perpetuo contatto. L'ho amato per la sua dolce veemenza nel possedermi, nel richiedere completa attenzione, nell'abbandonarsi su di me ormai sfinito. L'ho amato, si, di questo amore che ancora mi sconvolge al pensiero che mancano ora 10 minuti al suo arrivo e io cosi rinascerò, tornerò a respirare, poichè lui, il mio alito, la mia vita, si troverà davanti a me e mi guarderà con occhi pieni di furore, mentre già lo sento dentro di me, a godere di lui e delle sue immense mani. Chi volesse conoscere il mio locale, mi troverà sulla guida, sulla strada per arrivare a Parigi, all'interno di un piccolo borgo, basta cercare alla voce: da Edith, sempre con amore!

 
 
 

Marley e la condivisione

Post n°46 pubblicato il 03 Dicembre 2015 da fugadaipiombi

La voce lamentosa del vento l'aveva cullata tutta la notte: si era svegliata molte volte,  forse per l'irrequietezza di Marley. O forse per la sua, che Marley percepiva. Aveva fatto strani sogni, senza capo nè coda, davanti alla tazza di thè, con lo sguardo fisso dentro il liquido nocciola, cercava di capire il perchè di quella strana sensazione di malessere che le si era cucita addosso dal primo momento in cui aveva messo le ciabatte. Marley con un balzo era scesa dal letto, seguendola e danzando, come sempre, dinanzi alla ciotola: seguiva la sua mano mentre riempiva la ciotola, saltando senza perdere un solo movimento. La cosa non smetteva di divertirla, pur conoscendo ogni gesto che avrebbe compiuto, continuava a stupirsi della bellezza con la quale manifestava la sua brama di cibo. Ma chi voglio prendere in giro? si disse. Il malessere, questo malessere costante, ne conosci bene il motivo. A volte si acquietava, ma in certi frangenti, come quello, tutto ritornava a galla, le bastava leggere d'amore al lavoro, di quell'AMORE, perchè il malessere ricominciasse a strisciarle dentro, tornando ad attanagliarla. Sì, era sola e soffriva per quella solitudine, una solitudine che non è assenza di amicizie o di vita sociale, no, le mancava amare, amare qualcuno da cui essere riamata per il valore che ognuno possiede. E non si sarebbe accontentata di niente di meno. Lei voleva un 'Uomo'. Quando le capitava di condividere questo pensiero con amiche o anche conoscenti, quando qualcuno le proponeva di andare a quelle cene per conoscersi, per incontrare una persona con la quale iniziare una relazione, a ogni suo rifiuto le piovevano addosso dure critiche: ma cosa stai cercando, devi uscire dal tuo guscio, scendi dal piedistallo, cosa ti aspetti, un eroe, forse? Il principe azzurro? e via dicendo, una stupidaggine dietro l'altra. In quei casi neanche rispondeva, come poteva far loro capire? Per arrivarci bisognava andare al di là di ciò che sono i bisogni primari, bisognava usare l'intelletto e in quei casi, tutto si usava tranne che l'intelletto. Ci si accoppiava per istinto, per legge di natura, non si sceglieva la persona ma la stessa condizione nell'altro e quindi, invece che stare soli, almeno si è soli in due. Ci si fa compagnia! Ma compagnia di che? Si chiedeva. Possibile che non capivano che amare non è un gesto passivo ma attivo? Stare insieme non lo è, si può stare nella stessa stanza, pure nello stesso letto e non comunicare. Per condividere la propria vita con un'altra persona bisognava incontrare un proprio 'pari', qualcuno che dimorava all'interno del proprio livello, qualcuno a cui aprire l'anima entrando nella sua. Siamo anime in evoluzione, pensava, e vorrei un uomo che si accorgesse di ogni mio minimo cambiamento, che mi conoscesse a fondo mai stanco di continuare a conoscermi, che conoscesse il significato di ogni mio gesto o tono di voce, che amasse il mio modo di vestirmi o di spogliarmi, che notasse ogni nuovo capo di intimo che indosserei per lui, che non si lasciasse dominare da tutte quelle lagne sulle differenze di sesso e che si comportasse come un individuo libero e pensante. Vorrei un uomo che mi parlasse continuamente e che entrasse nella mia vita senza invaderla, come aveva cantato Giorgio Gaber nella sua meravigliosa 'Quando sarò capace di amare'. Aveva capito tutto, lui, la canzone più straordinaria sull'amore che sia mai stata scritta. Le venne voglia di riascoltarla e appena le prime note di chitarra riempirono l'aria fu subito la pace, in lei, non si può rimanere tristi ascoltando la sua voce che dichiara di 'voler far l'amore senza mai chiedersi se siamo stati bene', già, come se l'avere più orgasmi possibili fosse lo scopo del sesso. Forse sta qui la differenza tra un maschio e un uomo e tra una femmina e una donna: fare l'amore è entrare dentro l'anima dell'altro attraverso il corpo, la materia, è il modo per trasferire l'amore e per restarvi dentro. Amare un uomo per poter sentire questo sentimento crescere e non annegare nelle abitudini, anzi, eleggere la quotidianità come regno in cui manifestarsi e manifestarlo, in cui accoglierlo nella sua interezza. Rimase incantata in ascolto del brano, percepì finalmente la pace interiore. Si accorse che anche Marley aveva ascoltato, come capisse ogni parola. Ne fu felice. Perchè in silenzio avevano condiviso l'idea sull'amore.  

 
 
 

Schiena

Post n°40 pubblicato il 17 Novembre 2015 da fugadaipiombi

E' già tardo pomeriggio, un freddo pomeriggio di febbraio, stanotte è caduta la neve e il suo biancore rischiara tutto intorno. Il paesaggio che si presenta ai miei occhi è bellissimo sembra attutire ogni bruttura, quell'eco di tristezza che avvolge il mondo. Amo in particolare la vista che si gode dalla stanza da bagno nella quale mi trovo in questo momento, dalla finestra riesco a vedere gli alberi e il paesaggio che cambia, stagione dopo stagione, qualcosa che mi rassicura. Mi sto preparando per la serata, abbiamo in programma di assistere alla prima di un'opera teatrale tra qualche ora, il rumore dell'acqua che riempie la vasca mi accompagna come fosse musica o almeno sono io a immaginarlo come tale, vedo formarsi la schiuma, il vapore attaccarsi alle piastrelle: di solito seguo un rituale, al quale tengo, compiere gli stessi gesti, spesso, è anch'esso rassicurante, cerco di rilassarmi immersa nell'acqua calda, in conversazione intima con me stessa, mi circondo di atmosfere profumate che sorgono dai vapori del calore, in contrapposizione alla temperatura esterna. Fa freddo, oggi, dovrò indossare il mio caldo cappotto per scaldarmi. E stare accanto a mio marito. Si, l'uomo che in questo momento è chiuso nel suo studio, l'uomo per cui mi sto rendendo meravigliosa, l'uomo che si dovrà accostare a me e dovrà inebriarsi del mio odore, del mio sapore, della mia eleganza, della mia bellezza luminosa. E non mi riferisco alla bellezza estetica, no, se mi dovessi descrivere, non sarei cosi benevola: ho lineamenti irregolari, il naso un po' pronunciato, anche se meno di quello della Streisand, le somiglio, però, molte volte mi è stato detto ho sempre pensato a quale onore fosse per me essere accostata a lei; occhi verde-nocciola, la parte più interessante di me, occhi sfavillanti, spesso accesi di furore. Il mento piccolo e sovrastato da labbra carnose, anch'esse irregolari. Il mio corpo, quello che in questo istante sto studiando, sto accarezzando e lisciando di crema idratante per mantenere la pelle sempre morbida, un'altra qualità che so di possedere da sempre, è carnoso e, per l'età che ho, è accogliente e polposo. Uno dei miei amanti impazziva per la mia pelle, mi ripeteva spesso che il suo colore bianco latte lo stordiva, la sua morbidezza gli ricordava il velluto, che il mio seno cosi rotondo e dai capezzoli rosa, gli ricordavano le donne di Klimt. Mi lusingava il paragone, dato che amo questo straordinario pittore, di cui molte volte ho ammirato le opere, recandomi a Vienna appena ho potuto, anche soltanto per un giorno. Ma la mia schiena, sì, la schiena, quella è la parte più bella di me, resa immortale da alcuni versi che lui, mio marito, le ha dedicato dopo averla vista per la prima volta, quella ormai lontana sera in cui ci siamo conosciuti: indossavo un vestito che in parte la scopriva e ricordo che mi si era avvicinato proprio perchè attirato da questa 'bianca e decisa nudità', mi disse, una nudità che, continuò, non aveva resistito all'idea di poter toccare, cosi aveva deciso di chiedermi il permesso di posare e far scorrere le sue dita lungo 'quel canale che sembrava voler accogliere il fiume del suo furore'.

Di delicatezza un pensiero leggero

sfiora il candore della tua schiena,
che di brividi si inarca e strugge,

e di infossature si scopre,
lieve e dolce pensiero

di mani che accarezzano
e si prestano al goder
di sensazioni procurate,
mani che, come melodia

vaneggiante di delirio
che incalza e spinge,
si perdono, si ritrovano
disegnano geometrie,

danzano dentro un mare
fluttuante di onde
che si infrangono

ah il piacere, la bramosia
il desiderio che essi
mi accolgano sempre
per darmi soltanto
il respiro della vita!

Ricordo che rimasi colpita e strabiliata da quel suo ardimento, da quella sua lucida sfrontatezza, aveva avuto il potere di zittire le mie amiche che, in verità, mi stavano annoiando, anzi era da tutta la sera che mi annoiavo e lui era venuto a salvarmi dallo sfacelo di una serata che avrei potuto trascorrere in compagnia di me stessa, magari a gustarun buon film. A volte provo un piacere quasi fisico nell'immergermi dentro il furore di un personaggio, riesco a immedesimarmi ora nel protagonista, ora nella protagonista, non sempre condivido le azioni delle donne, riesco a mantenermi obiettiva, quindi tifo per chi subisce, per chi è disperato, per chi soffre. Mi intenerisco, mi faccio travolgere, e godo di questo travolgimento trascinante, meglio che stare in compagnia di persone che parlano continuamente di cose fatue e senza alcun interesse, per me. Le mie gambe, uhhh, le mie gambe, la sezione del mio corpo che mi piace meno, grassocce, poco affusolate, per anni ho provato a delinearle e ad assottigliarle con creme, ginnastica, massaggi, ho fatto di tutto ma, tant'è, sono migliorate impercettibilmente. Però...però sanno fare la loro parte nel momento dell'amore, sanno circondare, sanno schiudersi in un gesto sensuale, facendosi risalire dalle mani, internamente, sanno eccitarsi ed eccitare, sanno accogliere nello spalancarsi di una voragine e procurare una voluttuosa vertigine, incalzando, freneticamente, voluttuosamente. Ho ripetuto il termine voluttuoso, John Keats me ne sarebbe stato grato. Ecco l'effetto che mi fa mio marito, riesce a farmi accostare un poeta alla bellezza di un atto di sublimazione sensuale, non può esserci modo migliore per rendergli onore. Egli sa che appena uscirò dal bagno deve aspettare, deve sorprendersi, nel vedermi, so che ama chiudersi nel il suo studio, apparentemente impegnato in una lettura o a scrivere un articolo e, nonostante tutto, non riuscirà a impedire alla sua immaginazione di 'vedere' come se si trovasse davanti a me...lo scorrere delle calze autoreggenti fino all'inguine, lo scivolare della sottoveste di seta lungo la mia splendida schiena, la scelta del vestito che indosserò, delle scarpe rigorosamente con tacco poco slanciato, degli accessori, tra i quali spiccherà la collana che mi ha regalato per il nostro primo anniversario. E so che la sua espressione sarà di vera sorpresa, nel momento in cui l'immaginazione si trasformerà in realtà, i suoi occhi emetteranno come dei lampi, nel posare lo sguardo su di me, quando entrerò piano nel suo studio per annunciargli che sono pronta. Volete sapere perchè sono qui, perdutamente innamorata di lui ormai da cinque anni? perchè dal momento in cui ha posato le sue dita sulla mia schiena, mai tocco fu per me più sensuale, mai tali brividi hanno percorso la mia schiena, mai tale penetrazione nella mia interiorità fu più accolta e attesa dalla mia anima. Lo aspettavo, sì, aspettavo un uomo che un giorno avrebbe visto ciò che sono con un solo sguardo, un uomo che avrei voluto conquistare ogni giorno, spaziando dentro i suoi silenzi, assordanti silenzi, perchè, pur chiuso nel suo studio, lui mi parla e io lo ascolto, so cosa sta pensando, in ogni momento, conosco ogni evoluzione delle sue emozioni, ogni lacerazione, ogni sofferto incontro con la vita. Non mi è costato molto trasferirmi a casa sua, una tenuta fuori città, nei pressi di un bosco, sospesi tra la realtà e la fantasia, quasi in isolamento, non mi è costato scegliere tra quella vita fatua che avevo condotto prima di conoscerlo, c'era dentro di me l'idea dell'attesa, sapevo che sarebbe entrato nella mia vita quell'anima che avrebbe toccato la mia, davanti alla quale mi sarei specchiata e mi sarei piaciuta, finalmente. Egli mi fa sempre sentire me stessa, e cosi riesco a donargli tutto quell'amore che posso, soltanto perchè non ho niente da nascondergli e mi richiama sempre l'attenzione. Viaggiare dentro di lui è ciò che preferisco, sopra ogni cosa, mi fa sentire donna, tremendamente donna e stasera, a teatro, mi terrà la mano fra le sue, non la lascerà mai. Eppure mi sento libera, in questo incatenamento di anime, libera di poter amare, di potermi donare, come non sono mai stata, nella mia vita ho sempre incontrato persone che i sentimenti li vogliono trattenere come se fosse un peccato, un disonore, ecco perchè mi ha reso felice l'averlo finalmente incontrato, non smette mai di chiedermi di amarlo, non smette mai di volere la mia presenza accanto a lui, come un dialogo infinito tra due amanti, liberi di scegliersi. Uno sguardo alla mia immagine allo specchio, ho terminato i preparativi, quei pochi passi che mi separano dal suo studio mi procurano sempre un'emozione irripetibile, mi serra la gola, mioddio, che sensazione meravigliosa, avere 45 anni e l'ardore dei vent'anni, ma più belli, perchè in questo momento sono cosciente di ciò che provo, sono vera, mi sento intrisa di amore. Si, amore, pieno, grande, totale. E sono sua, eternamente sua. La mia mano è poggiata sulla maniglia. Qui mi fermo, non proseguo oltre...non posso farvi entrare….


 
 
 

Pianoforte

Post n°38 pubblicato il 13 Novembre 2015 da fugadaipiombi

Tutte le sere ricomincio sempre dallo stesso punto, sistemo il seggiolino, con cura apro il pianoforte, tocco leggermente tutti i tasti, ne ascolto il suono: deve piacermi, deve sapere di armonia poiché, durante l'esibizione, non voglio stonature, voglio che tutto sia perfetto. Da quando ho messo le dita la prima volta su questi tasti, credo avessi otto anni, da quando sedendomi davanti allo strumento, allargando le braccia per cercare di contenerlo tutto li' dentro, ho compreso che anche lamia anima si spalancava facendomi provare un'ebbrezza sconvolgente, un'ebbrezza che sembrava completarmi ad esso e con la quale mi sembrava di dominare la vita, ho deciso che di diventare pianista. In quel preciso momento in cui ho preso coscienza che per me sarebbe stato vitale averci un rapporto continuo, incessante, profondo, ho preso la decisione irrinunciabile di rinnovare ogni giorno questa sensazione, ogni momento della mia giornata era impregnato di attesa, l'attesa che mi separava da quell'attimo in cui finalmente mi sarei persa davanti all'immensità che mi apriva le porte. Col trascorrere degli anni è diventato il rifugio della mia anima, un luogo dentro il quale il dolore non esiste, un luogo che mi accoglie sempre, un luogo che rappresenta la dimensione della bellezza, della fede, dell'amore, un luogo dentro il quale qualsiasi travaglio interiore trova pace, attraverso lo scorrere delle dita sui tasti bianchi e neri, creando melodie che volteggiano nell'aria,  abbandonandosi e lasciando andare via qualsiasi dolore intriso follemente di malinconia, qualsiasi malessere, qualsiasi bruttura che si possa riuscire a esorcizzare accompagnando alle mani il suono della mia voce. E anche stasera mi ritrovo qui, quale migliore rifugio per la mia anima in pezzi, le mie dita scorrono sui tasti del mio pianoforte a coda, per averlo ho posto una condizione, che non avrei accettato il lavoro; mi ritrovo a vivere la condizione a me più congeniale, la mia voce un po' rauca emette suoni malinconici, stasera, dentro questa visione in cui mi perdo, tra la gente che mi fissa, mi ascolta e percepisce il mio stato d'animo. Sono la compagna di queste anime perse che tutte le sere vengono ad ascoltarmi, di cui vorrebbero conoscere ogni pensiero, so che sia uomini che donne si sono interessati a me,evidentemente l'alone di mistero intorno a me li intriga, i miei compagni di lavoro, a volte, mi fanno arrivare i messaggi, in cui scrivono che posseggo il dono di suscitare emozioni infinite, di penetrare la loro interiorità già solo con il tocco delle mie dita sul pianoforte, perchè sembro dare voce a ogni sensazione che l'umanità intera è in grado di generare. Come se entrassi empaticamente nel loro cuore e ne comprendessi ogni battito, ogni pulsazione,ogni respiro. So che vorrebbero superare la soglia di quell'impenetrabilità, di quel muro che ho eretto tra me e gli altri, questo li rende timorosi, quasi, li spinge a cercare il modo giusto per scalfirne almeno la superficie; mi inteneriscono, a volte, i timidi tentativi di quei lenti avvicinarsi al mio pianoforte per avviare una semplice conversazione che dopo qualche minuto sono costretti a lasciar cadere, poichè quasi non li ascolto. A nulla sono valsi i tentativi di lusinga da parte di produttori artistici che mi hanno proposto,via  via, un palcoscenico più ampio, un pubblico più numeroso, esibizioni nei teatri, ho sempre rifiutato perchè avrebbero intaccato il mio rapporto con il pianoforte, ciò che realmente per me conta, è difficile capire, per gli altri, che riesco a essere sempre me stessa soltanto se ogni giorno vengo a contatto con questo strumento, attraverso il quale mi esprimo, dentro il quale mi abbandono, davanti al quale ogni sera, puntualmente, mi devo sedere, come una forza che annulli ogni mia volontà, per farmi entrare in confidenza con la mia interiorità. Solo allora sono felice. E' difficile da capire che il successo, la folla, per me non hanno valore, che il mio canto, le mie mani sono l'espressione di me, e che tutto questo crollerebbe se dovessi permettere ad altri di intromettersi, per meri motivi commerciali, in questo rapporto. Non potrei più essere ciò che sono e non potrei dare più niente di me. Dopo essere tornati alla carica varie volte, hanno finalmente desistito, lasciandomi nel mio mondo,  dentro la mia vita. Tutte le sere sono qui a rinnovare e a godere dei brividi che attraversano il mio corpo, tutte le sere parlo di me alla gente che mi ascolta e percepisco l'effetto che produco e loro mi rimandano le sensazioni, come eterni movimenti ondosi, che mi inebriano, mi inducono a dare sempre di più, a pensare che forse se uscendo andranno a fare all'amore, una piccola parte della loro felicità sarà opera mia. Ma è come se fossi sola, in questo momento, come se io cantassi per me stessa, stasera, per il mio dolore, per aver fatto l'amore con lui sapendo che era l'ultima volta, che era un addio. Mi ha detto addio baciandomi, abbracciandomi, accarezzandomi, lisciandomi la pelle. Mi ha detto addio mentre entrava dentro di me più e più volte, disegnando linee arcuate nello spazio, liberandomi il corpo dei suoni che il piacere misto al dolore mi strappava dalla gola. Mi ha detto addio mentre mi mordeva, mi assaporava, affondando nella mia carne, lasciandomi segni d'amore addosso, che vorrei si rivelassero indelebili sulla mia pelle, come lo diventeranno dentro la mia anima, vorrei si portasse attaccata una parte di me, la parte migliore che a lui ho dato. Che incanto, in questo momento poter riversare su questi tasti il dolore per le sue parole d'addio sussurrate piano, per procurare meno sofferenza, per uccidere lentamente e con una pietà inutile. Che incanto potermi ritrovare in un'irreale realtà, confondermi tra il sogno e l'illusione che niente sia vero, illudendomi di svegliarmi e rivederlo accanto a me, mentre mi stringe quasi con la paura che sia io ad andarmene via, di percepire il suo respiro su di me. Ma stanotte voglio toccare il fondo, voglio ricordare ogni attimo della mia vita trascorsa con lui, voglio che le sue risate, la sua voce calda e suadente risuonino dentro la mia testa, voglio chiudere gli occhi e immaginarmi il tocco delle sue mani su di me, un tocco che riconoscerei tra mille, un tocco che tutte le volte, mi procurava i brividi di passione. Voglio ricordare i suoi abbracci dentro i quali mi perdevo, mentre scomparivo circondata da tanta tenerezza, il suo cipiglio quando si arrabbiava e dopo riuscivo a farmi perdonare,inducendolo a cercare dentro di me, mentre a volte mi guardava con occhi guizzanti e sfavillanti di passione, occhi che solo l'amore possono rendere cosi, voglio ricordarmi di averlo chiamato amore, di aver parlato d'amore, di aver riempito parte della mia vita di questo amore. Voglio ricordarmi della sua essenza che non mi lascerà mai. E questi ricordi mi accompagnano mentre sto percorrendo i metri che mi separano da casa, l'aria è fredda e mi colpisce il viso inondato di lacrime, la neve è morbida e i miei passi non fanno rumore. Sono sola e questa notte è struggente di nostalgia, domani sera si ricomincia, come sempre, partendo dallo stesso punto.

 

 

 
 
 

A place in my heart

Post n°37 pubblicato il 12 Novembre 2015 da fugadaipiombi

Il blues languido e al contempo graffiante della chitarra di Joe Bonamassa le stava esplodendo nella testa. E voleva che esplodesse. La ricercava quella sensazione, la sensazione di accoglimento. Già,le sembrava che le note di “A place in my heart” fossero in sintonia con il suo stato d'animo e che fosse il brano adatto ad accogliere tutto il suo dolore, la sua stanchezza, la disillusione. Durante il tragitto quotidiano tra il lavoro e casa, lo aveva ascoltato ancora e ancora, infinite volte, mai sazia della sua bellezza. Era un modo per estraniarsi, per non ascoltare le solite stupidaggini, le solite frasi retoriche, la tristezza nei toni di chi pur di comunicare si mette a raccontare la propria vita al vicino di posto, un completo sconosciuto. Non vedeva l'ora di arrivare e abbracciare Marley: quell'essere dal pelo morbido e chiazzato aveva il potere di placare le sua angosce, le bastava stringerla, sentire il suo calore e la felicità che traspariva dai suoi occhi da cerbiatto che tornava a riconsiderare il significato della vita. Allora c'è un dio, si diceva, esiste il dio dell'amore, forse si nasconde al nostro cospetto perchè non facciamo niente per meritarcelo. Seguita trotterellando da Marley, si diresse verso il contenitore dei biscotti e ne cavò uno che le rubò quasi dalla mano, divorandolo in pochi secondi. Non finiva di stupirla la sua voracità.  Decise di portarla al parco. Afferrò collare e guinzaglio e  corsero giù  per le scale quasi volando, arrivando al parco in meno tempo del solito. Amava quel parco, mille volte vi aveva passeggiato insieme a Marley pensando ai suoi personaggi, a come costruirli, a ciò che voleva far dire loro. Si sentiva felice, in quei momenti, specialmente quando il cielo era plumbeo e l'atmosfera non permetteva ai pensieri di disperdersi, tenendoli racchiusi come in uno scrigno: essi rimanevano lì, intatti, sarebbero risaliti dal profondo così come li aveva generati nel momento in cui avrebbe dovuto e potuto trascriverli. E di personaggi  ne aveva tracciati, personaggi per lo più nati dalla capacità di osservazione, di attenzione. Ognuno di loro non era stato creato dal nulla, li aveva ispirati la gente che vedeva tutti i giorni e di cui studiava linguaggio, mentalità, di cui immaginava il quotidiano, con i loro sogni, frustrazioni, illusioni, speranze, scopi. Chi con la smania di vivere, chi chiuso nel proprio bozzolo, tessuto per proteggersi da tutto e da tutti. Si sedette su una delle panchine del parco che guardavano il fiume, Marley le si accovacciò ai piedi, non si allontanava mai da lei, non avrebbe mai potuto perdersi o cercare di sciogliere il loro rapporto per essere libera. Forse perchè capiva che il guinzaglio serviva solo a proteggerla e non a domarla. Aveva capito che era l'affetto a spingere la sua padrona a legarla. Marley era stata cresciuta in piena libertà, nel rispetto verso la sua natura che, secondo lei, non avrebbe mai dovuto esserle negata. Non le piacevano i cani ammaestrati, quelli che a comando ubbidivano agli ordini facendo la felicità di chi poteva dimostrare di saper domare altri esseri viventi, compresi gli umani.Pensava che cosi come si agiva verso gli animali chiunque avrebbe agito allo stesso modo verso le persone. Gli animali, specialmente quelli domestici,vanno educati non ammaestrati, ripeteva in continuazione quando gli amici o i conoscenti le facevano notare comportamenti secondo loro inadeguati. E quando succedeva pensava tra sé che avrebbero pure potuto smettere di frequentare la sua casa, non avrebbe sentito certo la mancanza di persone cui non importava capire l'umanità, animali compresi. E poi, se c'era una cosa su cui non transigeva,era la questione Libertà. La libertà è uno stato mentale, chi ne possiede l'essenza, chi ne ha compreso l'importanza e il profondo significato tende a godersela senza cercare di sopraffare gli altri. Invece intorno non vedeva altro che sopraffazione, sottomissione, gente che tentava di identificarsi in determinati gruppi o ideologie, che non sapeva portare avanti le proprie idee, anzi, che non era capace di generarle e per questo motivo si omologava. Che tristezza! sentenziò ad alta voce rivolgendosi a Marley, la quale la guardò con i suoi profondi e teneri occhi nocciola, dev'essere triste passare il tempo a cercare di sopraffare o a sottomettersi per ambizione,dev'essere triste aver bisogno di fare soldi per raggiungere ciò che si pensa possa dare la felicità. I tipi come Berlusconi trascorrono una vita grama,senza accorgersi che non sono loro dei potenti ma che è il potere a tenerli in pugno umiliandoli nella totale assenza di  gioia, di libertà, di amore. Il desiderio di potere a sua volta si generava dall'incapacità di amare. Chi li invidia costoro? si chiedeva, forse la gente povera di spirito, che crede di poter  fare ciò che vuole. La domanda giusta sarebbe: cosa vuoi veramente?Uccidere? Rubare? Stuprare? Vendere armi? E facendolo cosa ne ricaverei? Forse se ogni giorno ci ponessimo queste domande, si disse mentre era tornata ad afferrare il guinzaglio per continuare la passeggiata, si potrebbe cercare di leggere dentro il profondo e  potremmo accorgerci di essere migliori di ciò che pensiamo. Ma ci vorrebbe fatica, tanta fatica ad arrivarci, è più facile far del male che operare il bene, ecco perchè il male trionfa sempre,per la nostra stupidità, per la nostra pigrizia. Lei però era decisa a non fermarsi, avrebbe lottato tutta la vita contro l'omologazione, contro il potere, avrebbe lottato per la libertà. E per la speranza  di mettere un seme da far sbocciare  in terre apparentemente aride. Che sequela di pensieri ogni volta, cavolo, si disse. La mia mente non smette mai di viaggiare, di esplorare. Forse perchè aveva sete di vita, una sete insaziabile e che sperava rimanesse tale sempre. Chi li avesse viste da lontano avrebbe notato la loro perfetta simbiosi. Ognuna aveva insegnato e dato qualcosa all'altra. Ognuna aveva salvato l'altra. Qualcosa che aveva creato un legame indissolubile

 

 

 
 
 

Cattivi pensieri

Post n°36 pubblicato il 07 Novembre 2015 da fugadaipiombi

 Lucio Prandelli trascinava i suoi sessantacinque anni verso lo studio del suo medico curante, una donna veramente bizzarra e forse per questo motivo gli piaceva, che somigliava vagamente all'Anita Ekberg di oggi, quella con il carico di anni non portati bene, una considerazione che aveva fatto dopo averla intravista tempo prima alla tv ed era rimasto folgorato dal suo radicale cambiamento: si era chiesto cosa ne era stato l'attrice della 'Dolce vita', della sua strepitosa bellezza, di quella meraviglia che si faceva il bagno dentro la Fontana di Trevi, il seno prorompente messo in evidenza da quel magnifico decolletè nero, davanti a un incantato Marcello Mastroianni. Ogni uomo, ragazzo, adolescente di allora, avevano fattodi lei l'icona della femminilità e forse quella scena faceva sicuramente sognare e scatenare l'immaginario maschile che vedeva ancora in lei, nei pochi minuti di pellicola da cui era nato il mito rimanendovi incastonato come un prezioso gioiello, l'incarnazione stessa della seduzione. Laura, questo il nome del medico, lo accoglieva sempre con l'espressione che emanava letizia, si conoscevano da anni, eppure non erano mai entrati in confidenza, forse perchè Lucio non le aveva mai offerto l'occasione di trovare un appiglio per permetterle di entrare nel suo mondo. Ormai amava definirsi un vecchio misantropo, gli piaceva godersi l'idea che presto sarebbe andato in pensione, dopo aver vissuto la sua vita all'insegna del lavoro che lo aveva impegnato e lo impegnava ancora molto, dei viaggi in giro per il mondo, delle varie storie o relazioni e delle avventure alle quali mai si era sottratto. Aveva cercato, però, di non trasformarle in vere battaglie, provando a comportarsi molto correttamente, senza imbrogliare, restando magari in buoni rapporti. Non gli piacevano gli strascichi dolorosi, quindi aveva prestato molta attenzione a non scatenare le passioni, per poter continuare a vivere la vita che più gli aggradava. Non si era appositamente sposato per poter mantenere la propria libertà, pensando di non essere tagliato per il matrimonio e la fedeltà. Come mestiere faceva l'avvocato divorzista e, nel corso degli anni, aveva visto molte coppie annegare nei fallimenti, sbranarsi davanti ai figli, che li guardavano come degli ebeti ormai distrutti dal loro egoismo, tanto da non riporre nessuna fiducia all'eventualitàdi una convivenza, dovuta appunto a un contratto stipulato, sapeva di dovere e non piacere. Lucio aborriva tutto ciò che da piacere si trasformava in dovere, ragion per cui aveva preso la decisione di non cadere in nessuna trappola matrimoniale. E non era affatto pentito. Aveva vissuto intensamente e ora amava il silenzio, la pace, la tranquillità, specialmente quella che aleggiava nella sua casa di campagna, dove spesso si rifugiava, dedicandosi al giardinaggio, ai suoi fiori, che curava personalmente. In certi momenti si sentiva come Nero Wolfe, il personaggio nato dalla fantasia dello scrittore Rex Stout, un uomo che coltivava orchidee e che risolveva casi di omicidio senza muoversi di casa. Quando era ragazzo aveva letto ogni pubblicazione che aveva reperito su questo strano tipo, si era anche appassionato alla riduzione televisiva che la Rai aveva prodotto, una serie riuscitissima, con attori del calibro di Tino Buazzelli e il giovane di belle speranze Paolo Ferrari. Ricordava perfettamente il suo disappunto nell'immaginare quell'uomo alle prese con le sue orchidee, senza la minima curiosità di vedere il mondo con i propri occhi. Ma oggi aveva capito che non era per forza necessario vedere con i propri occhi, che bastava conoscere l'umanità per poter dedurre, aveva capito anche il perchè di quel suo volontario isolamento, la prospettiva dell'età, da giovani, è inimmaginabile, l'età che cambia modi di vedere, di essere, che acuisce alcuni aspetti e toglie importanza ad altri.


A volte stava giorni interi senza uscire di casa; Angela, la donna che veniva a fare le pulizie, era talmente efficiente da sollevarlo dalle molte incombenze quali la spesa, il pagamento di bollette, la ricerca di idraulici, qualora servissero, di imbianchini o di operai che potessero risolvere i piccoli problemi domestici. Molti di costoro erano anzi suoi parenti o conoscenti, in certi momenti lo aveva sfiorato il pensiero che si facesse pagare una percentuale fissa per aver procurato loro quei lavoretti e, sapendo quanto lo avrebbe indispettito scoprire che Angela faceva la cresta, aveva deciso di non indagare a fondo o la stessa avrebbe rischiato il licenziamento in tronco. Quindi aveva saggiamente preferito far finta di niente e  affidarsi alle sue mani, la conosceva da troppi anni, era meglio di una moglie, perchè non lo scocciava e a un certo orario lasciava la sua casa. Si strinse dentro il suo vecchio loden verde, un brivido di freddo lo aveva scosso. Si sentiva ancora febbricitante e la tosse lo tormentava, sopratutto la notte,impedendogli di dormire. Era datato, come cappotto, ma ci era talmente affezionato che ancora lo portava a dispetto del fatto che ormai fosse fuori moda. Anche questa, pensava, è una mania dei vecchi, quella di non buttare via mai niente, neanche i capi ormai fuori moda o quegli oggetti che ancora funzionavano perfettamente che la gente si ostinava a sostituire in nome della modernità, di uno svecchiamento che, era convinto, portasse ad allontanare l'incubo di una vecchiaia ormai alle porte, preludio di una fine che non avrebbe risparmiato nessuno. Esisteva una democrazia, dopotutto, si diceva, almeno in questo. Un pensiero non del tutto consolatorio ma si accontentava. La sala d'attesa era quasi deserta in quel pomeriggio di gennaio, accanto a lui soltanto un'altra paziente e, nell'androne antecedente alla saletta, stava lasegretariacentralinistatuttofare che ogni studio medico che si rispetti assume cercandole con il lumicino, si, poichè erano una più strana dell'altra. Nel silenzio che regnava, non si poteva fare a meno di ascoltare le telefonate che riceveva e si meravigliava dell'esistenza dei molti argomenti futili dei quali parlare, o meglio, spettegolare. Uno dei motivi per cui odiava recarsi in studio. Avrebbe preferito le visite a domicilio, ma oggi nessun medico si sposta più, a meno che tu non stia quasi per'morire'. E forse neanche allora, perchè in quel caso sarebbe arrivata la guardia medica. Nel trascorrere dei minuti, però, qualcuno cominciava a farsi vedere. La cosa si faceva interessante, avrebbe potuto cosi ammazzare il tempo cercando di studiare i vari elementi che si sarebbero presentati, avrebbe svolto quell'indagine con vera crudeltà, divertendosi, scatenando l'immaginazione, dipingendo i ritratti di ognuno con la maestria di chi scrive opere satiriche, mettendo sul palcoscenico dei veri e propri 'mostri'. Era il suo passatempo preferito, cui dava vita soltanto nella sua testa,senza per altro condividere con nessuno il piacere che gli procurava questo sport. Era certo di non essere il solo a praticarlo e molti scrittori avevano sicuramente costruito la personalità dei loro protagonisti osservando la gente comune, la gente reale, prendendo spunto, di volta in volta, da coloro che avevano attirato la loro attenzione per un qualsiasi motivo. Era altresì certo che a volte si sentiva la necessità di essere 'cattivi', per protesta, per rabbia, per frustrazione, per sfogo. E la signora appena entrata, di spunti per i suoi 'pensieri cattivi', gliene aveva offerti parecchi. Aveva scelto Laura come medico curante perchè il giorno che si era presentato all'ASL aveva notato l'indirizzo, conosceva molto bene il palazzo in cui lei aveva aperto il suo studioperchè anni prima vi si era incontrato con un cliente che ci abitava, il signor Beconi, al primo piano.

 



Gli piaceva, quel vecchio palazzo, ormai più che secolare, sito presso una via che collegava piazza Santa Maria Novella a piazza del Duomo, gli piacevano quelle pareti che sapevano di antico, l'androne di ingresso, con le sue piante e quel divano che ricordava i salotti del secolo precedente. Negli edifici di costruzione moderna non vigeva quell'atmosfera accogliente, gli androni erano piuttosto asettici, anzi, a volte lo metteva a disagio entrarvi all'interno, lo avvolgeva sempre un senso di smarrimento. Amava i palazzi di quel tipo proprio perchè la struttura non era stata toccata, davano una rinfrescatina ogni tanto, ma nulla, niente della struttura originale era stato cambiato. Soltanto dall'ascensore si evinceva che la modernità era arrivata. Il pavimento dello studio, nel camminarvi sopra, vibrava ogni volta chela segretariacentralinistatuttofare si muoveva velocemente, sembrava stesse per sopraggiungere il terremoto. Si accedeva allo studio di Laura attraverso una porticina la cui maniglia, una maniglia piccola in ottone ormai ossidato, mai lucidato abbastanza da tornare al suo stato originale e che sembrava inafferrabile, lo metteva sempre indifficoltà al momento di chiuderla dietro di sè: infatti ci riusciva al terzo o quarto tentativo. Si chiedeva come mai non l'avessero mai cambiata o magari fatta aggiustare. Si rischiava di farsi male e le prime volte era successo. Aveva però scoperto il trucco e ora era lui a fregare la maniglia. Un ghigno intanto era comparso sul suo viso, beffardamente, rivolto a tutti quegli iniqui pensieri che gli affollavano la mente, aveva temuto che qualcuno se ne accorgesse, cosi aveva cercato di non darlo a vedere. Avrebbe rivolto la propria attenzione altrove e infatti, mentre se ne stava seduto ad aspettare il suo turno, osservava l'altra porticina, quella della toilette, se non fosse stato per la serratura, non si sarebbe neanche notata. A volte, per non annoiarsi, immaginava che dalla porticina si accedesse a un passaggio segreto che magari nel medioevo era servito ai fiorentini di una delle fazioni in cui si divideva la popolazione, guelfi e ghibellini. Ed è vicino a quella porticina che la donna appena entrata si era seduta, proprio di fronte a lui. Il suo sguardo cadeva continuamente sul suo viso, cercava di distrarsi, di far cambiare la direzione di quello sguardo indagatore da sempre, ma non ci riusciva, puntualmente era lì, puntato sfacciatamente verso di lei. E come si poteva fare a meno di guardarla? Sembrava un vero e proprio fenomeno da baraccone, una di quelle donne opulente che attiravano spettatori per la mostruosità del loro aspetto e non perchè avessero qualche deformità o cicatrici, no, soltanto perchè mettevano in ridicolo, pesantemente, i loro difetti. Ecco che la crudeltà stava per scatenarsi, stava per pregustarsi il suo divertimento preferito, generare cattivi pensieri. La signora in questione era, innanzitutto, notevolmente in sovrappeso, il suo girovita, nel guardarla di fronte, superava la larghezza delle spalle, le braccia, a causa della sua pingue corporatura, non riuscivano a posarsi lungo i fianchi, rimanendo come sospesi in aria. Il cappotto che aveva addosso non le si chiudeva neanche. Non riusciva a definire la sua età, tra i 50/55, ma avrebbe potuto benissimo essere più giovane, non se ne sarebbe stupito. Ovviamente la cosa più straordinaria del suo aspetto era il viso: intanto le sue labbra sembravano due canotti gonfiati che avrebbero potuto scoppiare da un momento all'altro, se punti da uno spillo ad esempio, caricati da uno spesso strato di rossetto rosa che le metteva ancora più in evidenza, gli zigomi e le guance erano anch'essi gonfi, la pelle non liscia, come se in gioventù l'acne le avesse lasciato i segni, Lucio pensava fosse stata picchiata o avesse fatto una di quelle orribili operazioni per aumentare il volume delle gote che, con il passare degli anni, si affloscia.


 

I capelli erano lunghi e tinti di biondo platinato, dalla radice fino a metà lunghezza erano unti di grasso e si attaccavano al cuoio capelluto, cambiando persino colore. Lucio venne percorso da un brivido all'idea di toccare quei capelli, che uomo sfortunato, chiunque esso sia, pensò, sempre che avesse un marito o fidanzato, cosa di cui dubitava, a meno che qualcuno appartenente al suo stesso genere non fosse impazzito o possedesse il gusto dell'orrido. Certo ci voleva uno stomaco forte ad averla continuamente davanti o a svegliarsi con lei accanto, non era difficile immaginare quale sarebbe stato il suo aspetto al suonare della sveglia. Ma la cosa che più lo sconvolgeva non era la sua 'mostruosità', no, erano quei suoi occhi, assenti, occhi che fissavano un punto e sembravano non muoversi neanche per chiuderele palpebre. In definitiva gli ricordava quel personaggio di un cartone animato della Disney, Ursula, la megera - polipo che voleva rubare la voce alla Sirenetta. Nei venti minuti in cui era rimasto seduto davanti a lei, la signora non aveva girato lo sguardo, non si era mossa, non aveva scambiato una parola con gli altri che, nel frattempo, erano arrivati. Sguardo assente e assenza di pensieri? Lucio pensava a come la gente non solo non faceva niente per curare la propria salute, il proprio aspetto, ma addirittura ne peggiorava le condizioni mettendosi cosi in ridicolo. Bastava farsi un giro in città per constatare il degrado avvenuto nel corso degli anni. Non era certo un fanatico della bellezza, non si sentiva un esteta ma, diosanto, la trasandatezza, la trascuratezza erano segno di abbandono, di quel lasciarsi andare mentalmente di cui il corpo pagava poi le conseguenze. Non per niente gli antichi romani dicevano 'mens sana in corpore sano', quando un corpo è malato è segno che anche la mente lo è. Finalmente Laura si era liberata e anche lui, per fortuna, di quella vista, abbandonando cosi quei lugubri e cattivi pensieri. Era cosciente che, pensando in modo cattivo, alla fine, il divertimento gli avrebbe nuociuto. Laura, adesso, avrebbe accolto un Lucio molto più disponibile, poichè, nel raffrontarla alla donna dalle labbra a canotto, il suo medico le sarebbe sembrata quasi bella.

- Carissimo Lucio, che piacere rivederla....quanto tempo...                   Al suono della sua melliflua voce, la sua fantasia si scatenò immediatamente e immaginò di essere un serial killer che mette a tacere la scocciatrice solo per il piacere di chiuderle la bocca recidendole di netto la giugulare. Ma chiudendo la porta non potè fare altro che rispondere altrettanto mellifluamente: - Cara dottoressa....                                                                                                                 - Ancora con questi formalismi! - lo interruppe alzandosi e girando intorno alla scrivania per salutarlo come si deve - mi chiami Laura, non è così difficile...glielo chiedo da tanto tempo...                                                                 Quello che doveva essere un sorriso si era trasformato in un ghigno mostruoso mentre la vedeva avvicinarsi e gli sembrò di avere davanti il polipo - megera. Mio dio! pensò tra sè, spero di non avere un incubo stanotte. Si lasciò abbracciare senza ricambiare l'abbraccio. Le sue enormi tette premevano contro il suo petto sentendosi mancar il respiro. La respirazione riprese  il suo ritmo regolare appena sciolto da quella morsa quasi mortale, si lasciò cadere sulla sedia, ormai prigioniero dei suoi tentacoli.

 

 
 
 
 

Uomini

Post n°35 pubblicato il 06 Novembre 2015 da fugadaipiombi

Gli uomini. L'altro sesso. Quello dominante, che ancora non ci considera alla pari e forse non succederà mai, in linea di massima. Ovviamente esistono le eccezioni. Ma sono solo eccezioni. Eppure sono affascinanti, intriganti, capaci di grandi slanci, capaci di lottare, di vedere la poesia anche in mezzo allo squallore, di farsi chilometri per raggiungere ciò che desidera possedere. L'uomo, sempre alla conquista di qualcosa, fa parte della sua natura. Gli uomini mi affascinano proprio per la loro natura: a volte penso che le donne siano noiose, che cicaleccino troppo, che pretendano di trasformare chi sta loro accanto e non accettino invece la realtà e cioè che essi sono più semplici e che il loro scopo reale non è l'amore, il possesso, la famiglia, no, il loro scopo è soddisfare la propria natura, ovunque essa porti. Essi conquistano e, dopo aver conquistato, hanno urgenza di tornare a farlo e non per conquistare qualcosa alla quale tengono realmente, ma per il piacere della conquista, nient'altro. Perchè solo questo li fa sentire veramente uomini. Infatti l'oggetto della conquista perde subito valore, immediatamente dopo. Anni fa ho assistito allo sproloquio di un collega che asseriva e sottolineava una cosa per lui basilare nei rapporti con le donne: era lui a cacciare, lui a ghermire la preda, lui a tentare di prenderla, di farla sua. Se la preda  avesse anche solo tentato di eguagliare quel ruolo, di ritrovarsi in quel ruolo, il suo interesse sarebbe venuto meno. Quindi il valore della persona conta ben poco. In fondo rimangono dei primitivi: territorio, cacciagione, controllo, potere. La famiglia stessa rappresenta l'alibi per sfogare ed esercitare il potere, il controllo, l'alibi per sentire l'odore del sangue di animali squartati, uccisi per  provvedere alla famiglia. Onorevole, certo, ma non sogniamoci neanche di pensare che ci siamo civilizzati, che l'evoluzione ha fatto il suo corso, non è cosi. Specialmente negli uomini. Già, perchè essi tendono a non permettere l'evoluzione di noi donne, per paura, forse, per quell'atavica paura di perdere il potere, e noi cosa facciamo, invece? Invece di far capire loro che il potere non ci interessa e che anzi è sbagliato esercitarlo, ci comportiamo in modo peggiore. Sì, peggiore, perchè non essendo avvezze lo esercitiamo male, facendo errori più gravi di loro che ad esercitarlo sono abituati e quindi più obiettivi. E le quote rosa? Vogliamo dirlo apertamente, un'offesa all'intelligenza, alla dignità, al pensiero. In Parlamento io voglio la gente onesta, non una quota per le minoranze, coloro che contano poco, al posto della Santanchè avrei preferito un giovane ancora non corrotto dal sistema che avrebbe tentato di cambiarlo grazie all'onestà. Così oltre al danno la beffa. Il valore umano, dunque, in questo marasma, non ha senso. E questo ormai è assodato, la gente di valore non fa strada, vanno avanti i ruffiani, coloro che si vendono, perchè dall'altra parte c'è chi ama comprare, li fa sentire potenti, non so se si comprenda l'antifona. Invece di porsi come obiettivo il migliorare, si mettono nei punti salienti le mele marce per attaccare tutto il cesto. Anzi, di solito i migliori, coloro che vorrebbero avere giustizia, che combattono per la libertà, che sono fedeli alla morale vengono uccisi e di esempi ne abbiamo a iosa. Questa era un po' una premessa per giungere al motivo che mi ha ispirato questo post. Esistono uomini, su questa terra, che si credono evoluti, che pensano di avere visto e provato tutto. Uomini che parlano tranquillamente delle loro storie di letto pur essendo sposati e con prole davanti alle colleghe. Lo fanno perchè amano vantarsi o per scandalizzare o ancora per arrivare all'eccesso. Per suscitare interesse o per sottolineare che loro possono tutto. Fossimo noi, al contrario, a raccontare apertamente in ufficio, ad esempio, delle nostre storie sia passate che presenti, non omettendo nessun dettaglio, specialmente se sposate, verremmo tacciate come donne volgari, come 'troie' e povero quel marito che si prende le corna! Già, loro sono dei ganzi noi delle vere puttane! Ho un collega che potrebbe rientrare in questo scenario. Un uomo dall'intelligenza superiore alla media, ha una compagna e due figli, non è bello ma è un gran bel tipo, ha fascino e modo. Non disdegna di raccontare apertamente le proprie avventure ma non lo fa per vantarsi, solo per scherzo. Tiene un libro su cui scrive i nomi delle donne con le quali è stato a letto. Non giudica, non gli ho mai sentito uscire dalla bocca termini come 'puttana' o 'troia', per lui le donne hanno gli stessi diritti che gli uomini e se gli chiedi come la prenderebbe se sapesse che la compagna lo tradisce, fa spallucce, se succederà si vedrà, risponde. Tra me e lui c'è uno strano rapporto: non posso negare di trovarlo affascinante, sopratutto quando comprende al volo tutto nel momento in cui gli sottoponi un problema, tende a sdrammatizzare, a risolvere i problemi piuttosto che crearli, lo potrei definire un pacifista, non certo nel senso completo e profondo della parola. Non considera brutta nessuna donna, a differenza di altri, si comporta come un gentiluomo e non lo senti mai denigrare nessuna perchè scialba o anonima. E questo gli fa merito. Umiliare le persone in qualsiasi contesto o ambiente è terribile. Per quanto riguarda me, ritengo di essere una persona piuttosto schiva, solitaria, non amo la confusione e lo stare in mezzo a troppe persone mi stanca. Il rapporto con lui quindi era molto sporadico. Un giorno, dopo un bel po' di anni dall'avvenuta conoscenza, chiama al mio telefono e gli rispondo con una voce sensuale, secondo lui - secondo me mezza assonnata - tanto da faticare ad associare la voce alla persona. Rimane interdetto, da quel momento mi guarda con altri occhi, inizia una specie di gioco, qualcuno mi riferisce che durante una conversazione ha ammesso candidamente che gli piacerebbe avere un rapporto intimo con me perchè pensa che 'a letto potrei dare tanto'. La cosa mi lusinga, per il semplice motivo di avere una quindicina d'anni più di lui e perchè non si può non provare piacere nell'essere desiderate, penso sia umano, una cosa comune a tutti. Ovviamente anch'io mi presto al gioco e ogni tanto lancio una battuta. E' piacevole, il gioco, condotto da entrambi con signorilità. Fatto è però che, siccome amo studiare l'umanità, questa specie così rara, ieri ho deciso di cercare la dimostrazione a un pensiero che ho maturato ormai da tempo. Ho aspettato l'occasione e ho deciso che i tempi erano maturi nel momento in cui l'ho trovato da solo in ufficio, nel tardo pomeriggio, parte cruciale della giornata in cui aumentano le possibilità di cogliere qualcuno in un momento di piena vulnerabilità. In un attimo decido di attuare il piano, di effettuare l'esperimento a sua insaputa, ovviamente. Cerco di tenerlo tranquillo parlando di lavoro e a un tratto, mentre sto per andarmene, gli chiedo: 'Ma quand'è che ti decidi a sbattermi dentro un ascensore? Come in 'Attrazione fatale....'. Un uomo libero, evoluto, avrebbe reagito subito con un 'Quando vuoi', un uomo così avrebbe capito al volo, conoscendo un po' la persona, che non poteva che trattarsi di una frase pronunciata per scandagliare, per mettere alla prova, un uomo simile avrebbe risposto pan per focaccia senza mostrarsi minimamente allarmato o in pericolo - per cosa, poi, non si capisce - forse per quell'atavica paura basata su una sensazione di angoscia strisciante che l'insondabile ci procura. Mi sarebbe piaciuto avere una telecamera per immortalare la sua espressione, la stessa di chi si trova all'interno di uno stargate e non sa cosa fare, stritolato dalla primitiva paura istintiva di un pericolo imminente. Ergo, l'ho messo in difficoltà, da cacciatore si era sentito preda e non si è trovato preparato. Molte volte ho palesato il mio pensiero riguardo le avances maschili, a come spesso ci mettono in difficoltà, a come ci lasciano interdette, sopratutto per i modi usati. Mentre mi lusingano la corte giocosa, gli apprezzamenti delicati, gli sguardi discreti, mi infastidiscono gli approcci aggressivi, volgari, troppo diretti, come lo sono stata io con il collega. E per quale motivo io, perchè donna, devo considerare normale il comportamento maschile mentre se sono io a mettere in atto un attacco frontale non può essere accettabile? Tra ricerca e domande, tra elucubrazioni più o meno legittime, conclusioni logiche, arrivo a una deduzione anch'essa logica: siamo degli esseri ancora primitivi, la storia, l'evoluzione l'hanno fatta in pochi, quei pochi nati con il germe del pensiero e della libertà dentro, il resto è tutta omologazione, un modo di vivere che regala sicurezza, che spinge a comportamenti analoghi e quindi porta a non porsi domande o a cercare risposte. Alfine gli uomini stanno bene dove si trovano, all'interno del sesso dominante e noi donne stiamo bene sottomesse, cosa che ci meritiamo perchè in pochissime ho riscontrato lo stesso germe, quello che alberga dentro di me e di cui mi fanno pagare uno scotto più le donne che gli uomini. Vivo nella più totale solitudine intellettiva e i miei compagni migliori sono i libri, da cui ottengo più comprensione che in una sera sprecata a cena a non parlare di niente. Mi piacerebbe però incontrare un uomo che mi rispondesse: 'Quando vuoi' senza paura. 
 

 
 
 

Tom Waits e il suo delirio

Post n°34 pubblicato il 05 Novembre 2015 da fugadaipiombi

E' l'una del mattino. Di solito a quest'ora sono sempre sveglia, non riesco mai ad andare a dormire in un orario decente. E' più forte di me. Amo la notte, sento di più la notte, chiamatelo capriccio, ma queste sono le ore in cui mi sento selvaggiamente più viva. Ma è intorno all'una, intorno a quegli istanti, che comincia il pericolo, in cui mi sento risucchiare dentro una voragine, lentamente, il momento più tremendo per me, poiché molto spesso ci cado dentro, completamente e devo riuscire a salvarmi, a sopravvivere alle rocambolesche cadute che compio. Ho imparato a combattere quest'ora cosi funesta, ho imparato un trucco, che metto sempre in atto quando arriva il momento: sciolgo le briglie  alla mia immaginazione, non voglio farmi risucchiare e cosi mi aggrappo ad essa e ricreo, come in un film, una sceneggiatura, accompagnata da una scenografia. E' diversa, ogni volta, l'immaginazione possiede il grande pregio di non conoscere limiti, ogni angolo del mondo è mio, dunque, ogni amore diventa reale, ogni paesaggio, ogni arredo o drappeggio, ogni vestito costoso che con la fantasia faccio mio, ogni scarpa dal prezzo vertiginoso, tutto il benessere e la felicità di questo mondo sono miei. Stanotte si tratta di un pianoforte nero attaccato alla parete, fumo da far piangere gli occhi, sedie in legno sparse dappertutto o vicino ai tavolini, esseri umani persi nella tristezza della melodia che si evoca dal pianoforte, chi ha bevuto più di quanto riesca a sopportare per uscire dalla porta con le proprie gambe, ammorbando il povero barista che non può cacciare via un cliente, che cosi finge di ascoltare i suoi guai, una donna cerca di svegliare l'uomo che le sta accanto perché, secondo il suo orologio, è arrivata l'ora di andare via. I camerieri raccolgono qua e là bicchieri sporchi, atmosfera trucida di un sabato sera per chi aveva voglia di languire e perdersi dentro questo locale aperto fino a tardi e che non caccia via mai nessuno, alla parete dietro la cassa è appeso in bella vista il permesso speciale che gli consente di rimanere aperto fino a quando le ore si sono fatte veramente piccole per accogliere chi vuole dimenticarsi di esistere, di soffrire, di dover vedere un nuovo giorno sorgere, uguale agli altri, uguale a ieri, a oggi e cosi sarà domani. Ogni essere umano che frequenta quel locale è lì per illudersi, anche se solo per qualche ora, spera che invece l'indomani possa essere diverso, che qualcosa porti un raggio di sole. Mi sono intrufolata tra queste vite, stanotte, per sentirmi meno sola, per illudermi anch'io, l'illusione è meglio che niente e, mentre ascolti quella voce rauca per le troppe sigarette fumate, senti la tua anima in pezzi in simbiosi con colui che canta questa canzone, che si trascina verso il cuore della notte e ti sembra di leggere dentro di lui, certo, con l'immaginazione si riescono a penetrare i pensieri di chiunque, leggi dentro le loro anime e spesso vi ritrovi le stesse cose, gli stessi desideri, gli stessi sogni, le stesse frustrazioni, gli stessi problemi quotidiani. E' facile leggere dentro l'anima del pianista, i suoi pensieri sono semplici, immediati, sta pensando quanto gli piace l'idea che appena sarà fuori da lì, entrerò in un letto caldo, caldo e profumato di lei, un profumo delicato di saponetta d'altri tempi e per un attimo, solo per un attimo, lei si sveglierà, gli chiederà l'ora allungando il braccio per toccarlo e gli si rannicchierà accanto dolcemente mentre gli farà notare che è tutto freddo, invitandolo a scaldarsi con il suo corpo. Le sue mani pestano lentamente i tasti del piano, ora, è stanco, vorrebbe già trovarsi sotto le coperte, la melodia langue, forse è arrivata l'ora anche per lui di smettere di ascoltare le illusioni altrui e di guardare la sua realtà che lo aspetta dentro quel letto caldo di cui sopra. Scuote leggermente la testa e chiude gli occhi come per assaporare meglio ciò che avverrà dopo aver chiuso il suo pianoforte, essersi coperto bene con sciarpa e giubbetto, inforcato il cappello e accesa l'ultima sigaretta mentre, nel freddo della notte, percorrerà i metri che lo separano da quell'ultimo pensiero che lo ha attraversato, mentre pestava quei tasti per l'ultimo brano prima di andare via. Nella mia immaginazione gli vedo compiere ogni gesto che prima aveva sognato, godere del contatto del suo corpo caldo, le sue mani la cercano, cercano le sue morbide forme, percepisce il calore e lei che mugola per il piacere provocato dalle sue carezze. Ma è un film, questo, quindi, a questo punto, la scena si chiude, per pudicizia, sapete, per ricominciare da dove l'avevo lasciata, dentro il bar, che ormai sta chiudendo i battenti, tentando di far andare via gli ultimi clienti. Anch'io devo andare, ma prima devo sapere una cosa e so a chi la posso chiedere. Cerco di bloccare il ragazzo con il vassoio pieno di bicchieri sporchi, di cui alcuni in posizione precaria, raccolti dai tavoli ormai vuoti per porgli la mia domanda, mi guarda seccato, teme per i bicchieri e poi è tardi, ha voglia di andare a casa, solo un attimo, ti prego, voglio sapere come si chiama il pianista, ah quello, Tom Waits, si chiama cosi, lo conosco appena, viene ogni tanto. Socchiudo gli occhi per un istante, bruciano per il fumo, vado via anch'io, credo che tornerò in questo locale, quel pianista mi ha toccato l'anima! E' l'una del mattino e anche questa notte l'immaginazione mi ha salvato dalla voragine.

 
 
 
 
 

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