Il Lampione

Parole, traduzioni, riflessioni


“Io vendo insulti”, confessava Ambrose Bierce in uno dei momenti, non rari, in cui il suo furore cinico si rivolgeva contro se stesso. Bierce, giornalista e scrittore fu una penna velenosissima; bersagli preferiti sono stati gli uomini, le istituzioni, le parole. Nella presentazione dell’edizione del “Dizionario del diavolo” Guido Almansi scriveva: “La parole, ah, quelle poi arroccate nel vocabolario fonte screditata di ogni nefandezza, le parole fingono di essere strumenti di comunicazione mentre sono in realtà organi di mistificazione. Ogni nuova voce che si insinua in un già corrotto dizionario per arricchire la fraudolenza purulenta aggiunge nuove ipotesi di inganno, di gabbo, di imbroglio alla nostra lingua mendace. L’uomo non è un animale culturale: è una animale culturalmente perverso che non ha bisogno di mentire perché la lingua che lui adopera ha già mentito per lui”. Certo il giudizio di Almansi, presentando un libro che ha fatto della mistificazione della parola la sua ragione d’essere, è abbastanza paradossale. Ma le parole possono avere in sé davvero cariche esplosive di verità e di menzogne. Si pensi, poi, alle traduzioni. A quanto si perde nel leggere testi tradotti che, nella versione originale avevano un’altra enfasi, carica, significato. Sempre riferendoci a Bierce, che aveva una passione per le frasi funebri si da scrivere il suo necrologio come prima cosa quando entrava in un giornale, una volta compose l’epitaffio funebre del direttore del suo giornale. Approfittando della sinonimia tra il verbo “to lie”= mentire e “to lie”= giacere, Bierce così scrisse: “Here lies Frank Pixley, as usual”, cioè “Qui giace/mente Frank Pixley, come sempre”. Egli aveva accusato quel direttore di non aver tenuto fede ad una promessa di matrimonio. Si lasciarono presto e non diventarono mai amici. Chiudiamo con Bierce riportando la mia voce preferita del dizionario, anch’essa straordinario esempio di utilizzo sintetico di alcune parole per esprimere un giudizio. Pregare: “Pretendere che le leggi dell’universo vengano annullate a favore di un singolo postulante, il quale se ne confessa del tutto indegno”.
Si prenda un altro grande maneggiatore della parola: François de La Rochefoucauld. Nella traduzione delle sue stupende Massime a volte incorriamo in discrasie linguistiche. Consideriamo le parole “esprit” o “coeur”. La massima “Tutti coloro che conoscono il loro spirito non conoscono il loro cuore” ci appare incisiva, plastica, diretta. Ma il particolare uso di spirito/esprit ci è estraneo; così come i cambiamenti subiti dalla parola cuore/coeur nel corso della sua storia più recente; il rischio è quello di confonderci e di leggere il cuore/coeur di La Rochefoucauld come se fosse il cuore/coeur dei romantici.
Concludiamo con un altro capolavoro della letteratura americana Moby Dick di Herman Melville. A proposito di una interessantissima dicotomia, l’autore si diverte a scherzare e paradossare tra destra e sinistra. A parte le infinite considerazioni che si sono sempre fatte tra tale distinzione, è curiosa quella posta in essere da Melville. Nel libro il profeta straccione Elia, mette in guardia Ismaele, che non ha ancora visto Achab. “Non l’avete ancora veduto?”. “No, non ancora. E’ malato, dicono, ma sta meglio è sarà di nuovo a posto (right) tra non molto”. “Di nuovo a posto tra non molto!” rise lo sconosciuto con un sorriso solennemente sprezzante. “Sentite: quando il capitano Achab sarà dritto (right) allora sarà dritto (right) anche il suo braccio sinistro, non prima”. Nella versione italiana il gioco di parole tra right e left va perduto: Pavese ne avverte con una nota a piè di pagina. Il linguaggio oscuro di Elia vuol dire che Achab sarà un uomo come gli altri quando la sinistra sarà diventata la destra.