Il Lampione

Televisione, proroghe, regali


Vi ricordate il tanto vituperato programma dell’Unione alle elezioni politiche del 2006? Si, quel
libricino di 281 pagine molto semplici che avrebbe dovuto essere la garanzia della tenuta della coalizione di centro-sinistra qualora avesse vinto le elezioni? Quel fondamentale testo aveva come titolo “Per il bene dell’Italia”. Il primo capitolo trattava de “Il valore delle Istituzioni Repubblicane”. A pagina 18 di esso c’era un paragrafo intitolato “Risolvere il conflitto d’interessi”. Nella premessa di quel miliare scritto così si enunciava: “Da quando Berlusconi è entrato in politica il conflitto di interessi ha costantemente segnato la vita pubblica italiana. Ogni settore dell’iniziativa di Governo è stato viziato dal conflitto di interessi: dall’informazione alle assicurazioni, dalle opere pubbliche alle società sportive. Un opaco intreccio tra politica e affari. Anche gli osservatori internazionali hanno segnalato, a più riprese, questa grave anomalia della democrazia italiana. Il governo (quello Berlusconi ndr) ha risposto con una legge-simulacro sul conflitto di interessi che concretamente non modifica nulla, lasciando che il conflitto di interessi venga affrontato con le estemporanee uscite di Berlusconi dal Consiglio dei Ministri al momento dell’ennesimo voto su questioni di suo personale interesse.” Si continuava formulando le proposte per risolvere il problema. “Dobbiamo quindi colmare una profonda lacuna, adeguando l’ordinamento italiano a quello di altre grandi democrazie occidentali, attraverso un modello di provata efficacia e di sicuro equilibrio che mira
a prevenire l’insorgere di conflitti di interessi tra gli incarichi istituzionali (sia nazionali che locali) e l’esercizio diretto di attività professionali o imprenditoriali o il possesso di attività patrimoniali che possano confliggere con le funzioni di governo. Gli strumenti che utilizzeremo sono: la revisione del regime delle incompatibilità; l’istituzione di un’apposita autorità garante; l’obbligo di conferire le attività patrimoniali a un blind trust. Sarà fonte di conflitto di interessi il possesso, diretto o per interposta persona, di partecipazioni rilevanti in alcuni specifici settori economici nei quali tale possesso determina di norma e quasi inevitabilmente un condizionamento del libero svolgimento della funzione pubblica.” Finalmente avevamo sospirato, noi poveri elettori di centro-sinistra! Stavamo per seppellire il predominio del Cavaliere nell’intero panorama dell’informazione televisiva. C’era già stato il vergognoso editto bulgaro che cacciò dalla RAI Biagi, Santoro e Luttazzi. Lontani ci sembravano gli inciuci della bicamerale al sapor di crostata. Finalmente si intendeva metter mano ad una seria riforma del settore radio-televisivo che desse anche attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale, la n. 420 del 1994, la quale aveva sancito il divieto ad uno stesso soggetto di irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale. Comincia la storia infinita. Il primo governo Prodi (strane coincidenze) approvò la legge n. 249 del 1997, cosiddetta legge Meccanico, che demandava all’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di fissare un termine transitorio per una valutazione di congruità tecnica dei tempi di passaggio al regime definitivo del digitale terrestre. L’Autorità, nel 2001, fissava tale termine nella data del 31 dicembre 2003. Nel novembre del 2002 si pronuncia ancora la Corte Costituzionale con la sentenza n. 466/2002. Essa sancisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 7, della legge n. 249/1997, (regime transitorio), nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassasse il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi, irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso art. 3, devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo. L’ultimo governo di centro-sinistra prima dell’era di Silvio II, quello presieduto da Giuliano Amato (ancora coincidenze), fa approvare la legge 20 marzo 2001, n. 66 che prevede che “Le trasmissioni televisive dei programmi e dei servizi multimediali su frequenze terrestri devono essere irradiate esclusivamente in tecnica digitale entro l'anno 2006. Vabbene, avremo finito. Invece No. Stavolta interviene il governo Berlusconi che, con la legge 23 febbraio 2006 n. 51, proroga il termine (originariamente fissato come improrogabile nel 2003) al 2008. Bene. O meglio, male. Ma almeno è finita. Stavolta noi poveri comunisti vogliamo risolvere il conflitto di interessi, introdurre elementi di competizione nel sistema televisivo, applicare una sentenza dell’Alta Corte vecchia di 13 anni! E finalmente io potrò finirla di occuparmi di televisione e tornare a studiare le norme del settore in cui lavoro, ossia quelle economiche. Il primo dicembre 2007 è entrata in vigore la legge 29 novembre 2007, n. 222 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, recante interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale". All’art. 16 ritrovo “Disposizioni in materia di sistema digitale terrestre” ed in particolare “4. All'articolo 2-bis, comma 5, del decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 2001, n. 66, come modificato dall'articolo 19, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51, le parole: «entro l'anno 2008» sono sostituite dalle seguenti: «entro l'anno 2012»”. Parafrasando l’assurdo bizantinismo legislativo si stabilisce che il passaggio della terza rete della Rai e di Rete 4 sul satellitare viene spostato al 2012. L’attuale maggioranza
ha approvato, infilandolo in una legge che avrebbe dovuto recare interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, il quarto rinvio, addirittura di quattro anni (quindi il più lungo), garantendo all’universo Mediaset un quadriennio di incontrastata ed illegale esistenza nell’etere di Rete 4. PS: Mi scuso con i lettori per l’eccessiva citazione di decreti, commi, leggi e leggine che hanno oltremodo appesantito la trattazione. Ma ho ritenuto opportuno dare una dettagliata rappresentazione di questo scandalo passato quasi inosservato.